Per combattere le ingiustizie, la crudeltà e l’indifferenza, diceva lo scrittore, occorre prendere posizione. E la sua è il vegetarianesimo
“Più volte ho pensato che per quanto riguarda il suo comportamento verso gli animali, ogni uomo è un nazista”, afferma Joseph Shapiro, sopravvissuto alla Shoah che nella New York del dopoguerra vive da convinto vegetariano. Joseph è il protagonista del romanzo Il penitente, ma è soprattutto proiezione del suo autore Isaac Bashevis Singer, la cui intera opera è costellata di riferimenti alla sofferenza degli animali e alla scelta del vegetarianismo, anche con accostamenti forti che hanno fatto inevitabilmente discutere. Per un’ironia della storia si chiama (Peter) Singer il filosofo morale contemporaneo pioniere del movimento per i diritti degli animali che in un testo di grande influenza intitolato Liberazione animale ha esposto le tesi contro lo specismo, cioè la discriminazione sulla base della specie.
Isaac B. Singer, con Albert Einstein e pochi altri, va annoverato tra i più noti vegetariani prima che l’astensione dal consumo di carne diventasse in molti paesi occidentali pratica diffusa, e non a caso viene citato a ripetizione nella galassia di siti green e veg, luoghi virtuali in cui non di rado la sua posizione viene trasformata in aforisma e l’aforisma in slogan, un peccato sia perché impoverisce le articolate convinzioni dello scrittore sia perché trascura il realismo drammatico delle sue parole scritte.
Le opere di Singer nascono da un contesto preciso, quello della cultura yiddish in Polonia, parzialmente sopravvissuta a New York e in altri luoghi degli Stati Uniti dopo la Shoah, ma fanno rivivere la condizione umana universale, secondo la motivazione con cui all’autore venne conferito il premio Nobel per la letteratura nel 1978. Ma per Singer il modo di porsi nei confronti degli animali sta al cuore dell’indagine sull’uomo, perché rivela, nella maggior parte dei casi, i suoi atteggiamenti di sopraffazione, dominio, indifferenza e giustificazione delle sofferenze altrui. Alla scelta di rappresentare in molti luoghi della sua ampia opera la sofferenza degli animali, d’altra parte, corrisponde la scelta di Singer, che dal 1962 alla morte si attenne a una rigorosa dieta vegetariana e che già molti anni prima era critico nei confronti delle pratiche di macellazione in uso, a partire da quelle ebraiche che pure si ispirano al principio di minimizzare la sofferenza animale. Nel 2005 l’editore Casagrande ha pubblicato in italiano, con il titolo Come mai Dio non è vegetariano?, un’intervista e alcuni discorsi di Singer che pongono il problema nella sua complessità anche teologica.
Alcuni trai protagonisti dei romanzi di Singer sono vegetariani convinti oppure incerti se diventarlo, come Herman Broder in Nemici. Una storia d’amore. Herman è arrivato a New York subito dopo la guerra, sopravvissuto alla Shoah grazie a una contadina polacca semianalfabeta che lo ha nascosto per tre anni in un fienile e che poi lui ha sposato; un giorno, inaspettata, compare la prima moglie Tamara, che si credeva assassinata dai tedeschi; e c’è infine Masha, scampata ai lager, in cui il desiderio della vita si intreccia a pulsioni distruttive e di cui Herman non riesce a fare a meno. Herman, inseguito nel suo vagare tra le tre donne dagli incubi dei sopravvissuti, “da qualche tempo pensava di diventare vegetariano” e perciò rifiuta un galletto. “Un pollo aveva donato il collo alla commemorazione del sacrificio di Pesach”, scrive Singer, evidenziando il paradosso della celebrazione della libertà dell’uomo con un banchetto in cui si consumano animali uccisi; e non il solo galletto, anche “un pesce del fiume Hudson o di qualche lago aveva pagato con la vita perché Herman potesse ricordare i miracoli dell’esodo dall’Egitto”. In un altro passo del romanzo Herman allo zoo vede gli occhi del leone che “esprimevano la disperazione di coloro ai quali non è concesso né di vivere né di morire […] e il lupo che andava su e giù, girando nella sua stessa pazzia”, vede insomma la propria esistenza in bilico dopo che il suo mondo è stato cancellato nei ghetti e nei lager. La conclusione non potrebbe essere più radicale: “Come gli ebrei, gli animali sono stati trascinati qui da tutte le parti del mondo, condannati all’isolamento e alla noia”.
