Cultura
25 aprile: antifascismo e libertà

Oggi è la festa degli uomini e donne che credono in un’Italia democratica. E che non dimenticano

Oggi, siamo ormai a tre generazioni di distanza dalla guerra partigiana del 1943-45, e quegli eventi si sono mischiati ad altri eventi della storia italiana, creando delle discontinuità e perdendo in parte la loro carica emotiva e ideologica. C’è da dire però che in questi decenni è stato anche compiuto un approfondito e doveroso lavoro di ricerca storica, cha ha contribuito a documentare le vite dei protagonisti di allora, analizzando nel dettaglio i numeri della Resistenza.

Perciò oggi diventa importante, per non dimenticare, ma soprattutto per accorciare la distanza temporale con l’evento, riproporre le storie dei protagonisti anche con una voce autoriale, in grado di legare i fatti storici in un filo narrativo coinvolgente e cristallino. È ciò che fa Caroline Moorehead in una sua recente pubblicazione intitolata La casa in montagna. Storia di quattro partigiane, in cui leggiamo la storia delle quattro protagoniste, Ada Gobetti, Bianca Guidetti Serra, Frida Malan e Silvia Pons, partigiane e donne altruiste, che hanno animato azioni di ribellione collettiva, sfidando i pericoli della guerra, le paure e i pregiudizi. L’autrice riesce a restituirci una memoria unica, che oggi andrebbe ricordata e testimoniata a gran voce.

Ripercorrere le memorie femminili della guerra è una scelta intrapresa anche dalla sezione ANPI di Salerno, nella convinzione che il ruolo che hanno avuto le donne nella Resistenza italiana non venga sottolineato mai abbastanza. Sono state più di settantamila, eppure il loro ricordo è entrato solo recentemente nella storia ufficiale. Prendere parte alla Resistenza per le donne ha significato anche conquistare la cittadinanza politica: la richiesta di un riconoscimento di un ruolo pubblico nel nuovo sistema democratico, fa in modo che la donna si affermi per la prima volta all’interno di una società prevalentemente maschilista e tristemente patriarcale. L’impegno delle donne nella Resistenza è un fatto storico inequivocabile, e anche grazie a loro in Italia si è formata una nuova classe politica che ha dato il via alla Repubblica e soprattutto alla Costituzione. Le partigiane salernitane che hanno preso parte alla Resistenza si conoscono appena, e la loro memoria scarsamente indagata: a Maria Esposito è dedicato questo 25 aprile, l’unica salernitana riconosciuta partigiana combattente, decorata con la Croce di Guerra al Valor Militare.

Nel nostro presente a volte ci scontriamo con fatti e parole che richiamano alla mente un periodo buio della storia italiana: quello del fascismo. Si tratta, in particolar modo, di atteggiamenti e prese di posizione che finiscono con il legittimare posizioni e affermazioni che fino a pochi anni fa suscitavano indignazione, ma che oggi sembrano farsi spazio nel retropensiero di chi sta attraversando con superficialità per non dire con malcelato cinismo, questa nostra delicata fase storico-politica. Tra un’imbarazzante indifferenza generale, troppo spesso si sentono frasi che inneggiano pericolosi e inequivocabili gesti. Una tendenza tanto più marcata quanto più si è di fronte a delle situazioni che implicano delle precise prese di posizione. Tra storici, scrittori, intellettuali, esponenti in tv e sui social network si è molto discusso se sia appropriato o meno etichettare come fascista questo clima, riflessioni che si sono riversate anche su questioni riguardanti il significato del sentirsi italiano oggi, tirando in causa il senso identitario di noi italiani.

Quest’aspetto, senz’altro da approfondire, emerge ancora più evidente a ridosso delle celebrazioni del 25 Aprile, ed è come se ogni anno si riaprisse una ferita ancora non ben cicatrizzata, e non si sa con quali bende fasciarla.  Al di là degli attacchi alla Resistenza, inteso come fenomeno unitario e nazionale, si tocca con mano il disagio di come intendere un avvenimento storico di quella portata, spesso risolto con estrema superficialità , liquidandolo da più parti con banali frasi di retorica che denotano  un generale disinteresse verso quei fatti, quando non si ripresentano addirittura le accuse e le polemiche, che con maggiore o minore intensità, hanno percorso tutto il dopoguerra, rivitalizzate negli anni Novanta e che oggi sembrano di nuovo appartenere al sentire comune.

