La “madre di tutte le yeshivot’” è la scuola talmudica istituita nel 1802 in una cittadina a nordest di Minsk
Il mondo delle yeshivot, come noi lo conosciamo, non è poi così antico come si immagina o come esso ama spesso raffigurarsi. È piuttosto un prodotto relativamente moderno, che ha un luogo d’origine e una maternità, per così dire, ben precisa: la ‘madre di tutte le yeshivot’, ossia il modello sul quale esse sono proliferate nell’est europeo per poi diffondersi nel Novecento in nord America e in Israele, è la scuola talmudica istituita nel 1802 a Volozhin, una cittadina a 75 km a nordest di Minsk (oggi in Bielorussia, ma allora in Lituania e più tardi sotto il dominio russo: la Shoà ha fatto scomparire la sua popolazione ebraica). L’ideatore e il fondatore nonché il primo carismatico rosh, capo, di questa leggendaria yeshivà è Chayim ben Itzchaq – all’epoca i cognomi non usavano, furono imposti dallo Tzar per facilitare l’odiata coscrizione militare, con fini assimilazionistici – nato nel 1749 e morto nel 1821 sempre a Volozhin, di cui fu anche rabbino per 45 anni. I suoi biografi, o meglio gli agiografi, lo chiamano semplicemente Reb Chayim e la prima fase della sua vita è segnata dall’essere stato il discepolo prediletto di Eliahu ben Shlomo Zalman, il Gaon di Vilna, di cui divenne intimo fino alla di lui scomparsa nel 1797.
La famosa yeshivà di Volozhin, dunque, sorse per conservare e tramandare la vasta eredità spirituale del maggior rabbino lituano di tutti i tempi (gaon significa genio), che fu asceta e talmudista-filologo dall’enorme erudizione nelle fonti ebraiche ma anche fiero oppositore delle ‘innovazioni chassidiche’ in nome della fedeltà alla tradizione. Nel 1772, appena dodici anni dopo la morte del Ba‘al Shem Tov, il Gaon di Vilna riuscì a far firmare a tutti i rabbini lituani un cherem di scomunica verso i chassidim… ma la firma di Reb Chayim, il suo miglior allievo, sul documento di quella scomunica non compare, e ciò la dice lunga sul fatto un vero discepolo non è mai un clone o un pedissequo esecutore del proprio maestro.
In ogni caso, Reb Chayim divenne davvero, col tempo, il leader dei mitnagdim ossia degli oppositori dei chassidim: la sua adesione alla visione del Gaon di Vilna, che poneva al centro della vita ebraica lo studio della Torà più che le devozioni e l’intenzione (kawwanà) soggettiva, era tale da non avere bisogno di forzare la mano contro i seguaci dei rebbe chassidici; ben altri nemici esterni stavano comparendo all’orizzonte tra XVIII e XIX secolo: una diffusa ondata di miseria negli shtetlach (dovuta anche alla campagna napoleonica), un incremento di antigiudaismo e di pogroms, le politiche assimilazioniste dell’impero russo che più tardi si servì persino di rabbini riformati centro-europei per ‘russificare’ il tradizionale mondo ebraico che parlava solo yiddish.
In un’epoca di rivoluzioni e cambiamenti politici cruenti, quella di istituire una scuola di alti studi talmudici per la formazione di una classe di rabbini totalmente dedicati alla conservazione di una vita ebraica tradizionale fu un’idea geniale: geniale perché a sua volta innovativa (non c’era nulla del genere, prima) e, alla fine, perché ‘di successo’, nella misura in cui Reb Chayim non volle l’esclusiva ma facilitò e stimolò la diffusione del modello della ‘sua’ yeshivà ovunque vi fossero ebrei nel senso tradizionale del termine. Le diverse forme dell’odierna ortodossia, dai modern-orthodox ai charedim, che siano chassidim o mitnagdim, sono tutte ‘figlie’ della yeshivà di Volozhin ossia della visione religiosa di Reb Chayim e indirettamente del metodo di studio del Gaon di Vilna.
