Quali sono i problemi dell’universo giovanile ebraico milanese? Cosa servirebbe a creare un maggior coinvolgimento e una maggiore partecipazione alla vita comunitaria?
Quali sono i problemi interni al Consiglio della comunità ebraica milanese e quali i possibili sviluppi futuri? Ne abbiamo parlato con Olympia Foà, assessore ai giovani, chiamata in causa dai consiglieri della lista Wellcommunity nel novero delle motivazioni che li hanno portati a dimettersi. Tra queste infatti si conta anche l’appuntamento di Joi nel Giorno della Memoria, organizzato, appunto, con l’assessorato giovani.
“Non è la prima volta che vengo duramente criticata in consiglio per aver organizzato insieme a Joi delle iniziative culturali per i giovani”, spiega Olympia Foà, “In precedenza, a causa di un’iniziativa di Joi dal titolo JTalks, incontri online promossi nel primo lockdown, ho invitato gli organizzatori in consiglio per farsi conoscere e per far conoscere il loro programma. Ciò ha comportato la richiesta, da parte di Wellcommunity, di far firmare agli organizzatori un documento in cui avrebbero dichiarato di riconoscere come unico ebraismo quello ortodosso. Questo comportamento è antiebraico. Nessuno può permettersi di dare il patentino di kasherut ad altre organizzazioni ebraiche, così come ai singoli ebrei. Lo stesso atteggiamento di discriminazione è stato messo in atto con l’appuntamento per il Giorno della Memoria”.
Il primo detrattore di queste iniziative è stato il suo vice…
“Diciamo che il suo ruolo è stato unicamente quello di avallare o bocciare le mie proposte. Nient’altro, nessuna proposta alternativa è mai arrivata dal suo lavoro”.
Questo consiglio, ormai sciolto, rappresenta la Comunità ebraica di Milano?
“Sì. Le nuove elezioni credo porteranno a una composizione analoga delle forze in campo, con esponenti che si situano ai poli opposti, ma senza possibilità reale di instaurare un dialogo costruttivo. Per quanto riguarda il mio assessorato, si trova ad affrontare una questione gigantesca che riguarda i giovani nell’età successiva a quella della partecipazione ai gruppi giovanili. Il loro coinvolgimento nella vita comunitaria è bassissimo e le difficoltà per invertire la rotta, enormi. Sono partita da zero, con una richiesta di budget importante e, nonostante la pandemia, sono riuscita a organizzare diverse iniziative. Ho creato una commissione giovani con persone di diverse edot e ho fatto eventi con i Lubavitch, Hashome Hatzair, Benè Akiva e Cdec (non è vero, quindi, che ho dato in outsourcing la gestione delle iniziative) e da circa tre mesi che sto faticosamente cercando di assumere un giovane. Ma mi sono resa conto in maniera inequivocabile anche della frammentazione e della chiusura dei diversi gruppi che compongono la comunità”.
Può spiegare meglio?
“Ci sono olte anime a comporre la comunità ebraica milanese e la lista Wellcommunity poco ha fatto per coinvolgere i propri elettori. Gli unici beni comuni reali sono la scuola e la Casa di riposo, per il resto ognuno ha la propria sinagoga e i propri spazi di aggregazione. Il che sarebbe anche molto interessante e arricchente, ma richiederebbe la curiosità e la voglia confrontarsi, che invece manca totalmente. In più, c’è anche un problema culturale. La basi comuni, tra i diversi gruppi della comunità, sono sempre meno e, ancora una volta, la voglia di conoscere quelle degli altri è scarsa, dunque il confronto impossibile”.
Pensa di ricandidarsi?
“Non so, ma sono abbastanza negativa perché non vedo possibilità di cambiamento. La parte della comunità più vicina a Milano Ebraica partecipa poco, non ha un baluardo di rappresentanza nelle istituzioni. Il nostro compito era anche quello di motivare le persone a una maggiore e più viva partecipazione, ma non so se ci siamo riusciti…”.