L’accostamento con la Shoah torna in modo perfino più esplicito nel racconto L’uomo che scriveva lettere: “Herman pronunciò mentalmente l’elogio funebre della topolina che aveva diviso con lui un tratto della propria vita e che per colpa sua se n’era andata da questa terra: ‘Che ne sanno di quelli come te gli studiosi, i filosofi, i leader di questo mondo? Si sono convinti che l’uomo, il peggior trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno’”.
Nel romanzo Satana a Goraj Singer descrive la brutalità quotidiana che si consuma nei mattatoi, luoghi di morte in cui le norme della macellazione rituale non risparmiano di fatto le sofferenze agli animali. Nel racconto Il macellatore il protagonista Yoine Meir, che svolge il lavoro di shokhet suo malgrado, viene risucchiato nella crescente ossessione per l’uccisione degli animali, uccisione che “gli causava lo stesso dolore che avrebbe provato se avesse tagliato la gola a se stesso”. Negli incubi Yoine immagina mandrie di animali insanguinati che gli sputano addosso bava e fiele, al punto da portarlo a rivolgersi direttamente a Dio: “Padre del Cielo, tu sei il macellatore e l’angelo della morte! Il mondo intero è un macello!”.
La pratica efferata della shekhità e della macellazione in genere viene descritta anche nella Famiglia Moskat e in alcuni racconti della raccolta Gimpel l’idiota, tra cui quello intitolato Sangue è di particolare significato. La protagonista di Sangue è Risha, una donna in cui la passione per la carne, cioè l’adulterio, si sviluppa insieme a quella per il sangue, cioè la macellazione di animali e il godimento per questo. In breve l’uccisione seriale delle bestie conduce, in un percorso dai motivi infernali, alla vendita di carni di animali non consentiti, come i maiali, facendoli passare per kasher. Quando i macellai rivali mandano una spia a sorvegliare il macello di Risha questi vede un servo condurre gli animali impastoiati, poi la donna impugnare un lungo coltello e squarciare la gola delle bestie, una dopo l’altra. “Il sangue fumigante gorgogliava e scorreva. Mentre le bestie morivano dissanguate, Risha si spogliò completamente e si distese nuda su un mucchio di paglia”. Reuben, l’amante, la raggiunge “ed erano così grassi che i loro corpi a malapena potevano unirsi. Respiravano a fatica e ansimavano. I loro ansiti, uniti ai rantoli di morte delle bestie, formavano un suono lugubre; ombre contorte si proiettavano sulle pareti; il macello era saturato dal calore del sangue”. L’informatore, “pur essendo un farabutto, si sentì terrorizzato perché soltanto due demoni potevano comportarsi così” e fugge. Quando l’inganno viene scoperto il rabbino dello shtetl, “constatando che la situazione poteva sfociare soltanto in uno spargimento di sangue”, come scrive Singer non senza ironia, cerca invano di calmare la folla. Risha però, con il coltello ancora insanguinato in mano, grida che ucciderà chiunque avanzi come i cavalli e i porci che ha fatto mangiare loro e che non ha bisogno del loro Dio: “Mi convertirò […]non voglio più appartenere a questa lurida setta”. A queste parole gli ebrei cominciano ad avere paura davvero perché sanno che gli apostati sono spesso i peggiori nemici del popolo ebraico. Risha prende il nome di Maria Pawlowska; la storia termina con la sua morte con il coltello da sgozzatrice in pugno in una scena notturna che fa pensare ai concittadini che si sia trasformata in lupo mannaro.