Prima di vedere curricula studiorum, metodo e ideali di questa yeshivà, fa bene ricordare il ruolo che ebbe la moglie di Reb Chayim, Sarah Ginsburg, sposata mentre lui era studente a Vilna: Sarah non solo condivise, come si usava, gli anni dello studio ma, quando il marito tornò a Volozhin, lo mantenne gestendo da sola una filanda o stabilimento tessile e all’inizio cucinando lei stessa per i primi studenti che Reb Chayim aveva raccolto… Quando si dice “una donna di valore”! Ma torniamo alla yeshivà. La sua novità consistette tanto nell’ideale che doveva servire quanto nella sua struttura amministrativa. Da quest’ultimo punto di vista il suo raggio di reclutamento non era più locale ma nazionale, su tutto il territorio lituano, e i costi della scuola dovevano non ricadere sulla comunità ebraica del luogo ma essere sostenuti da tutto il mondo ebraico. I residenti di Volozhin dovevano percepire la yeshivà non come un ‘onere’ aggiuntivo ma come una ‘risorsa’ economica e un ‘motivo di orgoglio’.
Perciò Reb Chayim trovò finanziatori anche tra i non ebrei, come l’aristocratico Graf Yozef Tishkovitz; mandò lettere per chiedere aiuti a tutte le comunità; e più tardi usò la tecnica dei meshulachim o inviati (idea imitata e perfezionata dal Lubavitcher Rebbe) nelle comunità non solo a raccogliere fondi ma anche – e soprattutto – a reclutare il fior fiore dei giovani ebrei desiderosi di studiare. Ancor più innovativi furono il metodo e gli ideali: un diuturno studio della Torà, nel senso più ampio del termine e più completo delle fonti (tutte, e non un trattato qua e là…), ispirato al valore della Torà lishmà, cioè una conoscenza e un’osservanza della Legge “fini a se stesse” (e non ad esempio finalizzate alla devequt, all’unione mistica, come insegnavano i chassidim); un primato delle mitzwot in quanto tali, anche a prescindere dalla ricerca della retta kawwanà o intenzione (che conduceva sulla strada di psicologismi o introspezioni eccessive); ma soprattutto un riconoscimento del primato della Torà sopra ogni altro atto religioso, perché ogni aspetto della vita religiosa ‘dipende’ in ultima istanza dalla Torà e dallo studio di essa.
Tutto ciò costituiva il fulcro degli insegnamenti dello stesso Gaon di Vilna, il quale usava dire che per pregare senza distrazioni in una sinagoga occorreva non solo la volontà di pregare, ma soprattutto la conoscenza delle preghiere e una sinagoga che abbia muri di mattoni e calcestruzzi di prima qualità… Molti di questi insegnamenti Reb Chayim li mise per iscritto in un volume che apparve in stampa solo nel 1824, tre anni dopo la sua morte, curato dal figlio Reb Itzele, il secondo rosh yeshivà di Volozhin. Il testo è noto con il titolo di Nefesh ha-chayim – che è pure un gioco di parole: ‘Anima di vita’ oppure ‘Essenza dell’insegnamento di [Reb] Chayim’ – testo che continua a ispirare talmudisti e filosofi, e che ebbe una significativa diffusione nel mondo francese grazie alla traduzione voluta dal pensatore di origine lituana Emmanuel Levinas.
Grazie alla forza di tali ideali come pure al metodo del fundraising, il modello si diffuse rapidamente; ed era ormai consolidato quando a Volozhin la yeshivà-matrice dovette chiudere i battenti nel 1892. I grandi rabbini che vi si erano formati nel XIX secolo divennero altrettanti capo-scuole e leaders carismatici, tra i quali vanno ricordati alcuni discendenti dello stesso Reb Chayim, come la dinastia dei Soloveitchik. Anche grazie a Reb Chayim nel XIX secolo fu fatta pace tra mitnagdim e chassidim; resta oggi ancora da far pace tra ortodossia e mondo della riforma… ma ogni epoca ebraica ha le sue sfide. Quest’ultima pace è la sfida ebraica del XXI secolo.
Massimo Giuliani insegna Pensiero ebraico all’università di Trento e Filosofia ebraica nel corso triennale di Studi ebraici dell’Ucei a Roma