Il passo biblico sulla decisione di creare l’essere umano ha ispirato le più diverse interpretazioni. Ritorniamoci sopra ora, mentre imminente è l’entrata del nuovo anno 5779.
La festa ebraica di Rosh haShanà è forse quella in cui la dimensione universale è più pronunciata. Essa celebra infatti l’anniversario della creazione della specie umana. Come è noto, nel racconto biblico il progetto della creazione è espresso in questo modo: “Facciamo l’umano …” [Gn. 1:26]
Si tratta di un passo complesso e controverso, perché la Trascendenza vi annuncia la creazione della specie umana parlando, apparentemente, al plurale. Un midrash rabbinico [Bereshit Rabbà 8:5] suggerisce poeticamente che il plurale si riferisca alle schiere degli emissari divini i quali, all’annuncio dell’imminente creazione del genere umano, si sarebbero divisi in due fazioni. La prima gridava “Sia creato!”, mentre il secondo gruppo dissentiva esclamando: “Non sia creato!”. La Trascendenza avrebbe interrotto l’acceso dibattito annunciando: “Perché continuate a dibattere? Già abbiamo fatto l’umano.”
Il dibattito fra i due gruppi si riferisce al fatto che abbia senso o meno il progetto di creare un’entità con un forte potenziale, ma strutturandola in un modo tale da rendergli di fatto impossibile il realizzarlo. In questa lettura l’essere umano è visto come il prodotto di questa discussione, e non è quindi generato nonostante l’opposizione del “Sia creato!” e del “Non sia creato!”, ma grazie a questo conflitto e attraverso di esso. Come a dire che l’umano è nello stesso tempo degno e indegno di essere creato, e porta indelebilmente in sé i segni di questa sua natura.
La creazione dell’essere umano, avvenuta secondo la tradizione proprio in questa stagione, è alla base delle ricorrenze che aprono l’anno ebraico, Rosh haShanà e Yom Kippur. Questi momenti si svolgono infatti all’insegna della Teshuvà, “ritorno”, perché è come se ogni individuo fosse chiamato a tornare a quel momento di nascita, in cui l’umanità è emersa da questa frizione fra dignità e indegnità del suo stesso essere. Questo ci conduce alla seconda accezione della parola teshuvà, ossia “risposta”. Perché ogni essere umano, con le sue scelte di vita, costituisce una reazione e una risposta viventi a queste due posizioni, “Sia creato!” e “Non sia creato!”. Sarà questa risposta a giustificare o meno la sua esistenza e quindi l’esistenza dell’intera umanità, permettendo quindi la continuazione di un costante processo di creazione dell’umano, creazione che non si situa quindi nel passato, ma in una dimensione a-venire.
Quale sarà la nostra risposta?
Shanà Tovà, ketivà v’chatimà tovà, tizku leshanim rabbot vetovot
Haim Fabrizio Ciprianiè rabbino e musicista.
Svolge il ministero rabbinico in Italia presso la comunità da lui fondata Etz Haim, unica comunità ebraica italiana associata al movimento Massorti/Conservative, e in Francia presso la comunità Kehilat Kedem di Montpellier. È autore di diversi saggi a tema ebraico editi da Giuntina e Messaggero.
In campo musicale è attivo come violinista e direttore. Si produce da trent’anni nelle più grandi sale da concerto e ha effettuato centinaia di registrazioni discografiche.
Non sono ebrea e ero, o sono, molto ignorante sui precetti della Fede Ebraica. In ambito cristiano, si suppone che la visione dell’Antico Testamento dei cristiani sia universale: ho avuto modo di constatare la fondamentale inesattezza di questo pregiudizio.
Cercando di ampliare le mie scarsissime conoscenze in proposito, ho scoperto un mondo per me nuovo, nel quale ogni singola parola dei testi originali viene presa in esame, spiegata e motivata. È un grande lavoro di approfondimento che aiuta a comprendere e a constatare come nulla sia lasciato al caso, e tutto sia portato avanti con grande onestà intellettuale e grande intelligenza.
Straordinario e confortante il risultato finale e estremamente gratificante e impegnativo per il genere umano.
Non posso fare altro che ringraziare per tanto impegno e tanta cura nel rendere facilmente comprensibile ogni concetto.
Sono fuori argomento ho solo una curiosità se le è possibile darmela, vi è una foto pubblicata dalla Signora Lyon nella quale si vede un Rabbino che suona il corno con una scritta in Ebraico mi piacerebbe sapere il significato , mi scuso per la richiesta non molto chiara.Shalom -Giampiero.
Buongiorno Giampiero,
non abbiamo presente la foto specifica alla quale si riferisce, ma in ogni caso il corno si chiama “shofar”: è un corno di montone usato nella ritualità ebraica come strumento musicale per annunciare l’entrata di Rosh HaShanà e Yom Kippur. Il suo uso è attestato già nel testo biblico. Nell’antichità poteva avere anche altre funzioni, ad esempio richiamare l’attenzione su un pericolo o radunare l’esercito. Oggi rimane come elemento rituale.