La natura umana secondo l’etica ebraica
In apertura del quarto capitolo dei פִּרְקֵי אָבוֹת (Pirqe avot), i Detti dei padri, ovvero l’opera capitale dell’etica ebraica che raccoglie insegnamenti sapienziali attribuiti ai rabbini dei primi secoli dell’era volgare, troviamo un’incisiva descrizione delle principali virtù umane:
Ben Zoma dice: Chi è il saggio? Chi impara da ogni altra persona. Chi è l’eroe? Chi domina il proprio istinto. Chi è il ricco? Chi gioisce della propria parte. Chi è l’onorevole? Chi onora l’umanità intera.
Le quattro definizioni hanno una struttura chiastica: agli estremi, il primo e il quarto elemento si proiettano verso l’esterno, sulla dimensione più ampia possibile della socialità umana; al centro, il secondo e il quarto elemento, invece, fanno luce sul piano dell’interiorità individuale. E questa interiorità sembra essere caratterizzata inaspettatamente da un concetto che può suonare poco ebraico, forse più asceticizzante, forse addirittura post-freudiano: l’istinto. Probabilmente qualcosa si è perso nella traduzione. Meglio tornare all’ebraico e esplorare uno dei principi fondamentali della morale ebraica: il concetto di יֵצֶר (yetzer).
Le radici di un sostantivo
Il sostantivo יֵצֶר (yetzer) – che abbiamo provvisoriamente tradotto come “istinto” – deriva yud (י), tzdadi (צ) resh (ר) “creare”. Ci sono due attestazioni del termine nella Bibbia, in Genesi 6,5 e 8,1, che rispettivamente suonano così:
E il Signore vide che molta era la malvagità degli uomini sulla terra, e che l’inclinazione dei loro pensieri volgeva al male costantemente.
E il Signore disse tra Sé: Non maledirò più la terra per colpa dell’uomo, perché l’inclinazione del cuore umano è malvagia sin dalla più giovane età.
I versetti di Genesi aiutano a capire meglio quale sia la natura di questo יֵצֶר (yetzer): si tratta di una tendenza del pensiero o del cuore (che nell’antichità semitica era per l’appunto la sede delle facoltà cognitive e volitive dell’uomo) a elucubrare inevitabilmente il male – e, se è il Creatore in persona ad ammettere sconsolatamente che essa volge sempre al male, dovremmo crederGli, no?
No. Non i rabbini che pur tuttavia con estrema devozione leggevano, recitavano e commentavano il testo biblico svariati secoli dopo la sua composizione: per loro l’inclinazione spirituale può essere sia verso il male che verso il bene.
La duplicità del concetto viene spiegata e motivata a partire da un raffinato gioco esegetico sulle parole – anzi, le lettere – della Torah. Lo יֵצֶר (yetzer) è doppio perché doppie sono le consonanti delle espressioni – rispettivamente omografa e sinonimica – וַיִּצֶר (waY-Yitzer) “e creò” di Genesi 2,7 e לְבָבְךָ (leVaVekha) “il tuo cuore” di Deuteronomio 6,5. Ovvio no?
Lode al male
Non solo. Nel commento alla Genesi che porta il nome di מִדְרָשׁ בְּרֵאשִׁית רַבָּה (Midrash Bereshit Rabbah (9,7)), abbiamo addirittura una parola di lode per lo יֵצֶר הָרַע (yetzer ha-ra), l’inclinazione al male:
Se non fosse per l’inclinazione al male, nessuno costruirebbe case, prenderebbe moglie, farebbe figli e affari.
È dunque in virtù di questa tendenza che l’uomo ingaggia una vita, potremmo dire, civile: la civiltà stessa non esisterebbe se non fosse per la libido e la voracità. E questo sembra riportarci al brano dei פִּרְקֵי אָבוֹת (Pirqe avot), dove è riconosciuta l’inevitabile esistenza dell’istinto – motivo per cui ad essere raccomandato è il suo dominio, nel bene e nel male.
Una visione apocalittica
Tuttavia non va dimenticato che, dal punto di vista della storia delle idee, ciascun concetto è frutto di una lunga e tortuosa evoluzione culturale. Così, è necessario tenere a mente che la negatività dell’idea come accennata nelle fonti bibliche avrà un impatto significativo nello sviluppo e nella successiva teorizzazione dello יֵצֶר (yetzer). La più antica attestazione della formula יֵצֶר הָרַע yetzer ra, “inclinazione maligna”, compare infatti addirittura nei rotoli del Mar Morto, ovvero in quel nutrito corpus di testi concepito e trasmesso dalla comunità di dissidenti autoesiliatasi – per allontanarsi dalla corruzione sacerdotale di Gerusalemme – nel deserto di Giuda, nel sito noto come Qumran. Nell’apocalittica visione del mondo di questo gruppo, l’uomo è condannato fin dalla nascita a inclinare verso il male e il peccato perché nasce sotto l’influenza diabolica dell’anti-dio בְּלִיַּעַל (Belial). Va da sé che chi invece si unisce al movimento essenico e si adegua al suo alto standard di purità entra a far parte del “lotto” dei giusti, destinati a trionfare sul Male nell’imminente battaglia della fine del mondo.
