Scongiurata in extremis la quarta tornata elettorale, nasce un esecutivo il cui orizzonte temporale appare molto incerto
Dopo una lunga impasse – che aveva assunti i toni dello psicodramma collettivo – durata più di un anno e accompagnata da ben tre elezioni che, di fatto, non hanno mutato lo scenario delle preferenze politiche, alla fine nascerà un governo di «unità nazionale», nel nome dell’emergenza contro il Coronavirus, che riconfermerà a Benjamin Netanyahu lo scranno di premier. Gli accordi prevedono, come già era stato configurato nelle precedenti ipotesi, ripetutamente avanzate a loro tempo, la rotazione del premierato. Per i primi diciotto mesi, infatti, a «re Bibi» toccherà lo scranno della presidenza del Consiglio dei ministri. A seguire, in un passaggio di consegne, sarà poi la volta del suo antico competitore e, adesso, nuovo alleato recalcitrante, Benny Gantz.
In realtà, non sono in molti a credere che tra un anno e mezzo Netanyahu rispetterà l’accordo. Il punto, tuttavia, al momento non è questo. Il difficile parto del nuovo esecutivo ha, alla sue immediate spalle, un periodo travagliato, contrassegnato da esasperazioni e da contrapposizioni apparentemente senza via di uscita. Nei giorni trascorsi, dinanzi all’impossibilità per Gantz di procedere nella formazione di una maggioranza parlamentare, il capo dello Stato Reuven Rivlin aveva di nuovo affidato alla Knesset il compito di trovare un deputato che avesse una maggioranza di 61 seggi su 120 per costituire il nuovo governo. Erano infatti trascorsi i ventotto giorni esauriti i quali scadeva l’incarico del leader di Kahol Lavan per la formazione di un governo. Il Parlamento israeliano aveva a quel punto ancora un breve lasso di tempo (tra le due e le tre settimane) per scongiurare un quarto ritorno alle urne.
Situazione paradossale e parossistica, a fronte del completo stallo politico nel quale il Paese di trova oramai da oltre un anno. Rivlin, per nulla disponibile – posta anche la situazione di emergenza in cui si trova il Paese per via del Covid-19 – aveva in tale modo inteso sollecitare la formazione di una coalizione, pur sapendo che le alleanze tra forze politiche che si sono combattute duramente sarebbe stata, e rimane a tutt’oggi, assai problematica. Sta di fatto che dopo defatiganti contrattazioni si è arrivati a quello che, in tutta probabilità, non sarà un accordo di legislatura bensì una tregua politica. Che già da adesso conta vincitori e vinti. Tra i primi senz’altro il premier uscente (e rientrante) Netanyahu, che vede riconfermata la sua centralità nel circuito politico nazionale, di fatto tale da più di venticinque anni. Al netto della forte opposizione che sconta tra i suoi numerosi avversari, che lo giudicano non solo severamente ma impietosamente, attribuendogli un sorta di genio malefico, è ancora saldamente in sella. Gantz va al governo non per virtù bensì per necessità, contraddicendo tuttavia tutte le sue precedenti posizioni, basate proprio sul rifiuto del leader del Likud. Il borsino dei ministri prevede per il leader di Kahol Lavan – la coalizione tripartitica che esce di fatto sconfitta da questo lungo passaggio politico, perdendo parte dei suoi componenti (a partire da esponenti di peso come Yair Lapid e Moshe Yaloon) ma imbarcando quel che resta di un esangue partito laburista – il ruolo di titolare del portafoglio della Difesa, se si dimetterà da speaker della Knesset (al suo posto, in un primo tempo, avrebbe dovuto collocarsi Meir Cohen), e a Gaby Ashkenazi il ministero degli Esteri. Il laburista Amir Peretz avrebbe il dicastero dell’Economia mentre il Likud dovrebbe garantirsi il ministero della Pubblica sicurezza (Miri Regev) e i religiosi quello della Salute (Yakoov Litzman) e dell’Interno (per il partito Shas), oltre ad almeno un dicastero, quello dell’Educazione, per la destra di Yamina con Naftali Bennet.
Al netto dei dividendi tra le diverse componenti, ancora tutte da definire, il governo avrà comunque una chiara connotazione di destra. La lista elettorale tripartitica di Gantz si sta spezzando in vari tronconi, di fatto implodendo. Gantz tornerà ad essere leader della “sua” formazione, Hosen LeIsrael. Il cofondatore Yair Lapid guiderà invece l’opposizione, affiancato dal capo della destra laica Avigdor Lieberman, il grande perdente di tutta questa lunga, tortuosa e sfiancante manovra. Era stato infatti lui, all’inizio dell’anno scorso, a rompere con Netanyahu, già messo in difficoltà dalle inchieste per corruzione, nella speranza di contendergli il premierato e quindi di sostituirlo alla guida del centrodestra, se non personalmente almeno con un nome vicino a sé. La vecchia volpe, tuttavia, è stata più scaltra dell’allievo. Significativo che nell’accordo di programma, non ancora del tutto ufficializzato, si menzioni l’annessione ad Israele di una parte degli insediamenti ebraici in Cisgiordania in tempi relativamente brevi, comunque entro l’anno corrente.
Torinese del 1964, è uno storico contemporaneista di relazioni internazionali, saggista e giornalista. Specializzato nello studio della Shoah e del negazionismo (suo il libro Il negazionismo. Storia di una menzogna), è esperto di storia dello stato di Israele e del conflitto arabo-israeliano.