“Zlateh la capra e altre storie” torna in libreria nella traduzione di Elisabetta Zevi per la collana Cavoli a Merenda di Adelphi
A tratti Aaron aveva l’impressione che non fosse mai esistita l’estate e che nevicasse da sempre, da quando riusciva a ricordare. E lui, Aaron, non aveva mai avuto un padre, una madre o delle sorelle. Era figlio della neve, nato dalla neve, e lo era anche Zlateh. […] La terza notte smise di nevicare […] Aaron si scavò un passaggio per uscire e guardò il mondo. Era tutto bianco, silenzioso, sprofondato in sogni di splendore celeste. Le stelle erano grandi e vicine. La luna nuotava nel cielo come in un mare.
La storia è quella di Zlateh la capra, il racconto che da il titolo alla raccolta di fiabe scritte da Isaac Bashevis Singer e magistralmente illustrate da Maurice Sendak (sì, proprio l’autore di Nel paese dei mostri selvaggi) appena uscita per Adelphi nella traduzione di Elisabetta Zevi. Sette racconti lievi quanto intensi che si intrecciano con i festeggiamenti di Hannukkà, festività imminente in tutte le vicende, oppure in corso, con qualche diavoleria…
La storia del dodicenne Aaron e della sua coetanea capra Zlateh è una favola d’amore, una storia sul rispetto e una fiaba sulla convivenza. Oppure anche su come sopravvivere alle difficoltà della vita o, più profondamente, su quanto sia importante la soliderietà tra esseri viventi. Poi ci sono gli stolti abitanti di Chelm, la cittadina governata dagli Anziani non meno stolti dei suoi bitanti, che credono che la neve sia un manto d’argento pieno di brillanti e altre pietre preziose, caduto dal cielo per risolvere i loro problemi economici. Decidono di farne provvista, ma la neve preziosa non va calpestata, così mandano un messaggero di casa in casa ad avvisare tutti i cittadini di non uscire . Ma per paura che il messaggero a sua volta rovini quel manto prezioso e luccicante, lo fanno trasportare su un tavolo, portato da quattro uomini…
L’ironia non manca mai. Come quell’amore per la vita (e il relativo invito ad apprezzarne ogni più piccolo dettaglio) che emerge in Il paradiso degli sciocchi, favola-parabola di un ragazzino pigro che credeva che in paradiso si sarebbe goduto la vita, al punto da desiderare di morire. Ma sono l’intelligenza e l’ironia del suo medico a salvarlo con una messa in scena famigliare degna di una fantastica pièce teatrale: un finto funerale e un noiosissimo finto paradiso vengono allestiti in casa per far credere al ragazzino di essere finalmente morto e di trovarsi in paradiso. Ma che noia mortale! “Restare qui per sempre? Preferisco ammazzarmi!”. “Un uomo morto non può ammazzarsi”. E con un susseguirsi di botta e risposta di questo tipo, si fanno fuori varie questioni findamentali: in paradiso non esiste il tempo, in paradiso non si fa niente, in paradiso non si incontra nessuno perché gli altri sono a distenze siderali… Meglio la vita terrena! E poi ci sono i bambini che non vogliono andare a dormire e le nonne che sanno evitare di doversi intrattenere notte tempo con il diavolo, specie nella prima sera di Hannukkà. Ma è proprio la prima candelina di Hannukkà a salvare la vita di David, del suo fratellino e dei genitori dagli scherzi demoniaci del Diavolo e sua moglie. Sono i bambini i più attenti, i più sensibili e i più scaltri, al punto da prendersi la libertà di bruciacchiare un pochino la coda del diavolo: che almeno si ricordi di aver fatto una cosa molto brutta!
Un libro bellissimo per andare nella Polonia ebraica e in un tempo che non è più. Ma che, come scrive Singer stesso nell’introduzione, “Per il narratore, ieri è ancora qui, come lo sono gli anni e i decenni passati. Nelle storie il tempo non svanisce, e nemmeno gli uomini e gli animali. Per lo scrittore e i suoi lettori tutte le creature vivono per sempre. Ciò che è successo tanto tempo fa è ancora presente”. Si entra nelle case e nelle cittadine, si assapora il freddo e si sente l’odore delle frittelle di Hannukkà, si cammina nella neve e si ascoltano le parole e i pensieri degli uomini. Saggi, stupidi, intelligenti e armati delle loro strane credenze. Ma c’è una dedica importante dell’autore che non possiamo fare a meno di riportare qui:
Dedico questo libro ai molti bambini che non hanno avuto la possibilità di diventare grandi a causa di stupide guerre e di persecuzioni crudeli che hanno devastato città e distrutto famiglie innocenti. Spero che quando i lettori di queste storie diventeranno uomini e donne ameranno non solo i loro bambini, ma tutti i bambini buoni del mondo.
Zlateh la capra e altre storie è stato pubblicato per la prima volta nel 1966 (e in Italia nel 1970).
È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.