Storia dell’uso del copricapo femminile, tra veli, cappelli e parrucche
“Puoi scoprire molte cose su una donna ortodossa dal tipo di parrucca o copricapo che indossa” rivela Frimet Goldberger in un articolo pubblicato su Forward. La pluripremiata giornalista americana scrive spesso pezzi sul mondo ebraico ultraortodosso, a cui non è estranea: è cresciuta nella comunità Chassidica Satmar di Kiryas Joel che ha poi abbandonato insieme a suo marito. Nello stesso articolo, intitolato Tassonomia dello Sheitel, Goldberger ci racconta un aneddoto sul suo matrimonio: “Quando avevo 17 anni mi presentarono al mio futuro marito. Io e la mia famiglia sapevamo che quello sarebbe stato un incontro propizio: io e quel ragazzo eravamo entrambi cresciuti nel mondo del Chassidismo Satmar, venivamo dallo stesso villaggio, frequentavamo lo stesso ambiente e rispettavamo le stesse regole religiose ebraiche. Ma il fattore determinante per la chiusura dell’accordo matrimoniale era che le nostre madri indossavano lo stesso copricapo. Ciò indicava, essenzialmente, che le nostre famiglie erano fatte della stessa pasta”.
Sempre più spesso ormai le donne decidono di coprire i capelli dopo il matrimonio: che sia una parrucca o un velo, ormai lo Sheitel è diventato un oggetto comune.
L’origine della pratica: Dat Moshe o Dat Yehudith?
C’è una piccola diatriba che riguarda la genesi di questa tradizione ed è spiegata in modo chiaro da Alieza Salzberg su My Jewish Learning. L’origine della pratica risiede nel rituale della Sotah, una cerimonia descritta nella Torah messa in atto per testare la fedeltà di una donna accusata di adulterio. Durante questo rituale, il sacerdote scopre o slega i capelli della donna, compiendo un gesto considerato denigrante. Da qui il Talmud conclude che una donna non deve mostrare in pubblico i propri capelli e che coprirli è una regola della Dat Moshe quindi biblica e oggettiva, da applicare in ogni circostanza. La Mishna spiega invece che la copertura del capo non è un obbligo di origine biblica. Nel trattato di Ketuboth (7:6) vengono elencati i comportamenti femminili che possono essere causa di un divorzio, tra questi: apparire in pubblico con i capelli sciolti. In questo caso l’azione è considerata un atteggiamento impudico e una violazione della Dat Yehudith, una norma definita nel tempo dagli usi della comunità.
E’ il Talmud stesso a risolvere la questione e a presentare una posizione di compromesso: una copertura minima dei capelli è obbligatoria, mentre la definizione di come e quando coprirli è determinata dalla comunità stessa e dalle sue tradizioni.
Scegliere la modestia. Che l’origine della regola sia biblica o rabbinica influisce relativamente sullo stato attuale della pratica. In Israele, in America e nella diaspora europea, sempre più donne decidono di indossare un copricapo dopo il matrimonio. Questa usanza fa parte di un gruppo più grande di regole che è quello della Tzniut, parola che in ebraico significa “modestia”. Per seguire queste norme di comportamento gli uomini vestono sempre di nero, e le donne si vestono in modo da coprire le gambe, le braccia e i capelli per non apparire provocanti.
Ma ragionare e discutere di modestia e di quanto una donna debba coprire e nascondere il proprio corpo è molto complesso e non esistono risposte univoche alle tante domande che si possono porre. Come ben argomenta Sara Valentina di Palma su Moked.it, “quando la modestia si misura materialmente in centimetri di pelle che sia più o meno lecito mostrare in pubblico, le cose si complicano. Soprattutto, se si tratta di centimetri di pelle che altri decidono se le donne possono mostrare o meno, o che sia una scelta femminile, e quanto questa sia condizionata dalla fedeltà ad un gruppo, dalla gratificazione nella condivisione di simboli di appartenenza con altre donne, da valori personali”.
Sulla dicotomia tra scelta e imposizione il New York Times ha riportato le parole di Michelle Honig, una giornalista ebrea ortodossa di moda, che al riguardo si è espressa in modo molto chiaro, affermando che è fuorviante pensare che l’abbigliamento modesto e le regole della Tzniut siano intrinsecamente oppressive. Molte donne vivono in paesi liberi e decidono lo stesso di indossare abiti coprenti e parrucche, in questi casi non si può affermare che qualcuno lo stia imponendo, sono libere e stanno compiendo una scelta.
La pratica dello Sheitel in Italia. Il fenomeno dell’utilizzo del copricapo in Italia non è nato in tempi recenti. Le donne ebree ortodosse italiane coprono i loro capelli da centinaia di anni. Una prova della longevità dell’usanza è riportata nell’articolo I Responsi rabbinici come fonte storica di Roberto Bonfil pubblicato nel 2004 su Materia giudaica. L’autore riporta alcune testimonianze rabbiniche che attestano l’utilizzo di copricapo femminili già dal 1500. La prima riguarda il rabbino Yehudah Mintz che, nella Repubblica di Venezia, aveva fatto pubblicare un’ordinanza, con cui annunciava: “da ora in avanti tutte le donne già sposate o da sposare si coprano il capo con un velo, [..] di modo che non siano visibili i capelli della testa, giacché questo sarebbe comportamento immorale e indecente, improprio per le donne morigerate”. Un paio di generazioni più avanti, una giovane pose la seguente domanda al noto rabbino Mosè Provenzali di Mantova: “Può una donna che si è rasata il capo prima di andare sposa e fece dei propri capelli un crinale, portarlo sulla fronte dopo sposata oppure no?”.
Frimet Goldberger su Forward racconta le fasi successive della storia dello Sheitel: quando l’uso della parrucca divenne popolare in Europa nel XVIII secolo, le donne ebree seguirono la moda, mentre i rabbini rifiutavano la pratica prediligendo l’utilizzo del velo. Nel 1900 invece, le parrucche hanno smesso di essere in voga e le donne ebree hanno abbandonato i copricapo; mostravano fiere i loro capelli, disinteressandosi delle contrarie opinioni rabbiniche, perchè associavano la copertura del capo al passato, alla cultura e al costume dell’epoca precedente.
Oggi si va in controtendenza e sempre più donne ebree coprono i capelli dopo il matrimonio. C’è chi lo fa per rispettare le regole della Tzniut, chi considera il copricapo un segno del proprio stato civile. Alcune donne si rasano i capelli, qualcuna invece li lascia intravedere sotto il cappello. Ci sono donne che li tengono sempre coperti, e altre che invece li nascondono solo in alcune occasioni. Ogni variabile può essere considerata accettabile perché il valore ebraico della modestia viene continuamente raffinato e definito dalle stesse donne e dalle loro comunità. La decisione di coprirsi o meno i capelli, le braccia, le gambe, si trova nel punto d’incontro tra molte variabili, tra cui la legge ebraica, il costume, la tradizione comunitaria e la scelta personale.
Articolo molto interessante. È da parecchio tempo che sono interessata alle tradizioni ebraiche. Grazie