Il regista appena scomparso raccontato attraverso lo spettacolo sulla Shoah del drammaturgo tedesco. Storia di una regia poetica, quasi onirica, che ha reso il palcoscenico un luogo eterno
E’ stato impietoso questo 2020. Il 5 dicembre il Covid si è portato via anche il regista Gigi Dall’Aglio. Aveva 77 anni, calcava i palcoscenici dal 1963. Amava gli attori, forse perché lo era stato anche lui: ed era pure bravo. Ha diretto duecento spettacoli, la maggior parte dei quali improntati sulla militanza, l’impegno civile, la difesa dei valori democratici. “Rituale laico” era la sua espressione preferita per parlare della funzione e del significato del teatro. E questo è evidente nello spettacolo forse più importante della sua lunga carriera, anche perché resta e resterà per sempre uno dei pochi spettacoli sulla Shoah realizzati in Italia: L’Istruttoria di Peter Weiss, tutt’ora nel repertorio del Teatro Due di Parma che lo ripropone ogni anno per il Giorno della Memoria.
Il testo di Peter Weiss è a sua volta un’opera fondamentale: segnò all’epoca della sua uscita, il 1965, un momento di rottura decisivo per la Germania, sgretolando quella coltre gelida di silenzio intorno alla tragedia che era calata su tutta Europa. Un silenzio dovuto a motivi diversi: l’impossibilità di parlare di qualcosa di così terribile, come sosteneva il filosofo Theodor Adorno, una precisa volontà politica di non turbare ulteriormente le coscienze, il conflitto con un passato difficile da elaborare, l’incapacità di gestirlo per convenienza o per indifferenza. Fino alla metà degli anni ’60 in Germania nessuno affrontava l’argomento Shoah. Il popolo tedesco cercava di dissociarsi dal genocidio. O meglio, lo viveva con consapevolezza distaccata senza una vera assunzione di responsabilità. Soltanto dopo il 1968 la Shoah è entrata nelle scuole pubbliche, nei libri di testo. I giovani hanno cominciato a chiedere ai loro padri cosa avevano fatto durante la guerra. In tv venne trasmessa la serie televisiva Holocaust diretta da Marvin Chomsky che raccontava la vita di due famiglie tedesche, una ebrea, i Weiss, ed una, i Dorf, il cui padre di famiglia, spinto dalla disoccupazione, si arruolava nelle SS fino a diventare uno spietato criminale di guerra. Il pubblico cominciò a rispecchiarsi, a voler sapere e capire.
Poi avvennero alcuni fatti importanti, come i processi pubblici ai criminali nazisti. Il processo di Francoforte, tenuto tra il 1963 e il 1965. Il primo processo celebrato in Germania di fronte a una corte tedesca per crimini nazisti contro gli ebrei: i criminali cioè non furono perseguiti in base a leggi internazionali ma alle leggi della Repubblica federale tedesca. Una grande presa di coscienza. Durante quel processo un drammaturgo scriveva e riscriveva, prendeva continuamente appunti. Era Peter Weiss che creò L’l’Istruttoria (in tedesco Die Ermittlung cioè indagine o accertamento della verità), un oratorio in undici atti che il 19 ottobre 1965 fu rappresentata in contemporanea su sedici palcoscenici europei. Weiss reinterpretò gli atti del processo e li riorganizzò tematicamente in modo da costruire una sorta di viaggio dantesco all’interno del campo di sterminio: dal canto della banchina al canto dei forni, alternato al linguaggio giuridico, al dialogo tra giudici, avvocati e criminali al banco. Le parole pronunciate dai personaggi non sono molto diverse da quelle ufficiali. Il testo stabilì per la prima volta con il pubblico un rapporto stimolante, provocatorio e anche informativo: finalmente si veniva a conoscere la verità di quanto era accaduto, finora rimossa e oscurata.
