Chi sono i giusti e quali sono i criteri per stabilirlo? Lo abbiamo chiesto al professore emerito, membro della commissione di Yad Vashem. E il caso Bartali è tornato fuori…
Come si fa a decidere chi sono i giusti? Quali sono i criteri in base ai quali si può nominare una persona giusta tra le nazioni? E cosa significa ricordare i giusti? Ne abbiamo parlato con Sergio Della Pergola, professore emerito dell’Università ebraica di Gerusalemme e membro del comitato di Yad Vashem per il riconoscimento dei giusti.
“Tra le funzioni di Yad Vashem c’è anche quella della Commissione per il riconoscimento dei Giusti. Si tratta di una commissione autonoma, composta da storici e testimoni della Shoah, che si esprimono in base a criteri ben precisi. Attualmente il presidente della commissione è l’ex giudice della corte suprema Jacob Turkel che ne garantisce l’imparzialità. Obiettivo della commissione è condurre una ricerca storica capace di individuare l’operato dei giusti e di onorarne la memoria, al di fuori di qualsiasi pressione politica. Le candidature, che possono essere proposte dai famigliari dei salvatori o dai famigliari dei salvati o da testimoni, vengono esaminate inizialmente da un apparato di ricercatori di Yad Vashem per metterle poi al vaglio della commissione che, dopo in approfondito dibattito, decide con una maggioranza dei due terzi”.
Quali sono i criteri per dichiarare una persona come Giusto?
“I criteri sono piuttosto rigidi e vincolanti. Occorre che si tratti di non ebrei che hanno aiutato ebrei a salvarsi. Occorre che il fatto sia avvenuto e dunque documentato attraverso le testimonianze e la precisa identificazione del (o dei) salvatori e del (o dei) salvati. L’azione dev’essere disinteressata, cioè senza compensi rilevanti. Occorre poi che il salvatore abbia messo a rischio la propria vita, il che crea una distinzione tra persone buone che hanno fatto azioni positive (come per esempio indicare a chi era in pericolo dove avrebbe potuto trovare rifugio), e chi è stato coinvolto direttamente in contatto con il nemico. Ci sono solo alcune eccezioni, come nel caso di diplomatici di alto bordo o prelati di alto rango i quali non mettevano a rischio la propria vita, ma la propria posizione. Infine, non può essere considerato giusto chi ha compiuto, pur nella condizione di rischio, un’azione di salvataggio ma ne ha compiute altre in direzione contraria (ci sono stati casi di chi ha salvato una vita ma ne ha mandate altre alla morte). La commissione di Yad Vashem applica questi criteri per valutare storie di giusti in tutti i paesi del mondo”.
Quanti sono i giusti attualmente?
“Fino a oggi sono stati approvati oltre 27mila giusti e di questi circa 700 italiani. Dunque la presenza italiana è piuttosto dignitosa, considerando che all’epoca dei fatti la popolazione ebraica in Italia non ragigungeva le 50mila persone. Il numero di giusti nel paese (relativamente all’ammontare della popolazione ebraica) è più alto rispetto a quelli della Germania o della Polonia, dove la popolazione ebraica era decisamente più numerosa. E questo è spesso un elemento di discussione, perché va capito che l’incidenza della Shoah è stata diversa in ogni paese, condizionata in parte anche dall’atteggiamento della popolazione di maggioranza”.
Oggi si parla spesso a proposito dei Giusti di quanto sarebbe importante ricordare gli ingiusti.
“Certamente ricordare i carnefici è fondamentale, ma chiaramente l’una cosa non esclude l’altra. Nel contesto della Shoah ci sono quattro figure: i salvatori, i salvati, i carnefici e le vittime e ognuno merita l’attenzione della storia. La nostra commissione a Yad Vashem si occupa del rapporto tra salvatori e salvati e esprime il dovere di gratitudine verso chi ha aiutato le persone a salvarsi. Ma l’altra faccia della stessa medaglia riguarda il rapporto tra carnefici e vittime, e anche questo va non solo studiato ma anche risolto nei tribunali. Un’altra polemica intorno ai Giusti riguarda il fatto di considerare soltanto chi ha aiutato gli ebrei, mentre ci sono anche Giusti che hanno aiutato i non ebrei, così come oltre alla Shoah ci sono stati altri genocidi. Ritengo giovanilista fare una contrapposizione tra questi fatti. La Shoah ha delle peculiarità che la rendono unica e che è doveroso ricordare. Anche gli altri hanno il dovere di ricordare, e se non lo fanno è una loro grave manchevolezza. Un’altra polemica ancora riguarda il Giorno della Memoria, istituito per ricordare le vittime della Shoah. C’è chi vorrebbe dedicare il 27 gennaio al ricordo delle vittime di tutte le oppressioni e tragedie, incluse quelle del covid-19. Ma c’è un fatto che mi pare non sia stato interiorizzato che riguarda la risposta alla domanda: chi deve ricordare? Il giorno della Memoria non riguarda gli ebrei: è per i non ebrei che sono invitati a ricordare la Shoah. Anche perché le determinanti causali che l’hanno provocata ci sono ancora”.
A proposito di polemiche, c’è anche quella sul caso Bartali, tornata alla ribalta proprio quest’anno.
“È una vergogna. Da decenni Bartali era noto per aver aiutato gli ebrei nel territorio tra Toscana e Umbria trasportando i documenti falsi. Era molto cattolico e legato al Cardinale di Firenze Elia Della Costa, a sua volta Giusto tra le Nazioni per la sua azione di salvataggio insieme al giovane rabbino Nathan Cassuto, deportato a Auschwitz e morto nel 1945. Lo storico Stefano Pivato ha recentemente ripubblicato un libro in cui sostiene che quella di Bartali sia una storia inventata in ambito sportivo allo scopo di creare un supereroe. Sostiene di non aver avuto accesso ai documenti di Yad Vashem che ne accreditano l’operato. La documentazione è nell’archivio di Yad Vashem e come tutte le altre è accessibile per la consultazione e si basa su fatti accertati. Prima di tutto, Bartali aveva un appartamento di sua proprietà a Firenze in cui ha nascosto alcune famiglie ebraiche. Abbiamo l’atto catastale di questa proprietà e la testimonianza delle persone nascoste, due elementi che già basterebbero a dimostrare il suo impegno nell’aiutare i perseguitati. Ma la cosa più interessante riguarda l’attività del ciclista nel trasporto dei documenti falsi confezionati ad Assisi e poi recapitati a Firenze e in altre località. Yad Vashem ha copia dei documenti falsi, la testimonianza di chi li ha ricevuti, la testimonianza di un ebreo rifugiato ad Assisi, coinvolto nella produzione di questi documenti falsi, che li ha consegnati a Bartali. Il caso Bartali è dunque pienamente documentato. Non occorre avere salvato migliaia di persone, ne basta una”.
E il lavoro di Alexander Ramati, spesso ritenuto un romanzo più che una documento storico?
“Ramati avrà pure romanzato le vicende, ma ha scritto molti anni fa (nel 1978), il che dimostra che quei fatti erano noti ben prima del 2005, quando la pratica Bartali fu proposta a Yad Vashem dalla preside di una scuola toscana. Il lavoro di Ramati comunque è irrilevante come prova, mentre contano le testimonianze di prima mano, esattamente quelle che ha analizzato Yad Vashem. Chi scrive ed esprime giudizi forti senza avere esaminato l’evidenza fa temere un regresso nella professione dello storico”.
È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.