L’obiettivo della pellicola presentata a Cannes è aiutare i ragazzi di oggi a connettersi con la storia di Anne Frank nel modo in cui le generazioni precedenti si misuravano con il diario
Dov’è Anne Frank. Così, senza un punto interrogativo. Perché il film di animazione che porta questo titolo, e che è stato presentato in questi giorni al Festival di Cannes, più che porre domande, cerca di offrire risposte. O, almeno, interpretazioni e spunti di riflessione alternativi. Diretto da Ari Folman, candidato all’Oscar nel 2009 per Valzer con Bashir, è un cartoon pensato per i più giovani, diretto alle famiglie, ma non per questo impostato in chiave semplicistica. Anzi. E se da una parte l’intenzione è di mostrare a bambini e ragazzi quello che un tempo tutti leggevano direttamente dalle pagine del diario di Anne, dall’altra punta a liberare la storia della protagonista da una foresta di simboli che ne avrebbe ormai intrappolato l’immagine di persona realmente esistita.
E per raccontare la realtà, in certi casi, non c’è niente di meglio che fare appello alla finzione. Voce narrante e personaggio chiave del film diventa così Kitty, l’amica immaginaria alla quale Anne si rivolgeva nello scrivere. Risvegliata magicamente durante un temporale dalle stesse pagine del diario, la ragazzina si ritrova a vagare tra le stanze della Casa di Anne Frank di Amsterdam prima e tra vie e canali della città poi. In una serie di rimandi tra presente e passato, si vede Kitty parlare con Anne, nascosta con lei nel suo rifugio, o passare davanti alle guardie naziste immaginate come gigantesche statue dal volto di cera, per poi ritrovarla immersa nel mondo contemporaneo, a contatto con storie di immigrazione, in un parallelismo tra l’Olocausto e i drammi dei migranti a rischio di espulsione.
«L’obiettivo principale del film è aiutare il pubblico giovane di oggi a connettersi con la storia di Anne Frank nel modo in cui le generazioni precedenti si misuravano con il diario», ha dichiarato alla Jewish Telegraphic Agenzia Yves Kugelmann, produttore del film e membro del consiglio di amministrazione dell’Anne Frank Fonds. L’organizzazione no profit svizzera fondata da Otto Frank che detiene i diritti d’autore del diario aveva contattato Folman già otto anni fa. Gli proponeva di lavorare a un nuovo adattamento del testo, ma inizialmente l’acclamato regista israeliano non aveva voluto saperne.
«Pensavo che ci fossero troppi adattamenti e che lei fosse troppo iconica», ha detto l’autore in un’intervista rilasciata a The Hollywood Reporter. Poi però Folman ha riletto il diario, per la prima volta da quando era adolescente, e soprattutto è andato a fare visita alla madre, sopravvissuta come il padre ai campi di sterminio. «Guarda, non abbiamo mai interferito nelle tue scelte» avrebbe detto la donna al figlio, «ma se non accetti questo progetto, morirò durante il fine settimana, puoi venire a prendere il mio corpo domenica. Se invece lo fai, rimarrò in giro fino alla premiere».
Con il malcelato il ricatto della donna, Folman si sarebbe così buttato nell’ambizioso progetto di ritrovare la vera Anna Frank, individuando il significato della sua storia più che la traduzione del suo diario in immagini. Accanto all’intenzione di liberare Anne dagli stereotipi e dalla commercializzazione della sua figura (la stessa che ha portato a dare il suo nome a edifici, ponti e scuole), nell’operazione ha giocato l’obiettivo di rivolgersi ai più giovani, considerando ciò che questi imparano dal diario. «Come influisce sulle loro vite, quale consapevolezza dà loro su ciò che sta accadendo e che rapporto ha con i bambini che si trovano oggi nelle zone di guerra?» si è chiesto il regista. Per giustificare quello che ad alcuni critici è sembrato un azzardo, ossia il parallelismo tra la Shoah e le espulsioni dei migranti fuggiti in Europa dall’Africa, Folman nell’intervista citata ricorda lo stesso Otto Frank, padre di Anne, che «ha sempre insistito per rendere la sua memoria una cosa universale, senza concentrarsi solo sulla tragedia dell’Olocausto e di quella della sua famiglia».
Il risultato è un film che fonde spettacolari sequenze fantasy con una narrativa basata sui fatti, dove le immagini passano dal rigoroso naturalismo all’espressionismo più estremo.
A una Kitty che si aggira in una Amsterdam contemporanea e una casa Frank meticolosamente riprodotta, si accostano richiami alla mitologia greca e a quella Roma antica che tanto affascinavano Anne. Nei flashback, i nazisti sono ritratti come demoni simili a robot che indossano maschere mortuarie e che pattugliano le strade di Amsterdam senza odio né pietà per le persone che cacciano e perseguitano. Nel frattempo, tra le mura del rifugio, le star del cinema dell’epoca prendono vita nell’immaginazione di quella che, prima di essere trasformata in feticcio, era innanzi tutto un giovanissimo essere umano.
In uscita il prossimo autunno, il film andrà a sostenere con tutti i suoi proventi il lavoro dell’Anne Frank Fonds, che comprende programmi educativi e progetti con l’UNICEF, in linea con lo statuto dell’organizzazione no profit e con l’auspicio di Otto Frank che nessuno dei progetti del Fondo sia commerciale.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.