Viaggio biblico archeologico per scoprire che gli ebrei delle origini seguivano la “Legge di Mosè”… prima che ci fosse Mosè
Si potrebbe dire che la ragione per cui il Signore benedetto ha creato il maiale è perché gli ebrei non lo mangiassero. Ovviamente è soltanto una battuta, come quella della seconda sinagoga, costruita per non mettervi mai piede; tuttavia potrebbe non essere così sciocca come sembra. Quando la Torà (Waiqrà/Lv 11,7) mette il suino nella lista degli animali proibiti al consumo alimentare dei figli di Israele, dà semplicemente i criteri per fare la distinzione tra animali puri e animali impuri, kasher i primi e non kasher i secondi: dei quadrupedi, solo quelli che hanno lo zoccolo spaccato e che ruminano sono ‘adatti’ al consumo; ma tali criteri non ci dicono affatto il perché alcuni siano kasher e altri no. Questa non-spiegazione ha offerto nel corso dei secoli il destro per le più diverse ipotesi, interpretazioni ed esplicazioni, da quelle più scientifiche, connesse all’igiene o all’ecologia, a quelle più simbolico-rituali.
Su alcuni fatti occorre comunque riflettere: il primo fatto è che la Torà non dà una spiegazione. Stando ai criteri posti, il maiale è proibito in quanto, pur avendo l’unghia fessa o spaccata, non rumina. Il secondo fatto è che, ancor oggi, il non-mangiar maiale è percepito come una specie di soglia d’identità, un campanello di auto-coscienza ebraica: molti ebrei non osservano lo shabbat e non pregano, forse non si attengono neppure ad altre regole della kasherut, ma non toccano una fetta di prosciutto. Come se l’astenersi dal consumo di quel tipo di carne fosse il limite oltre il quale ne andrebbe dell’identità stessa, dell’essere-ebrei. Ciò può sembrare incoerente o strano, ma è un fatto. Tale divieto poi, altro fatto rilevante, fu accettato molti secoli dopo la diffusione della Torà nel mondo anche dai fedeli di fede islamica, i musulmani, istituendo così un punto di contatto tra le due fedi monoteiste a dispetto dei conflitti teologico-politici tra le due religioni. I cristiani, non credendo al valore normativo della Torà, hanno rimosso del tutto le norme della kasherut.
Sia detto chiaro: è difficile addurre ragioni ‘scientifiche’ o ‘filosofiche’ tali per cui si possa affermare che le carni ovine o bovine sono buone, mentre mortadelle e salami no, e fanno male. Non è una questione di biologia e tanto meno di gusto. Molti rabbini si schierano con la tesi: ci si astiene non per la cosa in sé ma perché il Santo benedetto così ha voluto e ordinato. E in materia di mitzwot la volontà divina precede la nostra comprensione di quella volontà: cercare di capire un precetto non è sbagliato, anzi può essere meritorio (per chi ne abbia gli strumenti), ma capirlo resta secondario rispetto all’osservanza del precetto stesso. Assodato ciò, trovo illuminante un altro fatto, di diversa natura, che ci viene dalle ricerche archeologiche in Israele. Negli scavi sull’altopiano che attraversa la terra di Israele (già terra di Canaan), dove la maggior parte degli archeologi ritiene siano sorti i nuclei dell’antico popolo ebraico, o identificabili come ‘ebraici’ sulla base della ‘cultura materiale’ dei loro villaggi, sono state rinvenute le ossa degli animali allevati in quei nuclei e di cui la gente si cibava. A differenza che negli insediamenti di altre parti del paese, in quei villaggi – all’epoca delle monarchie israelite, ossia l’età del ferro – non sono mai state trovate ossa di maiale. Nello stesso periodo, invece, i filistei sulla costa mediterranea facevano ampio uso di carne suina. Probabilmente era così anche tra gli ammoniti e i moabiti a est del Giordano.
“Il divieto di mangiare maiale – scrivono gli archeologi Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman – non si può spiegare solo in base a ragioni economiche o ambientali: potrebbe essere infatti l’unico indizio del fatto che esiste una specifica identità comune agli abitanti dei villaggi degli altopiani a ovest del Giordano. Forse gli israeliti smisero di mangiare maiale solo perché le popolazioni che li circondavano, i loro avversari, lo mangiavano, e loro avevano cominciato a considerarsi diversi. Pratiche culinarie peculiari e abitudini alimentari sono due dei modi in cui si costituiscono dei confini etnici. Il monoteismo e le tradizioni dell’Esodo e del Patto in apparenza arrivarono molto più tardi. Mezzo millennio prima della composizione del testo biblico, con le sue leggi dettagliate e le sue regole alimentari, gli israeliti scelsero, per ragioni che non sono del tutto chiare, di non mangiare maiale. Quando i moderni ebrei fanno lo stesso, stanno continuando la più antica pratica culturale del popolo di Israele attestata archeologicamente” (da: Le tracce di Mosè, Carocci 2002, p.134). Libero chiunque di mettere in dubbio o di ignorare questa ricerca scientifica, ma il dato che essa fornisce non può non farci pensare e persino rivalutare questa ‘legge di Mosè’ che gli ebrei delle origini avavano già abbracciato ‘prima di Mosè’.