Se è vero che la storia la scrivono i vincitori, è anche vero che nella revisione della Resistenza questa diventa l’oggetto principale di tutte le accuse, poiché ciò sottende l’idea che la memoria della Resistenza sia stata creata ad arte in una modalità tanto mitica quanto autoritaria. Una narrazione, si intende, che ha in qualche modo nascosto tutte le zone d’ombra del movimento partigiano, a cui si aggiunge che questa denuncia viene ripetuta ogni volta come se fosse una novità. Ma in realtà la verità è più semplice di quanto immaginiamo: chi all’epoca ha scelto di scendere in campo dopo vent’anni di dittatura e cinque di guerra ha dovuto portare le armi e combattere almeno per i venti mesi che hanno preceduto la fine della guerra.

Questa storia non si presenta come un blocco monolitico o un coro unanime e senza voci dissonanti: la complessità che ha accompagnato la nascita della Resistenza rimane irrisolta anche nella sua memoria. Tutte le forze che si erano ritrovate nel fronte antifascista, per quanto diverse, in quel momento avevano l’esigenza comune di chiamare alla lotta la popolazione, di contrastare i sostenitori della RSI e di dare un’immagine del movimento combattente credibile e affidabile anche agli occhi degli Alleati. È da questo che, secondo una obiettiva interpretazione, nasce una rappresentazione della Resistenza come sforzo di tutto il popolo, che si ribella contro il fascismo muovendosi come movimento unitario e patriottico. E questa rappresentazione viene portata avanti dai partiti antifascisti alla guida della nuova Italia fino alla fine della guerra fredda. In realtà col passare del tempo si sono evidenziate diverse ambiguità con nodi interpretativi difficili da sciogliere, questo perché negli anni sono emersi risvolti dovuti alla stratificazione di avvenimenti successivi e all’evolversi degli atteggiamenti verso l’idea della Resistenza partigiana.

Nella molteplicità delle riflessioni  si sono intrecciate e si sono sovrapposte voci di natura diversa, che affondano le radici nel “campo” in cui nasce o cresce la memoria della Resistenza,  il cui fenomeno, nei mesi che vanno dall’8 settembre del 1943 al 25 aprile 1945, è molto più composito e colorato rispetto all’univocità della sua iniziale restituzione, così come le memorie che da quei fatti emergono: la memoria dei vinti (i fascisti) contrapposta a quella dei vincitori (gli antifascisti),  questi ultimi, pur  presentandosi uniti e convinti del fatto che la nuova Italia si basa su queste conquiste, si rifanno a quell’esperienza con grado di trasporto e convinzione differenti.

Tra la fine del conflitto e fino agli anni Cinquanta la memoria ufficiale del nuovo Stato coincide con quella antifascista, negli anni Sessanta la situazione in Italia sembra diventare ancora più definita: con la sinistra al governo e il boom economico, si risveglia un interesse ancora maggiore nei confronti della Resistenza, anche grazie al recupero delle memorie di prima generazione, dopo che viene definitivamente calato il velo di silenzio e di reticenza ancora presente nella ritrosia di chi non era propenso a testimoniare e a raccontare i fatti accaduti. La Resistenza quindi fino alla fine degli anni Settanta assume una connotazione fortemente popolare, un riferimento valoriale per quasi tutta la società. Saranno poi i cosiddetti “anni di piombo” a segnare una rottura: l’offensiva terrorista contribuisce a creare per la prima volta una sorta di legame tra militanza politica, violenza e, per associazione di idee, Resistenza, le ombre di sospetto nei confronti del movimento tendono a intensificarsi nel periodo che va dal 1989 e il 1991, quando si affermano nuovi partiti di centro-destra, e si fa strada la memoria fascista, fino ad allora retaggio unicamente dei nostalgici, che la diffondono nel tentativo di rivendicazione del valore storico della RSI e della sua esperienza. Da allora in poi l’eredità della resistenza sembra allontanarsi dall’essere un patrimonio indiscusso, e quegli stessi argomenti sono rimasti in circolazione, in parte invariati e in parte resi ancora più evidenti dagli avvenimenti degli ultimi anni.  Lo testimonia il fatto che oggi l’antifascismo fa sempre più fatica ad attestarsi come valore irrinunciabile e propedeutico a tutte le libertà: la situazione attuale nel mondo si presenta ancora minacciata nel cammino e nella transizione verso la pace, e la si avverte come un pericolo per niente scongiurato per la libertà di molte popolazioni, rendendo quasi vano lo sforzo che è stato fatto da quelle forze politiche che hanno preso parte alla Resistenza.

 

 

Eirene Campagna
collaboratrice

Classe 1991, è PhD Candidate dello IULM di Milano in Visual and Media Studies, cultrice della materia in Sistema e Cultura dei Musei. Studiosa della Shoah e delle sue forme di rappresentazione, in particolare legate alla museologia, è socia dell’Associazione Italiana Studi Giudaici.


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