Un itinerario lungo i versi di Umberto Saba per incontrare Svevo, Joyce e il dottor Weiss
Indecisa tra la sua algida natura nordica e la tiepida dolcezza mediterranea, Trieste ha molte nature. È questo, forse, che la rende così affascinante. “A Trieste dove vi sono tristezze molte, e bellezze di cielo e di contrada”, come la descrive Umberto Saba (in Via del Monte), cantore di Trieste e della sua comunità ebraica in molte composizioni del Canzoniere, è rimasto tutta la vita legato alla propria città di origine. Così legato che ancora oggi è possibile incontrarlo all’angolo tra via Dante e via San Nicolò, cristallizzato in una eterna passeggiata da una statua di bronzo che si confonde tra la gente. E le sue poesie sono un primo spunto per visitare Trieste. Non lontano da via Dante, a seguire i passi di Saba, possiamo scoprire due importanti testimonianze della presenza ebraica in città: il sontuoso Palazzo Terni, straordinario esempio di architettura Liberty oggi sede di un hotel, il Palace Suite, e Palazzo Treves, dell’omonima famiglia di editori, all’angolo con Corso Italia.
La via del Monte dell’omonima poesia è un esempio perfetto di quella che è Trieste, con le sue contraddizioni e i suoi repentini salti di registro. A cominciare dalle stesse memorie ebraiche. È di questa via, ad esempio, che si parla in un documento del 1446 relativo all’acquisto, da parte di Michele, figlio di Salomone da Norimberga, di una vigna da destinare a cimitero proprio ai piedi dell’erta cantata da Saba che si inerpica sul colle di San Giusto. Qui, per quattro secoli, fino al 1843, hanno trovato sepoltura gli ebrei triestini e qui sono rimaste (e in seguito disperse) numerose pietre tombali che attestano la presenza ebraica in città. Tra quelle recuperate, gli storici ricordano quella di Rachel, figlia di Jehudà, morta nel 1448 e oggi conservata nel Civico Orto Lapidario. Annesso al Museo d’Antichità J. J. Winckelmann, in piazza della Cattedrale 1, il polo espositivo fa parte del complesso di San Giusto Martire, monumentale costruzione che guarda il mare dalla cima di un’altura.
Tornando su via del Monte, è qui che aveva casa anche l’amatissima balia di Saba ed è sempre su questa strada che si affacciava la Sinagoga Vivante, dove il poeta si sposò nel 1909. All’inizio della via “dei santi affetti” si trova poi uno degli edifici più significativi per la storia degli ebrei triestini, il Museo della Comunità Ebraica Carlo e Vera Wagner. Inaugurato nel 1993 per volontà di Mario Stock, di Gianna, unica figlia rimasta dei coniugi Wagner, e del marito Claudio de Polo Saibanti, il Museo accoglie i visitatori da due discreti portoncini aperti sulla ripida via in salita.
Un tempo ospedale ebraico, i locali ai civici 5 e 7 avevano ospitato la sede dell’Agenzia ebraica accogliendo i profughi in fuga dai nazisti che s’imbarcavano da Trieste diretti in Palestina o nelle Americhe. Fino al 1987 vi era rimasto in funzione anche un oratorio di rito ashkenazita, oggi parte della struttura. Riallestito dalla comunità tra il 2014 e il 2015, il Museo, tra i più importanti d’Italia per quantità e qualità delle opere e dei documenti esposti, si sviluppa su due piani e ospita la collezione di Judaica della Comunità locale, ripercorrendone sette secoli di presenza, con oggetti di arte rituale un tempo conservati nelle antiche piccole sinagoghe (o scole). Una sezione specifica conserva invece la documentazione sulla storia e la memoria degli ebrei triestini durante la Shoah.
