L’obiettivo del rabbino Yehoshua Soudakoff è rendere il giudaismo accessibile anche ai quindicimila israeliani sordi o ipoudenti e, più in generale, ai 40-50mila ebrei di tutto mondo che comunicano nella lingua dei segni
Tradurre la Torah nel linguaggio dei segni. A prendersi questa grossa responsabilità è stato Yehoshua Soudakoff, l’unico rabbino non udente in Israele. Come riporta Jewish News, l’obiettivo è quello di rendere il giudaismo accessibile anche ai 15mila israeliani sordi o ipoudenti e, più in generale, ai 40-50mila ebrei di tutto mondo che comunicano nella lingua dei segni. Per Rabbi Soudakoff dare vita alle storie è fondamentale perché la Torah deve essere letta ad alta voce in Sinagoga tre volte alla settimana ed è quindi «un qualcosa da vivere insieme, coinvolgendo l’intera comunità in una esperienza condivisa. Questo è particolarmente importante per i sordi, che invece troppe volte si sentono esclusi».
Nato negli Stati Uniti da una famiglia di non udenti, Soudakoff si ritiene un privilegiato perché fin da piccolo ha avuto intorno a sé chi sapeva comunicare con lui nel modo corretto, ma riconosce che il suo è un caso statisticamente raro e che molti bambini non ricevono lo stesso aiuto in casa. Del resto, aggiunge, «i genitori dei non udenti non hanno una laurea in educazione dei sordi, partono da zero. Così i bambini finiscono spesso col sentirsi persi». Questo è un fatto molto frustrante per i piccoli anche in campo religioso perché «il genitore potrebbe avere solo il tempo di proporre una breve sintesi dei testi e non il racconto completo».
La traduzione dei 24 Libri potrà finalmente offrire un accesso diretto alla fonte, anche se l’impresa, ammette il suo responsabile, non sarà certo facile. La sua squadra, che coinvolge sia studiosi sia attori, al momento ha portato a termine solo il Libro di Ruth, mentre la traduzione della Genesi e di Ester è a metà strada. Per completare il lavoro ci vorranno circa 15 anni. «Ogni team – spiega il rabbino – richiede due persone che comunichino fluentemente nel linguaggio dei segni, uno studioso che sappia interpretare le Scritture e un attore che sia abile nell’esprimere le parole nel formato visivo. Dobbiamo poi testare la traduzione su diverse persone per capire se tutti la capiscono e passare quindi alle riprese professionali, aggiungendo in post-produzione didascalie e animazioni».
Punto nodale della questione è proprio il fatto che qui le immagini sono essenziali. «Il nostro linguaggio non è lineare, ma visivo». Da qui nascono non poche «difficoltà con la traduzione dei testi, cosa che non accadrebbe con la versione in altre lingue». Rabbi Soudakoff porta come esempio il libro di Ruth. «Nella parte in cui Boaz offre il pane a Ruth, ci si deve chiedere “Che tipo di pane è?”, “È una focaccia?”, “È rotondo?”. Non abbiamo certo fotografie che ci vengano in soccorso. Il problema con la parola scritta è che non è visiva, così noi dobbiamo scegliere un modo univoco per esprimerla. Il segno per il pane potrebbe indicare molte cose, il che ci obbliga a fare molte ricerche archeologiche e storiche per assicurarci che lo stiamo traducendo accuratamente».
Oltre a questo progetto, Rabbi Soudakoff gestisce anche un campo estivo internazionale per bambini non udenti e ipoudenti. I campeggiatori provengono da tutto il mondo e gli stessi animatori e responsabili dei gruppi sono sordi. «L’impatto è più forte quando i campeggiatori vedono che il centro è diretto da ebrei sordi e ipoudenti come loro. Improvvisamente si rendono conto che non ci sono limiti e che le persone come loro ora non solo possono partecipare alla vita ebraica, ma possono anche fare da guida e aiutare gli altri».
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.