Piccola inchiesta condotta da una studentessa di un liceo pubblico milanese
A condurre questa seconda puntata dell’inchiesta nella generazione Z è Michaela Duadi, giovanissima studentessa di un liceo pubblico milanese, che indaga la questione sia dal punto di vista personale sia tra gli amici che, come lei, vivono il proprio ebraismo al di fuori del contesto della scuola ebraica.
Nel mondo di oggi, quello dei social e della tecnologia, quello in cui l’apparire sembra contare più dell’essere, può essere difficile mantenere un legame con la propria religione. Questo accade soprattutto ai più giovani, che sono sottoposti a tutte le distrazioni della vita quotidiana e che si trovano in un periodo di crescita e maturazione.
Responsabilità, senso di appartenenza ad un gruppo che condivide gli stessi valori, tradizioni e usanze: queste sono alcune delle cose che significano essere ebrei per noi adolescenti.
Il Bar mitzvà o Bat mitzvà, che significa letteralmente “figlio o figlia della mitzvà”, è quell’importante momento nel quale diventiamo responsabili delle nostre scelte e del nostro comportamento morale e religioso. È un momento di passaggio, di cambiamento e di crescita, soprattutto dal punto di vista personale. Infatti, ci rendiamo conto di aver raggiunto un traguardo importante e che, da quel momento in poi, nella nostra religione e nella nostra comunità saremo considerati adulti e non più bambini.
Le tradizioni e le usanze, tramandate dalla nostra famiglia, sono anch’esse molto importanti per noi. Ci danno un senso di calore, stabilità e sono un punto fermo della nostra vita.
Con Israele, che viene considerato da noi un posto speciale, molti adolescenti hanno un forte legame. Tuttavia, forse per la giovane età, la maggior parte di noi non si sente ancora pronta a lasciare la città e gli amici per fare l’Alià. Alcuni però, affermano che andare a vivere in Israele in un futuro non è da escludere. Infatti, c’è chi vorrebbe fare l’Alià per frequentare una buona università, oppure chi vorrebbe semplicemente andare in Israele per sentirsi più vicino alla propria famiglia.
Oggi, a Milano, essere adolescenti ebrei è più semplice frequentando una scuola della nostra comunità. La gente intorno a noi è ebrea e condivide i nostri stessi valori. Si dà per scontato che ognuno sappia, per esempio, quali e quando sono le festività, che cosa sia lo shabbat e quali siano i suoi divieti, cosa si possa o non si possa mangiare secondo le regole della Kashrut. Insomma, in una scuola ebraica tutti sanno che cosa significa essere ebrei e, in una comunità non troppo grande come quella di Milano, ci si conosce un po’ tutti. Inoltre, si riesce a parlare di argomenti riguardanti la nostra cultura con i compagni di classe o anche con i professori.
Questa è una cosa molto bella che purtroppo non sempre accade in una scuola non ebraica. Le persone, che sono di diverse estrazioni sociali e di diverse religioni, molto spesso non conoscono neanche il significato della parola “ebraismo”. A molti giovani ebrei che hanno frequentato ambienti non ebraici è stata rivolta la frase “Sei il primo ebreo che conosco”. Questo ci fa capire che ci sono tanti adolescenti che ignorano completamente l’esistenza della religione ebraica. Purtroppo, è proprio questo il problema principale: l’ignoranza e la disinformazione, che può portare a pregiudizi e addirittura a delle spiacevoli situazioni di inimicizia. Noi dobbiamo combattere questa mancanza di informazioni semplicemente parlando della nostra religione, delle nostre usanze e delle nostre tradizioni.
Una domanda che potrebbe venire spontanea sarebbe: “Frequentando una scuola non ebraica, si perde quel legame che si ha con la religione?”. Conducendo una piccola inchiesta, è risultato che i ragazzi mantengono il loro legame con l’ebraismo e, anzi, alcuni dichiarano che la loro identità ebraica si sia affermata maggiormente passando da una scuola ebraica ad una pubblica. La religione ebraica viene tramandata in primo luogo dai genitori, quindi non è fondamentale frequentare una scuola ebraica per essere ebrei. Inoltre, basta un ciclo di studi, andare al tempio o anche far parte di movimenti giovanili, tra cui il Bnei Akiva e l’Hashomer Hatzair, per avere una connessione con l’ebraismo.
In conclusione, vivere una vita ebraica per noi ragazzi significa sentirsi parte di una comunità, nonostante ci si trovi in diversi ambienti, in diverse situazioni, a vivere esperienze differenti l’una dall’altra.
Michaela Duadi