L’Europa, come dicevo, ha reagito in modo disomogeneo al silenzio relativo alla Shoah. L’Italia non ha ancora pienamente elaborato la sua responsabilità e di conseguenza pochi sono stati i contributi rilevanti anche dal punto di vista teatrale, se si eccettuano il Dybbuk di Moni Ovadia e qualche interessante contributo degli attori-narratori come Ascanio Celestini, Daniele Timpano, Enrico Fink. Tra questi però l’Istruttoria di Gigi Dall’Aglio spicca e si impone: è stata un’operazione fondamentale, un modo rivoluzionario di fare memoria attivamente, coinvolgendo gli spettatori in una grande cerimonia di lutto collettivo.
In realtà L’Istruttoria in Italia ebbe anche una precedente edizione. Lo spettacolo realizzato nel 1967 dal regista ebreo Virginio Puecher per il Piccolo Teatro. Uno spettacolo mediatico, realizzato nei Palasport per platee di 2000 persone a volta. Teatro di avanguardia, scene di Josef Svoboda, musica di Luigi Nono. L’ambiente scenico era freddo, scientifico, tecnologico (alternava alla recitazione dal vivo frammenti di documentari proiettati su grandi schermi) per mettere in rilievo la tecnicizzazione della morte al cuore del progetto di sterminio, per far sentire gli spettatori ammucchiati come le masse stipate nei treni e uccise nei lager.
L’approccio di Gigi Dall’Aglio invece è completamente diverso, anche perché avviene in un tempo storico differente, il 1984. Si tratta di un “rituale laico”, appunto, una condivisione di memoria che coinvolge attori e spettatori e li vede entrambi protagonisti. Nessuna spettacolarizzazione o pretesa documentaristica (siamo negli anni ’80, la storia è – o dovrebbe – essere nota) ma un’atmosfera da teatro da camera, poetica, quasi onirica che legge il testo alla luce della contemporaneità (non è un caso che gli spettatori all’inizio ascoltino un lungo brano registrato tratto dalla Divina Mimesis di Pasolini). Il pubblico è condotto in un percorso dal buio alla luce: prima in una zona attrezzata a camerino dove gli attori si truccano per prepararsi, poi una molto più ampia dove è tenuto in piedi per tutta la durata del primo canto, come i deportati sulla banchina, all’arrivo nel lager, poi infine invitato o costretto a sedersi. «Più che far vivere al pubblico la situazione di persone deportate, mi interessava arrivare a farlo sedere in modo diverso, come diceva Genet, “dopo esser passati da un cimitero”», sostiene Dall’Aglio in una dichiarazione.
Un musicista suona il pianoforte, c’è una ingombrante scrivania, che è la postazione di un personaggio femminile che è sia guida che giudice, evocatrice della memoria che gli attori-personaggi assumono su di sé, alternando il ruolo di testimone a quello di vittima, rivivendo il passato (la chiusura nelle gabbie, la spoliazione dei propri beni e della dignità, le varie tappe dell’esecuzione fino all’asfissia, mentre dalle porte entrano delle figure con maschere antigas, gettando a terra i vestiti appartenuti ai morti e la sala si riempie di fumo e fasci di luce bluastra). Poi dopo poche parole di commiato tutto tace. In silenzio, senza applausi, gli spettatori sono invitati a uscire, mentre un’attrice porge un fiore come di ricordo.
E’ dal 1984 che l’Istruttoria con la regia di Gigi Dall’Aglio esiste e resiste, ogni anno, al Teatro Due di Parma. Migliaia di studenti, di persone l’hanno vista. Si dice che il teatro sia effimero, che venga messo alla prova dal ricordo che scompare, dalla competizione con il cinema o con altri generi di intrattenimento, perfino dal Covid che ne fa chiudere le sale. Ma L’Istruttoria di Dall’Aglio resta, resterà sempre come un monumento importante, italiano. Come una dichiarazione di fede nell’umanità e nel suo potere di agire per il bene oltre che per il male. Come un piccolo frammento di luce, per ricordarci il buio della storia e dell’indifferenza, da cui rischiamo ancora di venire travolti.
Rai 5 trasmetterà domenica 13 dicembre alle ore 23.00 L’ISTRUTTORIA di Peter Weiss con la regia di Gigi Dall’Aglio con la produzione di TeatroDue di Parma.