Intervista a Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano
Memoria individuale e memoria collettiva. Memoria che finda la storia e si fonde con essa. Memoria da trasmettere e mantenere viva. Abbiamo parlato di questo con Gadi Luzzatto Voghera, direttore del Cdec, a partire dalla Carta della memoria proposta da Gariwo.
Cosa significa la parola memoria?
Memoria è un concetto complicato perché indica anche un significato politico e pubblico che confligge con la natura stessa, personale e intima, del ricordare. Si assiste a un’esplosione di significati perché l’uso pubblico è relativo a una sfera certamente diversa dal proprio personale vissuto. Si è cercato, con l’istituzione del Giorno della Memoria di creare, attraverso qualcosa di così unificante, indicibile, eorme come la memoria della Shoah di farne un luogo, un altare della religione civile per l’Europa. Ma ora quel progetto è saltato.
Perché?
Perché le memorie sulla Shoah sono contrastanti, perché la memoria è manipolabile. Occorre richiamare la necessità del rigore del lavoro storico e storiografico. La Shoah è il paradigma degli stermini, è unico perché ha portato tutti i comportamenti umani alle estreme conseguenze e la sua analisi permette quasi di studiare in vitro l’umanità. In quanto paradigma, ci aiuta a ragionare, a imparare a cogliere tutti quegli elementi che potrebbero portarci dentro dinamiche di maltrattamenti, discriminazioni e percorsi politici non più frenabili che potrebbero condurre verso altri genocidi. Ma siamo in un contesto geopolitico particolare dove il rischio di distorcere la storia è molto elevato, per questo va protetta. Per questo occorre ragionare sulla memoria dando centralità alla Shoah.
Dunque una centralità della Shoah come paradigma attraverso cui comprendere tutti i genocidi?
Credo che bisognerebbe creare la foresta degli ingiusti. La dinamica dei giusti innesca un meccanismo buonista, forse allargando troppo la definizione di genocidio. Dal punto di vista didattico funziona molto bene perché la storia dei giusti presenta un elemento positivo e prevede per lo studente l’apertura di una porta al pensiero critico: mostra, nella figura del giusto, la possibilità e il valore di pensare autonomamente, con la propria testa. Ma il rischio è di perdere di vista il contesto storico e di non vedere la complessità umana. Di non considerare gli ingiusti, i carnefici. Cosa fare dunque, oggi? La testimonianza, di cui il Cdec conserva un ricco patrimonio nelle registrazioni, è un documento di storia orale e va usato come strumento di lavoro. Occorre fare fatica, lavorare sulle fonti e ragionare sull’etica, per investire i giovani di responsabilità, oggi, rispetto a quella storia.
È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.