Usciti dal museo, si può scegliere se tornare verso il mare, negli antichi luoghi del ghetto ma anche dei sontuosi palazzi dell’Ottocento, epoca d’oro degli ebrei giuliani, o arrampicarsi in collina, in visita al Cimitero di via della Pace. Istituito nel 1843 grazie a una convenzione con il Comune, questo cimitero aveva preso il posto di quello antico di via del Monte, chiuso perché ormai troppo vicino alle abitazioni e troppo piccolo per le esigenze della comunità. Adiacente al camposanto cattolico di Sant’Anna, il Nuovo Cimitero Ebraico è un luogo dal fascino indiscutibile, dove le fastose tombe ottocentesche delle famiglie di più lunga tradizione si confondono in mezzo a una vegetazione rigogliosa quanto irrispettosa. Tra le lapidi, anche di epoche più antiche, vanno segnalate quelle di diversi rabbini del Sette e Ottocento, traslate dall’antico sito, insieme a circa altre 2400 qui trasportate nel 1909, in occasione della trasformazione dell’antica area in parco pubblico.
Se si prosegue lungo la via della memoria, si raggiunge quella tragica della Risiera di San Sabba. Costruita nel 1898 per la pilatura del riso, l’imponente e inquietante struttura si trova nella periferia sud della città, in via Giovanni Palatucci 5. L’ 8 settembre 1943 i nazisti la trasformano in campo di prigionia e smistamento dei deportati diretti in Germania e Polonia. Ne avevao fatto anche un deposito dei beni razziati, ma anche un luogo di detenzione e eliminazione dei detenuti, principalente prigionieri politici ed ebrei. San Sabba è stato un vero e proprio campo di concentramento, con l’atroce primato di essere stato l’unico in Italia dotato di forno crematorio. Dichiarata Monumento Nazionale nel 1965, diventata un museo aperto al pubblico dal 1975 grazie agli interventi dell’architetto Romano Boico e dal 2016 presenta un nuovo allestimento ricco di approfondimenti multimediali. Chi desiderasse completare la conoscenza di questi luoghi scellerati e la memoria di quanti vi furono rinchiusi, potrà trovare la trascrizione di scritte e graffiti, un tempo presenti sui muri delle celle, nei diari dello studioso e collezionista Diego de Henriquez. Sono conservati nel Civico Museo della Guerra per la Pace, in via Cumano 22.
Rientrando nel centro storico, è inevitabile fare un salto in uno dei luoghi simbolo della città, la piazza aperta sul mare più grande d’Europa, Unità d’Italia. Maestosa e severa, è da sempre il luogo delle principali manifestazioni cittadine, comprese quelle meno felici. Come ricordano due targhe inglobate nella pavimentazione, fu proprio qui, il 18 settembre 1938, che Benito Mussolini annunciò l’imminente promulgazione delle norme razziali sul territorio italiano, stravolgendo la vita, solo in città, a migliaia di persone: la comunità triestina in quel momento contava oltre 5000 persone.
Oltre a Saba, di origini ebraiche per parte di madre, è impossibile non citare Italo Svevo. Al pari del collega, dell’autore di Senilità si incontra una statua a passeggio in piazza Hortis 1, in pieno centro e alle spalle del porto. Di Svevo si può seguire l’immaginaria camminata passando tra le stradine dietro piazza Unità che un tempo circoscrivevano il ghetto. Nel quartiere di Riborgo, tra i portici e le viuzze oggi completamente rinnovati che si articolano intorno a via delle Beccherie, nel 1696 si trovavano le tredici case destinate ai neppure cento ebrei presenti al tempo in città. Per la verità, questo non era il primo dei ghetti istituiti a Trieste. L’anno prima, infatti, era stato imposto alla comunità di rinchiudersi nelle case affacciate su piazzetta Trauner, che però si era rivelata troppo piccola e ai tempi considerata troppo decentrata per gli affari commerciali. Una visita a questa deliziosa corte è comunque consigliata, non fosse che per dare un’occhiata a quella che, secondo una leggenda popolare non documentata, sarebbe stata la prima sinagoga cittadina, riconoscibile da una bifora trecentesca che ne impreziosisce la facciata.
