Un patrimonio di valori ed umanità rievocato attraverso i ricordi e testimonianze di chi l’ha conosciuto da vicino
«La sua scomparsa lascia un grande vuoto e priva tutta la comunità torinese, non solo quella ebraica, di un uomo che con il proprio impegno pubblico ha fornito un importante contributo alla diffusione dei valori della pace, della democrazia, dell’antifascismo“. Con queste parole la sindaca di Torino, Chiara Appendino ha voluto rendere omaggio a Tullio Levi.
Joimag, a un mese dalla sua scomparsa, ha raccolte quattro testimonianze per ricordare il pensiero e l’azione di un uomo che lo storico e giornalista Claudio Vercelli ha definito “colonna portante e anima pensante della comunità ebraica torinese”, di cui è stato presidente dal 1981 al 1987 e poi dal 2005 al 2011.
«Nel 2015 sono diventata Presidente del Gruppo di Studi Ebraici» racconta a Joimag Bruna Laudi. «Tullio era il responsabile della Commissione Cultura ed aveva un ruolo fondamentale perché era una persona dagli interessi poliedrici: preparatissimo sui temi ebraici, ma anche molto inserito nell’ambiente torinese laico e di sinistra. Era un uomo sempre presente e informato sull’attualità culturale di Torino e del mondo ebraico. Lascia un grande patrimonio di valori come la laicità e l’emancipazione dell’ebraismo italiano. A livello personale è impossibile prescindere poi dalla sua straordinaria ospitalità, intesa nel senso più ampio del termine. Era un uomo generoso: nella sua casa, nella comunità, ma anche a livello culturale. Sul piano umano, conosco persone che nei momenti difficili della vita si sono trovati davanti a tante porte chiuse, tranne una, quella di Tullio. Lui è stato il vero pater familias di una famiglia allargata».
Una visione, quella di Levi, non sempre condivisa da tutti. Su questo aspetto chiediamo un chiarimento: «Nel 2005, quando per la seconda volta fu Presidente della Comunità di Torino, ci furono molti contrasti. Tullio proponeva un cambio di rotta, forte delle sue convinzioni: voleva trovare nuovi modi per coinvolgere e avvicinare i giovani e si scontrava con una visione più rigida e tradizionalista. Si batté a lungo su questi temi e questo incise profondamente nei rapporti tra consiglio e rabbinato creando una frattura nella comunità: anche il Gruppo di Studi Ebraici soffrì molto per questi contrasti e ci fu una vera e propria scissione» conclude Bruna Laudi.
«Le qualità umane non gli sono mai difettate, a partire dalla sua asciutta signorilità, da un rigore critico che gli derivava da una determinazione etica profonda, da un senso della misura che si faceva amabile riservatezza (dote tanto più apprezzabile dal momento che invece l’impegno verso la collettività è spesso inteso come pura affermazione egocentrica) fino alla manifestazione di quell’umanesimo culturale che era alla radice del suo pensiero. Un laico a tutto tondo, intimamente convinto dell’imprescindibilità dei fondamenti repubblicani, costituzionali ed antifascisti della nostra società» spiega Claudio Vercelli.
«Il padre di due miei carissimi amici: Marta e Filippo» dichiara Amedeo Spagnoletto, direttore del Meis di Ferrara. «Non abbiamo mai interagito personalmente, però c’era una stima reciproca che entrambi percepivamo. Lo stimavo per la dedizione alla sua attività per la comunità senza mai perdere di vista i valori fondanti del mondo ebraico della sua famiglia. Era un uomo tollerante ed estremamente leale nei rapporti. Sosteneva con forza la lotta a ogni forma di fascismo e la difesa della democrazia. L’ho sentito 15 giorni prima che ci lasciasse e ci siamo scambiati attestati di stima reciproca» conclude.
«Era un uomo di grande carisma e capacità organizzative, sapeva perseguire con determinazione i propri ideali. Padre e nonno affettuoso, viene ricordato per l’attenzione, l’aiuto che prodigava verso tutti. Che il suo ricordo sia in benedizione» dichiara a Joimag rav Alberto Moshe Somekh.
«I figli Marta e Filippo» sottolinea Claudio Vercelli «hanno ricordato come “il suo impegno nelle istituzioni ebraiche [sia] sempre stato rivolto a promuovere la vivacità culturale e sociale della comunità ebraica al suo interno e parallelamente a trovare terreni di confronto con le istituzioni cittadine e nazionali; era infatti convinto che l’esperienza ebraica fosse un ingrediente importante per la società tutta“. Anche in tale ottica, è stato tra i fondatori della sezione italiana del Centro Peres per la Pace e dell’associazione Amici del Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino, di cui è stato vicepresidente. Era nato nel 1939, un anno dopo le infami leggi razziste firmate dal fascismo e dalla monarchia. Era sopravvissuto, insieme ai suoi famigliari, grazie all’aiuto generoso e disinteressato della famiglia Antoniono, all’interno di una rete di solidarietà umana e civile fortemente radicata nel territorio piemontese, del quale Tullio si è sempre sentito parte integrale. Riposa nella terra che gli è sempre appartenuta, per storia, identificazione, rigore, stile e memoria».