Un ulteriore riferimento al (non) mangiar maiale lo si trova nel midrash alla meghillà di Qohelet (Qohelet rabbà I, 28) là dove si narra che i romani interrogarono Rabbi Meir – che fu allievo sia del grande martire Rabbi ‘Aqivà sia del grande apostata Elishà ben Abuyà – circa il fatto che maiale, in ebraico, si dica chazir [chiara fiction rabbinica: sono gli ebrei che vogliono saperlo, non certo i romani!]. Rabbi Meir rispose: “Perché è destinato a restaurare (lehachzir) il potere di coloro che ne sono legittimi depositari”. Risposta sibillina, che viene interpretata in chiave teologico-politica: il maiale è come una linea di demarcazione tra chi ha usurpato (coloro che si cibano di carne suina), ossia gli stessi romani, e chi è proprietario legittimo (coloro che non se ne cibano), ossia i giudei: chi è fedele alla Torà alla fine vedrà la restaurazione del Tempio (non aveva gioito Rabbi ‘Aqivà allorché vide una volpe attraversare le rovine dell’Har ha-bait?). È una risposta in codice, quella di Rabbi Meir, che infatti prosegue e insiste: “In futuro il lupo avrà una pelliccia di lana pregiata…”, che ricorda un altro famoso rimprovero semitico: lupi vestiti da agnelli. Non un complimento, per i romani.
Altro riferimento al maiale, nella stessa pagina. Ai rabbini è attribuita quest’immagine: “Nel mondo futuro il Santo benedetto manderà un messaggero ad annunciare: ‘Tutti coloro [tra gli ebrei] che nella loro vita non hanno mai mangiato carne di maiale riceveranno ciascuno la propria ricompensa; ma anche coloro che tra i gentili non hanno mai mangiato carne di maiale, riceveranno ciascuno la propria ricompensa’. Ma poi ci ripenserà e dirà: ‘Ma se hanno già goduto la loro ricompensa in questo mondo, perché dovrebbero goderne anche nell’altro? Cercano di godere anche del mondo dei miei figli?’”. Buffo modo di ragionare: prima si ‘apre’, ricompensando con i due mondi – di qua e di là – tutti quelli che si astengono dal mangiar maiale; poi si ‘chiude’, riservando il mondo futuro soltanto a Israele… Questa è la dialettica rabbinica in tempi di persecuzioni, come fu l’epoca di Rabbi ‘Aqivà, di Rabbi Shim‘on bar Yochai e di rabbi Meir: universalismo sì, ma temperato con iniezioni di giustizia e con una speranza particolare, ‘etnica’ secondo i nostri archeologici; ‘nazionale’ secondo il patriottismo sionista. Infatti, l’ebreo che mangia maiale – esempio citato, con realismo, nella letteratura yiddish – vuol dire ai suoi correligionari (e a se stesso): ecco, trasgredisco intenzionalmente, quindi mi sono emancipato, mi voglio assimilare, basta con le tradizioni… Salvo che lo dice con il più acuto ed ebraico dei sensi di colpa. Peccato che Freud non ci abbia scritto sopra un libretto dei suoi.
Massimo Giuliani insegna Pensiero ebraico all’università di Trento e Filosofia ebraica nel corso triennale di Studi ebraici dell’Ucei a Roma
molto interessante.
Una risposta ad una delle più diffuse domande che molt* di noi probabilmente si sono sentit* porre.
Grazie a Joimag e collaboratori che spiegano in modo chiaro molti aspetti dell’ ebraismo.
Il non mangiar maiale rientra nel più generico non mangiare animali che mangiamo abitualmente o possono mamgiare occasionalmente altri animali. Questo il principio di partenza. Quali sono sivuramemte quegli animali che non mangiano sicuramente altri animali? Quelli che non ruminano. Ma come potevano gli Ebrei sapere se un animal ruminava o meno? O ne conoscevano le abitudini o dovevano osservarlo. Potevano però stare ad aspettare ore per vedere se l’animale fosse ruminante? No. Evvo allora la regola dello zoccolo: l’animale con lo zoccolo non è cacciatore e dunque non mangia abitualmente animali. Il maiale si colloca nel mezzo: ad una osservazione veloce (zoccolo o meno) sembrerebbe cashèr, per questo è diventato emblematico come animale non ammesso: ha lo zoccolo spaccato, ma non rumina e pertanto mangia altri animali. Riassumendo: la regola di partenza è che gli Ebrei mon mangianp animali che mamgiano altri animali (guarda anche tra i volatili in cui i proibiti sono i rapaci e i notturni (questi ultimi in quanto non se ne conoscono le abitudini alimentari).
Riassunto: Questione di virus.
Interessante ma perché gli ebrei non mangiano animali che mangiano altri animali?
Buongiorno e complimenti.
Ma non potrebbe essere stata in origine un’abitudine sanitaria per il fatto che la carne di maiale mal conservata va a male ed è pericolosa per la salute molto più di altra carne?
Anche questo potrebbe essere stato osservato.
Il tutto per un ideale di vita amorevole e rispettosa della vita e dei simili ed edtendere questa giusta scelta e preferenza etica snche al mondo animale scegliendo di cibarsi di animali pacifici e rigettare quelli aggressivi e sanguinari distinguendo anche tra gli snimali i migliori col non accettare la violenza insita nello sbranarsi degli animali con l’unghia divisa
Buongiorno, volevo sapere le ragioni di allevare mandrie di maiali(cfr. La parabola dei demoni che fanno morire più di mille porci) se gli ebrei non potevano mangiarli. Grazie. Saluti.
troppo corto