La caccia è unita alla macellazione nel giudizio di Singer. In Ombre sull’Hudson afferma che “fino a quando le altre nazioni continueranno ad andare in chiesa al mattino e a caccia nel pomeriggio, resteranno bestie scatenate destinate a produrre altri Hitler e altre mostruosità”. Gli uomini, d’altra parte, non sono neppure sfiorati dall’idea che “esseri innocenti soffriranno e moriranno a causa di questo divertimento innocente”. Analoga la posizione dello scrittore sull’utilizzo di animali nei laboratori: “Non potrò mai dimenticare le crudeltà perpetrate contro le creature di Dio nei macelli, con la caccia e nei vari laboratori scientifici”.
Sono frasi radicali, tanto più considerando l’epoca in cui sono state scritte e che l’autore aveva assistito alla distruzione del suo mondo, lo stesso mondo che raffigura con ineguagliato realismo in tanti libri. Per provare a capire è forse utile sottolineare alcuni elementi della sua posizione.
Innanzitutto la scelta vegetariana come protesta verso il comportamento collettivo. “Essere vegetariano”, spiega Singer, “significa essere in disaccordo – in disaccordo su come va il mondo oggigiorno. Carestie, crudeltà – dobbiamo prendere una posizione contro queste cose. Il vegetarianismo è la mia presa di posizione. E penso che sia una presa di posizione consistente”.
In secondo luogo la convinzione del nesso tra uccisione e pace nel contesto della creazione, in cui l’uomo non viene posto con la delega al dominio incontrollato, ma alla valorizzazione e al miglioramento di quello che lo circonda, di cui è responsabile. Con le parole di Singer, “fino a quando le persone spargeranno il sangue delle creature di Dio, non ci sarà pace sulla terra. C’è solo un passo tra lo spargere sangue animale e lo spargere sangue umano”.
Da questo, di cui il racconto Sangue è l’exemplum, discende per lo scrittore che “ciò che i nazisti hanno fatto agli ebrei, gli umani lo stanno facendo agli animali”. Infatti “tra uccidere animali e creare camere a gas di stampo hitleriano o campi di concentramento di stile staliniano, il passo è assai breve: non ci sarà giustizia fino a che un uomo brandirà un coltello o un’arma per distruggere coloro che sono più deboli di lui”.
E’ quindi evidente che la scelta vegetariana non è per Singer una semplice preferenza alimentare ma un modo di porsi nel mondo, o meglio nel contesto della creazione: la risposta alla crudeltà umana, all’abuso di potere e al disprezzo della vita, tutte cose esemplificate dalla Shoah al massimo grado. Secondo Janet Hadda, autrice della biografia Isaac Bashevis Singer: a Life, è proprio il pensiero della Shoah, e non la sua trivializzazione, a portare lo scrittore a ritenere il consumo di carne equivalente all’accettazione dell’uccisione di creature innocenti. Che gli animali creati da Dio vengano uccisi e fatti a pezzi e esposti in vetrine e comprati e mangiati, spiega Singer, è una prassi che molte persone non considerano problematica, e proprio questo è il problema, perché la scarsa attenzione verso le sofferenze animali mostra con quanta facilità si accetti che l’uomo possa fare tutto ciò che vuole delle creature più deboli. Questo, suggerisce ancora Hadda, rendeva Singer infelice perché esemplificava il dominio del forte sul debole e la giustificazione di questo stesso dominio. Lo scrittore, in altre parole, non intendeva sminuire la Shoah ma evocava lo sterminio per sottolineare che gli uomini possono compiere atrocità nei confronti di altre creature senza nemmeno scalfire l’immagine che hanno di se stessi. La sensibilità nei confronti degli animali, inoltre, può insegnare all’uomo a limitare la violenza verso i suoi stessi pari, anche se il vegetarianismo di Singer non deve apparire strumentale alla coesistenza tra uomini. Quando gli chiedevano se era vegetariano per motivi di salute rispondeva invariabilmente: “Sì, per la salute degli animali”.