Chiedere ed esigere un senso è lo strumento per fuggire dalle schiavitù. Ecco perché nel seder di Pesach si invitano i partecipanti a domandare
Questa frase è un estratto della Haggadà, testo letto durante il Seder di Pessach, il convivio che apre la Pasqua ebraica. Il Seder, “ordine”, è strutturato seguendo un’alternanza di gesti e di letture, in cui i primi spesso aprono la porta alle seconde. Alcuni dei gesti previsti sono volutamente inusuali, come il bere stando inclinati sulla sinistra, intingere un ortaggio nel liquido, avere in tavola del pane (che in questo caso è azzimo) ma non consumarlo come avviene abitualmente. Il fine di tutto ciò è quello di suscitare nei presenti un certo stupore, e la necessità di comprensione che ne consegue.
Il testo della Haggadà propone alcune domande possibili, fra cui appunto: “In cosa questa notte è diversa da tutte le notti ?” Seguono poi quattro altre domande, attribuite rispettivamente a un saggio, a un ribelle, a un ingenuo, e a uno che non sa chiedere. Per ognuno di questi tipi umani viene fornita una risposta possibile, compreso l’ultimo, a proposito del quale è detto: “Colui che non sa chiedere, apri tu per lui”. La frase può essere intesa nel senso di presentargli le cose in modo tale da suscitare le sue domande, oppure di aprirgli la bocca. In ogni caso, si tratta di condurlo, in un modo o nell’altro, a esprimere le sue domande. Non le domande che vorremmo noi, le sue, quelle che esprimono le sue ansie, i suoi dubbi, i suoi aneliti. Questo perché il Seder celebra l’uscita dall’Egitto, e non vi può essere libertà senza la facoltà di porre domande. Ogni sistema, istituzione, potere, teme il dubbio, la critica e l’interrogativo, per la semplice ragione che ritiene di dover fornire tutte le risposte. E qualsiasi domanda rischia di svelare una realtà scomoda, che dovrebbe essere evidente, ossia quella che nessuno ha tutte le risposte, e che qualsiasi risposta, anche soddisfacente, potrà essere relativizzata o addirittura resa obsoleta da una nuova domanda.
Probabilmente i rabbini che composero la Haggadà pensavano a questo scrivendo: “Colui che non sa chiedere, apri tu per lui”. Essi vivevano sotto una dominazione romana che vedevano inasprirsi, e probabilmente temevano sopra ogni cosa che gli ebrei cessassero di interrogarsi e di interrogare, di avere sete di comprensione nuova e di risposte diverse. Ogni essere umano ha i suoi Mitsraim/Strettezze/Egitti, e da alcuni di essi forse non uscirà mai, senza dubbio mai in maniera definitiva, ragione per cui si celebra Pessach ogni anno. Solo questa facoltà di chiedere, e di esigere senso da una realtà che sembra negarglielo gli permetterà di essere, malgrado tutto, un essere umano libero.
Forse è per questo che il culmine del Seder di Pessach è il momento in cui la Matsah, pane azzimo simbolo di libertà, e il Maror, erba amara che ricorda la sofferenza della schiavitù, dapprima consumati separatamente, vengono mangiati insieme, in modo che il sapore mitigato della Matsah moderi l’amarezza del Maror. Perché non vi è nulla che, lasciato crescere in modo smisurato, non costituisca una nuova fonte di schiavitù. Questo vale per le opinioni, le convinzioni, le fedi. Ogni forza ha bisogno di un antidoto, ogni affermazione necessita di una domanda per relativizzarla, ogni risposta necessita un’altra domanda aperta, per evitare di rimanere chiusi, intrappolati nella risposta.
Hag Pesach Sameach veCasher!
Haim Fabrizio Ciprianiè rabbino e musicista.
Svolge il ministero rabbinico in Italia presso la comunità da lui fondata Etz Haim, unica comunità ebraica italiana associata al movimento Massorti/Conservative, e in Francia presso la comunità Kehilat Kedem di Montpellier. È autore di diversi saggi a tema ebraico editi da Giuntina e Messaggero.
In campo musicale è attivo come violinista e direttore. Si produce da trent’anni nelle più grandi sale da concerto e ha effettuato centinaia di registrazioni discografiche.