Per chi la visita si aprono le porte di una città ansiosa di mostrare la propria bellezza insieme alla cruda consapevolezza degli eventi che l’hanno segnata
Poche città europee possono vantare un passato ebraico forte quanto Vienna. E sono altrettanto poche quelle che offrono oggi la stessa attenzione a tale passato. Il presente è ancora un po’ ingarbugliato, ma per il turista alla ricerca di testimonianze storiche la capitale austriaca resta una miniera tutta da esplorare. Per gli ebrei in visita, in particolare, si aprono le porte di una città ansiosa di mostrare la propria bellezza insieme alla cruda consapevolezza degli eventi che l’hanno segnata.
È relativamente da poco tempo, dopo il lungo processo di riconoscimento delle vittime del nazismo, giunto al culmine negli anni Novanta, che Vienna ha iniziato un percorso di recupero delle proprie radici. Tra le organizzazioni da parte ebraica più attive, Jewish Welcome Service vuole fare da ponte tra la città e gli ebrei che ne sono stati espulsi e i loro discendenti. Fondata nel 1980 da un sopravvissuto dell’Olocausto, il dottor Leon Zelman, in collaborazione con la città di Vienna, l’associazione promuove un riavvicinamento anche affettivo tra gli ebrei che non vivono più qui e quella che era stata la casa delle loro famiglie. Al tempo stesso, cerca di mantenere viva l’anima giudaica di una metropoli che fino al 1938 ospitava la terza comunità più grande d’Europa. Oggi, dei circa diecimila ebrei che vivono in Austria, quasi il novanta per cento si concentra nella capitale e qui è rinata una piccola ma vivacissima comunità, ma per troppo tempo la città è stata principalmente solo un luogo da cui fuggire.
La fine ha avuto ufficialmente inizio tra il 9 e il 10 novembre 1938. Per ricordare la cosiddetta Notte dei Cristalli, nel 2018 il Museo Ebraico di Vienna, in collaborazione con Università di Arti Applicate, ha collocato 25 installazioni luminose, opere dell’artista Lukas Maria Kaufmann, nei luoghi in cui sorgevano le sinagoghe e i luoghi di preghiera distrutti in quella assurda notte di devastazione. Come ricorda lo stesso sito del Museo, si vede sono solo ciò che si sa. Così, queste sculture indicano edifici ormai inesistenti che altrimenti nessuno riconoscerebbe. Al tempo stesso, bisogna conoscere il progetto OT, che ha portato al loro allestimento, per comprendere il forte valore simbolico di quelli che altrimenti potrebbero sembrare solo semplici arredi urbani.
Composte da un palo di acciaio alto cinque metri, le installazioni hanno sulla sommità un corpo luminoso dalle forme sinuose che, quando vi ci si avvicina, si illumina formando una Stella di David. Degli edifici così segnalati è rimasta solo la memoria, ma tramite un QR code, così come collegandosi al sito del progetto, si possono ricevere tutte le informazioni possibili su quelle che un tempo erano le più importanti sinagoghe della città, dalla data di costruzione alle caratteristiche tecniche e i nomi degli architetti nonché visionarne i progetti, le fotografie d’epoca e i rendering.
L’unico luogo di preghiera sopravvissuto dei quasi cento di un tempo è oggi lo Stadttempel, il tempio costruito in stile neoclassico tra il 1823 e il 1826 in Seitenstettengasse 4. In posizione defilata rispetto alla strada, questa sinagoga sarebbe scampata alle devastazioni della Notte dei Cristalli non tanto, come si legge spesso, per la facciata anonima (caratteristica comunque imposta a tutti i luoghi di culto non cattolici), quanto per la collocazione a ridosso di troppi edifici non ebraici che avrebbero finito con il riportare danni. Disegnato da uno dei principali architetti del tempo, Josef Kornhäusel, esponente di spicco del Biedermeier viennese, il tempio custodisce un interno sfarzoso, accolto in uno spazio di forma ovale, con un anello di dodici colonne simboleggianti le tribù di Israele a sostenere i due piani del matroneo. Al già monumentale progetto originario si sono aggiunte le ornamentazioni dell’architetto Wilheilm Stiassny, per anni presidente dell’Associazione per la salvaguardia e la conservazione dei monumenti storici e artistici ebraici e del Museo Ebraico, a cui sono state affidate le ristrutturazioni del 1895 e del 1904. Dichiarata monumento storico e aperta al pubblico per le visite guidate, prenotabili dal sito della comunità, la sinagoga accoglie nel suo atrio anche un monumento commemorativo alle vittime dell’Olocausto, inaugurato alla fine del 2002. I nomi dei 65mila ebrei di nazionalità austriaca sono stati incisi su targhette mobili in ardesia, mentre al centro dell’opera, firmata dall’architetto Thomas Feiger, una colonna di granito spezzata simboleggia la comunità sterminata nel 1938.
Lasciando la sinagoga, una breve camminata consente di fare un notevole salto nel tempo. Abbracciata da candidi ed eleganti palazzi, la Judenplatz è stata il cuore dal XII secolo del primo insediamento ebraico a Vienna. Qui, ha oggi sede sia un museo dedicato alla vita ebraica viennese, sia il Monumento commemorativo della Shoah realizzato dall’artista britannica Rachel Whiteread. Entrambi legati alla memoria, museo e opera d’arte sono uniti anche dalla storia della loro istituzione. Quando si pensò, negli anni Novanta, di erigere il memoriale alle vittime dell’Olocausto, gli scavi necessari alla sua costruzione portarono alla luce le fondamenta di un’antica sinagoga, risalente al XIV secolo. Fulcro dell’antica comunità, la sinagoga Or-Sarua pare avesse accolto i pochi ebrei sfuggiti alla morte o alla prigionia durante la persecuzione attuata dal duca Albrecht V tra l’autunno del 1420 e il 1421. Nel corso del processo di annientamento indicato come Wiener Geserah, avvento con espulsioni, conversioni forzate e condanne a morte sul rogo, la sinagoga andò distrutta insieme all’intera comunità, che si sarebbe riformata a Vienna solo nel XVII secolo.
