Influenze letterarie a confronto
Come i media ‒ ebraici e generali ‒ ricordano da tempo ,“Dialoghi” è il tema della XXII Giornata Europea della Cultura Ebraica, il cui svolgimento è previsto in Italia per domenica 10 ottobre 2021. Da Padova, città capofila di quest’anno, un ricco programma di eventi ci accompagnerà attraverso tutte le declinazioni possibili del dialogo. Ovviamente una delle sfide che i nostri tempi assai difficili ci propongono è quella del dialogo interreligioso, un’assunzione di responsabilità e immedesimazione nell’altro, un talvolta arduo confronto “faccia a faccia o fianco a fianco”, come recitano le parole di rav Jonathan Sacks riportate nel comunicato ufficiale di Noemi Di Segni, Scrive ancora la presidente dell’UCEI “a volte siamo tentati di immaginare la storia ebraica come un susseguirsi di secoli in cui sono esistite soltanto persecuzioni […] ma accanto alle diaspore forzate, ai secoli di discriminazione e subalternità, all’Inquisizione, all’epoca dei ghetti, all’antisemitismo moderno e alle sue tragiche conseguenze nella prima metà del ‘900, è sempre esistito un fiume carsico di dialogo e scambio con le altre religioni e con l’intera società, che ha portato anche a luminosi esempi di convivenza”. Niente ci appare più reale se consideriamo la straordinaria parabola della poesia ebraica. In Italia come in altre nazioni europee.
La storia della poesia ebraica ci narra, infatti, di influssi e ambientazioni molteplici, che se da un lato mostrano la dispersione degli ebrei, dall’altro ne mettono in luce la mai sopita vivacità culturale. Sebbene vissuta come una condizione profondamente negativa, la Diaspora ha arricchito la poesia ebraica, favorendone il contatto e lo scambio con le più alte esperienze letterarie europee. Sono numerosi gli esempi che potremmo citare, su molti dei quali negli ultimi anni la ricerca sta tentando di fare una luce adeguata. Mi riferisco in particolare a Immanuel Romano (1261-328, noto anche con il nome di “Manoello Giudeo”). Coevo di Dante (e forse anche suo sodale), Immanuel Romano non scrisse solo in ebraico, raggiungendo livelli elevatissimi, ma anche in italiano. Secondo alcuni studiosi, fu lui a introdurre la forma del sonetto ‒ nella quale eccelleva ‒ nella letteratura ebraica, dando inizio a una fortunata tradizione che raggiungerà, tra gli altri, Lea Goldberg e Yehuda Amichai. Molti altri si potrebbero menzionare, prima e dopo Immanuel Romano; tuttavia, desidero ora soffermarmi in particolare su un’altra figura emblematica del fenomeno, vale a dire Yosef Zarfati.
Della vita di Zarfati (il cui nome è stato anche italianizzato in “Giuseppe Gallo”) conosciamo pochi dettagli. Eppure ognuno di essi è destinato a rivelarci qualcosa di notevole sul personaggio. Nato a Roma in data ignota da una famiglia di origine provenzale, Yosef svolse la professione di medico presso il soglio pontificio come il padre, Shemuel. Curò, infatti, Alessandro VI, Leone X e Clemente VII. La morte lo colse nel 1527, a seguito delle atroci sofferenze patite durante il sacco di Roma, un evento traumatico per gli ebrei della città, così come per il resto degli abitanti dell’odierna capitale.
Da un punto di vista poetico-letterario, il talento di Zarfati eccelle in modo particolare nelle sue ottave d’amore, cui Masha Ytzchaky (nella traduzione di Ariel Viterbo) ha dedicato uno studio approfondito, pubblicato qualche decennio fa sulla Rassegna Mensile di Israel, che rimane ancora un punto di riferimento notevole per chiunque voglia approfondire l’opera di questo autore. In esse ritroviamo molti motivi che hanno caratterizzato la poesia ebraica spagnola ‒ la crudeltà della donna amata, la disperazione insonne dell’innamorato; altri elementi, invece, appartengono a una tradizione ben più vasta e, pertanto difficile da rintracciare. Tuttavia, come più volte ha sottolineato il traduttore e studioso Ariel Rathaus, l’impianto delle poesie è tutto italiano. Addirittura una delle ottave più leggiadre di Zarfati, Tu dormi, sembrerebbe essere una traduzione piuttosto fedele del “collega” abruzzese Serafino Aquilano. Come scrive la Ytzchaky, la creatività in questo caso sta nella conservazione ‒ tutt’altro che semplice ‒ della vitalità della lingua ebraica e nel suo adattamento al gusto del tempo. Ben più tardi ritroveremo la convenzione dell’innamorato insonne anche in una delle opere giovanili di Giacomo Leopardi, La sera del dì di festa, (Tu dormi, che t’accolse agevol sonno / Nelle tue chete stanze; e non ti morde / Cura nessuna; e già non sai nè pensi / Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto), a testimonianza di quanto la poesia di Zarfati, come di altri poeti ebrei italiani, sia radicata nella tradizione letteraria del nostro Paese.
Tu dormi, ma io sono sveglio e insonnolito
vago attorno alla tua casa, mio dolce amore.
Tu dormi, io le rocce invoco a testimonianza
del mio dolore e oscuro la luna.
Tu dormi, ma lo splendore del tuo volto ruba
sonno e riposo alle mie pupille.
Nella tua immagine si raccolgono tutti i miei pensieri,
e come cera nella tua fiamma si dissolvono
Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).