Questo pessimismo antropologico, tuttavia, non era prerogativa della teologia estrema di Qumran. Nella stessa epoca – ovvero nei ferventi secoli a cavallo della nascita di Gesù – altri prodotti della riflessione esistenziale ebraica concepiranno formulazioni molto simili: nel Quarto libro di Ezra (3,21) si parla di “cor malignum”, mentre nel Testamento di Ruben (2,3-7) l’anima umana viene descritta come composta di “sette spiriti dell’errore” (impudicizia, insaziabilità, contesa, compiacenza, superbia, menzogna, ingiustizia).
Caratteri demoniaci
Se non fosse per fortunosi ritrovamenti di manoscritti, nel caso di Qumran, o della tradizione testuale nelle lingue di diffusione del cristianesimo antico (greco, latino, siriaco, slavo, etiopico e così via), queste testimonianze ci sarebbero ignote perché non “canonizzate” dalla letteratura ebraica rabbinica successiva. Letteratura che in ogni caso, a proposito di יֵצֶר (yetzer), risente della concezione negativa sull’istinto umano elaborata da alcune forme di giudaismo nell’epoca del Secondo Tempio. In alcuni passaggi dei commentari biblici סִפְרֵי בְּמִדְבַּר Sifre Numeri (88) e סִפְרֵי דְּבָרִים Sifre Deuteronomio (33,4-5) lo יֵצֶר (yetzer) assume caratteri quasi antropomorfi o, per meglio dire, demoniaci: non è all’interno dell’animo umano ma fuori, intento ad accompagnarlo in ogni attività quotidiana. Nel Talmud Babilonese, non diversamente, la cattiva inclinazione è paragonata all’angelo della morte, a Satana בָּבָא בָּתְרָא (Bava Batra 16a) e addirittura al אֵל זָר (el zar), il “dio straniero, alieno”, di Salmi 81,10.
Un dio alieno
E che sia proprio questo lo stesso “dio alieno”, malvagissimo, a cui una recente corrente di creativa interpretazione del testo biblico fa riferimento quando, sulla scia della cosiddetta paleoastronautica, ci mette in guardia da una terribile minaccia soprannaturale proveniente dalle insondabili profondità del cosmo? “Le porte dell’interpretazione sono sempre aperte”, diceva Maimonide. Io però, intanto, nel dubbio, comincerei a tenere a bada l’alieno interiore.
Ilaria Briata è dottore di ricerca in Lingua e cultura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha pubblicato con Paideia Editrice Due trattati rabbinici di galateo. Derek Eres Rabbah e Derek Eres Zuta. Ha collaborato con il progetto E.S.THE.R dell’Università di Verona sul teatro degli ebrei sefarditi in Italia. Clericus vagans, non smette di setacciare l’Europa e il Mediterraneo alla ricerca di cose bizzarre e dimenticate, ebraiche e non, ma soprattutto ebraiche.
Molto bello il suo articolo. E’ veramente una presenza ingombrante questo yetzer, ma troppo reale per non essere accettata come vera. E la depressione, il buio nell’anima, trova una spiegazione nell’ebraismo ?
Grazie! Sulla notte oscura dell’anima nell’ebraismo dovrei fare ricerche più approfondite, confesso! Ma mi permetto di riproporre un breve scritto “apocrifo” che mi fu ispirato proprio da questa questione come delineata nei Pirqe Avot:
Chi è il vero uomo? Chi domina la propria cattiva coscienza.
E chi non la domina? Ecco, questi è debole [חלש], inadatto [אינו הוגן] e non merita [אינו ראוי] di studiare la Torah in questo mondo né di partecipare all’accademia celeste nel mondo a venire.
Si racconta di un uomo che a lungo, con dedizione e ambizione, frequentò la scuola rabbinica [בית המדרש] finché un giorno non concepì nella propria coscienza il cattivo presagio [יצר בליבו הרהור רע] che presto sarebbe finito per gettarsi giù dal tetto. Allora abbandonò la Torah e il suo studio. Non solo: il giudaismo e la sua scienza. Disconobbe l’impegno [עסק], scordò la vita civile [דרך ארץ], ignorò l’appagamento [האנה]. I vicini lo disconobbero, gli amici lo scordarono, i sapienti lo ignorarono. Cosa fece dunque quell’uomo? Si strappò le vesti e, cinto solo rammarico e vergogna, s’incamminò nel deserto, come fanno quei cenobiti nazareni. Scottato dal sole, flagellato dal vento, escoriato dalla sabbia, sta sospeso [שוהה] in attesa che il diavolo lo porti.
Rabbi Yishma’el aggiunge: Il diavolo è dentro di lui. Vale a dire? Cioè la cattiva coscienza [יצר הרע]