Totalmente demolito tra il 1934 e il 1938 per la decisione di rinnovare il centro storico cittadino, dell’antico ghetto oggi rimane solo la distribuzione urbanistica delle strette vie adornate di negozietti, nonché la parete di un edificio sinagogale demolito, che ora si può vedere in piazzetta Bronzin, tra via Tor Bandena e via delle Beccherie. Sempre a proposito di sinagoghe, va poi detto che delle quattro “scole” con rito tedesco e sefardita che servivano l’ormai popolosa comunità Sette-Ottocentesca triestina non ne è rimasta più nessuna, essendo state demolite e sostituite dall’attuale Tempio Maggiore.
Progettata dagli architetti Ruggero e Arduino Berlam e inaugurata nel 1912, la sinagoga di via San Francesco 19 è una delle più maestose d’Europa nonché un segno inequivocabile dell’importanza che la comunità triestina aveva raggiunto all’inizio del XX secolo. Contraddistinto da richiami orientaleggianti che tornano nelle bifore, nelle colonne, negli intagli e nei rosoni che disegnano la stella di Davide, il complesso monumentale comprende l’Oratorio, oggi usato durante la settimana, nei digiuni e nelle mezze feste, e la Grande Sinagoga, impiegata nelle festività maggiori.
La sala da preghiera principale, a pianta rettangolare, si articola in tre navate che culminano nella maestosa abside dalla volta a mosaico luccicante, mentre l’Aròn dalle porte di rame dorato è sormontato da un’edicola in granito rosa che sorregge le tavole della legge con quattro colonne. Esternamente, l’edificio si apre su via Donizetti e via Zanetti, oltre che su via San Francesco, con facciate architettonicamente diverse ma con una serie di fregi e di ornamenti che si ripetono garantandogli una continuità. L’ingresso principale si trova in via Donizetti, dove il grande portale viene aperto nelle festività più importanti, mentre l’accesso alla Sinagoga avviene dal piccolo loggiato di via San Francesco. Nello stesso complesso si trovano anche gli uffici della Comunità, la biblioteca, l’archivio storico e il mikveh.
Accanto alla sinagoga, confinante con l’unico suo lato chiuso, sorge un altro tempio, questa volta della cultura cittadina, il Caffè San Marco. Vera istituzione per i triestini, il locale è stato fondato appena due anni dopo il Tempio, nel 1914, e in breve tempo è diventato il punto di ritrovo per eccellenza del mondo intellettuale cittadino. Raccontato magistralmente da Claudio Magris in un capitolo di Microcosmi, questo locale dagli arredi lucidi e scuri, gli specchi e i tavolini dalle gambe in ghisa ha accolto in più di un secolo di storia scrittori e studenti, intellettuali, rivoluzionari e artisti. Oltre ai già citati Saba e Svevo, allo scrittore Giorgio Voghera e allo stesso Magris, tra i suoi avventori più illustri vanno ricordati nomi del calibro di James Joyce e dello psicanalista Edoardo Weiss.
Reso il dovuto omaggio anche a questi luoghi (e possibilmente rifocillati), non resta che riprendere il vagabondaggio nella città mitteleuropea. Chi ha ancora tempo e gambe potrà tornare da dove era partito, presso la statua di Umberto Saba in via Dante e da qui raggiungere la Libreria Antiquaria che porta il suo nome, in via San Nicolò 30. Acquistata dal poeta nel 1919, era stata precedentemente di proprietà dell’editore croato Giuseppe Mayländer e con Saba si era affermata come un altro dei ritrovi preferiti da intellettuali come Italo Svevo, Giani Stuparich e Carlo Levi. Dal 1981 l’Antiquaria è gestita da Mario Cerne, figlio di Carletto, storico commesso e poi socio di Saba, e tra i suoi scaffali traboccanti di libri, stampe, carte e dipinti, conserva miracolosamente tutto il profumo (piacevolmente polveroso) di un’epoca perduta.
Informazioni sulle visite guidate e altri appuntamenti sul sito della Comunità Ebraica triestina