Con i ritrovamenti delle antiche mura si decise, nel 1997, di unire il monumento commemorativo agli antichi scavi, adibendo a spazio espositivo la Misrachi-Haus, costruita nel 1694 e oggi filiale del Museo Ebraico di Vienna. Le sue sale propongono oggi un percorso nella vita religiosa, culturale e sociale degli ebrei viennesi nel Medioevo fino alla loro cacciata del 1420-21, offrendo inoltre l’accesso ai sotterranei dove si trovano i resti della sinagoga e altri reperti archeologici.
Nonostante abbia una porta e rappresenti effettivamente una stanza, il memoriale al contrario non è accessibile. Si presenta come una biblioteca “rovesciata”, con le pareti ricoperte esternamente da libri allineati al contrario, con il dorso rivolto verso l’interno e quindi non leggibile. Sulla piattaforma del monumento, in compenso, si possono leggere i nomi dei 41 luoghi in cui furono assassinati gli ebrei austriaci, mentre nomi e dati delle 65mila vittime dei nazisti sono conservati nei terminali della vicina Misrachi-Huas.
Con lo stesso biglietto di accesso al Museo di Judenplatz si accede anche a quella che rappresenta la sua sede centrale, il Museo Ebraico di Dorotheergasse 11. Con un’esposizione permanente rinnovata nel 2013 che racconta la vita ebraica a Vienna dal 1945 a oggi, il museo ospitato dal Palazzo Eskeles si distingue fin dall’esterno per l’installazione luminosa dell’artista Brigitte Kowanz e il grandioso ingresso, ricostruito fedelmente all’originale dopo un’importante ristrutturazione. Al piano superiore, si può ripercorrere la storia ebraica dagli albori agli anni della Seconda Guerra Mondiale, mentre il resto degli spazi è adibito a mostre temporanee, collezioni, incontri e laboratori. Per scoprire anche da casa le opere e gli oggetti esposti, il sito del museo offre diversi canali per visitarlo virtualmente.
Di museo in museo, non si può perdere la visita a quello dedicato al viennese probabilmente più noto al mondo. Recentemente rinnovato, il Sigmund Freud Museum occupa il palazzo in Berggasse 19 dove il padre della psicanalisi ha abitato e lavorato per 47 anni. Giunto qui nel 1891, ne avrebbe occupato i locali di diversi appartamenti fino 1938, anno in cui l’avvento del nazismo lo costrinse a fuggire a Londra, dove sarebbe morto l’anno successivo. Negli intenti del museo, la visita alle antiche stanze di Freud costituisce sia un’immersione nella sua vita e un tentativo di avvicinamento al suo spirito, sia un monito a non dimenticare quanto l’avvento del nazionalsocialismo abbia strappato alla cultura e all’umanità. Oltre alle mostre permanenti e alle installazioni di arte contemporanea, il museo ospita anche letture e incontri, da seguire online collegandosi sul suo sito.
Fuori dal centro storico, ma vicino al cuore della città, si trova infine il secondo distretto, un tempo il più appartato tra i 23 di Vienna. Chiuso tra il Danubio e un suo canale, il Donaukanal, con più di un terzo della superficie ricoperta da aree verdi, primo fra tutti il celebre Prater, il Leopoldstadt è stato l’ultimo dei quartieri ebraici di Vienna. Il luogo dove studiò lo stesso Freud e dove abitarono personaggi del calibro dello scrittore Arthur Schnitzler, fu anche il ghetto in cui Leopoldo I costrinse a vivere gli ebrei e dove per tre secoli, dal Seicento al Novecento, le famiglie più povere si ritrovarono ad ammassarsi in spazi spesso ristrettissimi. La comunità che abitava nel cosiddetto Mazzesinsel (l’isola delle azzime) fu quasi completamente annientata dal nazismo, ma l’antico spirito del quartiere non è scomparso. Negli ultimi decenni, anche grazie all’arrivo di molti ebrei dell’Est Europa giunti qui dopo la caduta del muro, si è tornata a formare una piccola ma attivissima comunità. Con una decina di sinagoghe, un teatro ebraico, il Theater Nestroyhof Hamakom, e numerosi negozi kasher, le vie del distretto sono oggi un luogo in cui le tradizioni e la cultura ebraica richiamano non solo gli appartenenti alla comunità, ma anche i tanti attratti dal fascino di questo ambiente così vitale.
Tra ristoranti e bar alla moda, non manca persino un locale che da quasi un decennio fa sognare le spiagge israeliane nel cuore della città. Aperto da una famiglia di giovani imprenditori ebrei, raccolti sotto il nome di Neni (neni.at/) e artefici di una miriade di altre iniziative commerciali anche fuori dall’Austria, Tel Aviv Beach è un locale con ristorante, bar e spiaggia lungo il Canale. Allestito inizialmente in collaborazione con lo Stato di Israele per promuovere il turismo a Tel Aviv, avrebbe dovuto restare aperto per solo otto mesi, ma il successo è stato talmente grande che nessuno ha più voluto chiuderlo.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.