Attualmente la comunità uzbeka conta solo 500 ebrei, ma era una fiorente realtà dell’Asia. Viaggio tra passato e presente
Gli ebrei bucaresi tra chi resiste e chi emigra
Gli ebrei bucaresi, un termine che indicherebbe l’intero gruppo degli ebrei dell’Asia Centrale, prendono il nome dalla città e regione di Bukhara, in Uzbekistan. Come lingua l’ebraico-tajik, come professione il commercio, nel 1989 gli ebrei uzbeki erano circa 100’000. Ora a Bukhara rimangono solo in qualche centinaio, ma sono in migliaia a New York e in Israele. Più del 90% della comunità emigrò all’estero con l’indipendenza dell’Uzbekistan del 1991.
Bukhara era un tempo uno degli snodi della via della seta. Al confine con i grandi imperi, l’origine del nome della città è incerto: nella letteratura in lingua sogdiana, un idioma iranico, si trovano tracce di una città chiamata “βuxārak” (“Luogo della Buona Fortuna”); sotto la dinastia cinese Tang, era conosciuta come Buhe (捕喝); o addirittura nell’Orlando Innamorato di Boiardo, Bukhara è la città di Albracca.
Ad oggi il paesaggio della città può vantare le solite meraviglie moderne come stazioni ferroviarie e imponenti gru. Mantiene al tempo stesso i monumenti del passato come il palazzo dell’Emir, le moschee medievali, o l’imponente minareto Kalyan, datato 1127 e sopravvissuto intatto alle invasioni di Gengis Khan. I bucaresi si perdono ancora in un labirinto di vicoli dove si passa in fila indiana, visitano le botteghe e sorseggiano the nelle grandi piazze. La storia di Bukhara vanta più di 13 sinagoghe.
Secondo la leggenda gli ebrei bucaresi discenderebbero da una delle Dieci Tribù d’Israele e arrivarono in Uzbekistan nell’VIII secolo a.e.v. Alcuni credono che Habor, citata nell’Antico Testamento come ‘rifugio per gli ebrei’, fu in realtà proprio Bukhara.
L’Uzbekistan fu quindi la casa di diversi fedeli – buddisti, zoroastriani o manichei, gli ebrei tuttavia furono l’unica minoranza religiosa a sopravvivere alla Russia zarista.
Dall’VIII secolo al XVI secolo, gli ebrei bucaresi erano quindi parte di un vasto gruppo di comunità ebraiche sparse per l’Asia centrale, in paesi come l’Afghanistan o l’Iran. La professione principale era il commercio con la Cina, l’India e il Medioriente.
Dal XVI secolo il dominio islamico pose delle restrizioni sulla vita ebraica: gli ebrei dovettero risiedere in un quartiere speciale (la Mahallya vecchia), fu proibito loro di vestirsi di seta o possedere cavalli, fu imposto di indossare un vestiario particolare per essere riconosciuti. Gli ebrei furono costretti a pagare una pesante tassa speciale di ’sopravvivenza’.
Dal XVIII secolo iniziò una campagna di conversioni forzate. Gli ebrei convertiti furono chiamati “chala”, tradotto come ‘né questi né quelli”. Dal diario di Arminius Vambery, un viaggiatore ebreo-ungherese che visitò l’Uzbekistan sotto le vesti di sufista intorno agli anni ’60 del 1800, si legge:
Gli ebrei di Bukhara vivono nell’oppressione totale, disprezzati da chiunque.
Eppure un piccolo gruppo resistette alle persecuzioni, anche grazie agli sforzi del rav Joseph Maman Maghribi, un sefardita del Marocco che ripristinò la vita religiosa ebraica a Bukhara. Con la nuova solidità religiosa gli ebrei si ritagliarono uno spazio nella città e i quartieri speciali furono aboliti. Ogni comunità nella regione era gestita da un kalontar e fu creata una rete di scuole ebraiche chiamata khomlo. La costruzione di nuove sinagoghe era proibita e le famiglie più abbienti di Bukhara crearono delle sinagoghe parallele nelle loro case – la Sinagoga Casa Rubinov, visibile ancora oggi, ne è un esempio.
Con l’invasione zarista gli ebrei bucaresi riacquisirono alcuni dei diritti negati – i quartieri speciali furono eliminati, la tassa speciale venne ridotta, vennero costruite nuove sinagoghe. Molti ebrei si arricchirono nella tratta del cotone. Altri iniziarono a emigrare nella Palestina inglese, tanto che nel 1880 apparve un quartiere bucarese a Gerusalemme.
Dopo un iniziale fervore della comunità e del sionismo, la Russia sovietica iniziò a chiudere le sinagoghe, vietare i movimenti sionisti e sequestrare rotoli di Torà.
Con la costruzione della ferrovia transcaspiana, la comunità bucarese fu meno isolata, in quanto la linea collegava le principali comunità ebraica dell’Uzbekistan all’Europa. Diversi ebrei delle comunità russe borghesi arrivano a Bukhara in cerca di un clima meno restrittivo rispetto al dominizio dello zar Alessandro III. Dal 1905 con i pogrom di Kiev e Odessa ci fu una seconda ondata di migrazioni.
Dal 1948 la creazione dello Stato di Israele portò una nuova ondata di antisemitismo, intensificata nel 1967 con la guerra dei Sei giorni. Negli anni ’70, gli ebrei bucaresi iniziarono a emigrare in maniera significativa, che si intensificò dopo la salita al potere di Gorbacev e ancor più con la caduta dell’Unione Sovietica.
Chi rimane? Ad oggi, meno di 500 ebrei vivono in Uzbekistan – circa 150 a Bukhara. In contrasto, si stimano 50’000 ebrei nel quartiere newyorkese del Queens e 100’000 in Israele. Spesso a Bukhara si fatica a trovare numeri sufficienti per un minian. Eppure, grazie ai fondi dalle comunità emigrate, la memoria resiste.
Per i più curiosi, su youtube si può guardare un interessante video sulla comunità
Micol-con-la-emme Sonnino, da pronunciare tutto d’un fiato, nasce a Roma nel 1997. Studia tutto ciò che riguarda l’Asia dell’Est all’Università di Bologna e vive tra Italia, Austria e Giappone per una magistrale in sviluppo sostenibile, con focus su sviluppo urbano e rurale. Le piace cucinare con la nonna e mangiare carciofi di stagione.
Sempre interessanti i suoi articoli
Complimenti
Confermo
Pochi viventi ebrei a Bouchara .
Grande Cimitero del.passato
Sinagoghe aperte Taskent
Bouchara e Samarcanda
Prof Naccarella http://Www.EurochinaHealth.com Proffranconaccarellanew@gmail.com 327 7863437
Ho letto con molto interesse l’articolo scritto da Micol. Sono stato di recente a Bukhara ed ho visitato la sinagoga e visto un libro del Talmud del 1805.
Purtroppo la custode non parlare inglese e quindi ho potuto raccogliere solo foto!
Ho provato a chiedere dove fosse il mikve’ ma non ha compreso la mia domanda.