Storia ebraica del panino più famoso d’America
Se Charles Feltman fosse stato ebreo, come molti credono, potremmo dire che anche gli hot dog siano un’invenzione ebraica. Pare però che questo ardimentoso signore non fosse di origini ebraiche, e che la sua trovata sia da ascrivere, più in generale, alla intraprendenza degli immigrati europei nell’America di metà Ottocento. Non tutto è perduto, però, perché di ebrei anche questa storia è comunque piuttosto affollata. Basta non fermarsi alle apparenze…
Nati in Germania e arrivati in America con gli immigrati centro europei del XIX secolo, i wurstel appaiono come salsicciotti di maiale, eventualmente mescolato con il manzo, insaccati e precotti. Chiamati in inglese Frankfurter o Wiener, dalle città di provenienza e a seconda che siano di carne solo suina o anche bovina, pare che fossero stati piuttosto apprezzati fin dal loro arrivo nel Nuovo Mondo. In particolare, si sarebbero diffusi in aree urbane ad alto tasso di immigrazione dalla Germania come quella di New York City.
Nella seconda metà dell’Ottocento comprare un salsicciotto da un carretto trainato a mano non era quindi strano, ma si limitava comunque a situazioni e luoghi particolari. Per diventare uno dei simboli del mangiare americano doveva ancora succedere qualcosa. Quel qualcosa lo avrebbe fatto accadere il già citato Feltman, un immigrato tedesco che, fiutato l’affare, aveva fatto installare una stufa a carbone nel proprio carretto e, pur restando a Brooklyn, aveva spostato i propri affari in una popolare meta di vacanze come la penisola di Coney Island. Grazie al fornello portatile Charles poteva bollire i suoi “frank” al momento e servirli ai clienti ancora belli caldi.
Per facilitare il consumo delle sue bontà senza sprecare piatti e posate (comunque scomodi per un cibo da passeggio), aveva pensato bene di inserire i salsicciotti in morbidi panini stretti e lunghi, guarnendo il tutto alla tedesca, con una manciata di crauti e un generoso strato di senape. Chiamato in principio Coney Island Red Hot, il nuovo panino farà la fortuna di Feltman, che nel giro di pochi anni potrà comprare un piccolo appezzamento di terreno sulla spiaggia e costruirvi un ristorante dove vendere le sue specialità. Ormai popolari tra le classi più povere che li compravano per strada così come in quelle più abbienti che potevano sedersi al tavolo di un ristorante al mare, gli hot dog non si erano però ancora affermati presso le classi medie. E, soprattutto, continuavano a essere di solo maiale.
A superare ogni distinzione di classe e di dieta ci avrebbe pensato un altro immigrato, questa volta realmente ebreo: Nathan Handwerker. Giunto a New York dalla Polonia nel 1902, il giovane aveva trovato impiego da Feltman nel 1915, richiamato dall’offerta di lavoro affissa alla vetrina del ristorante. La sua mansione, retribuita con undici dollari la settimana, era quella di tagliare i panini, ma pare che i talenti del ragazzo andassero bene al di là di questo impiego. Soprattutto, sembra che avesse grande successo tra i clienti, spesso artisti di belle speranze ma di scarse risorse economiche. Tra questi spiccano i nomi di due attori di vaudeville poi diventati celebri come Eddie Cantor, nato Edward Israel Itzkowitz, e Jimmy Durante. Entrambi figli di immigrati, ebrei russi per l’uno e salernitani per l’altro, ai tempi i due stentavano a sbarcare il lunario. Diventati amici di Nathan, si spaventarono non poco quando i wurstel con cui si nutrivano abitualmente raddoppiarono di prezzo, passando da 5 a 10 centesimi, e suggerirono al giovane di mettersi in proprio. Offrendo ovviamente i suoi panini a un costo inferiore rispetto alla concorrenza.
Detto fatto, Nathan mise assieme i propri magri risparmi e nel 1916 aprì con Ida, la moglie diciannovenne, un chiosco a pochi passi da quello del suo ormai ex datore di lavoro. In quella che all’inizio era poco più che una baracca con una lunga panca per gli avventori e una griglia per la cottura, Handwerker offriva un prodotto leggermente diverso rispetto a quello di Feltman. Dove l’uno vendeva wurstel di maiale con crauti, l’altro proponeva salsicce di manzo insaporite con aglio e speziate con pepe e altri aromi segreti, seguendo una ricetta segreta di Ida ispirata evidentemente alla tradizione ebraica. Non si trattava ancora di quelli oggi noti come kosher hot dog, perché la carne usata si limitava a essere semplicemente bovina e non suina (né equina!), ma Nathan non si formalizzava e, per richiamare un po’ di clientela in più, definiva i propri panini “in stile kosher”.
A questo riguardo va detto che già dal 1905 a Manhattan esisteva un’azienda, la Hebrew National, specializzata nella produzione di wurstel e salsicce kosher. Fondata dall’ebreo Theodore Krainin, emigrato dalla Russia negli Stati Uniti nel 1880, aveva cominciato i suoi affari servendo i quartieri ebraici di New York con il più alto numero di immigrati dal Centro ed Est Europa conquistando presto anche la popolazione non ebraica. Per lungo tempo non accettati dai più ortodossi, che avanzavano dubbi sull’effettivo rispetto della kasherut, i prodotti targati Hebrew National furono in compenso presto accolti da moltissimi americani, tanto che ancora oggi la stragrande maggioranza dei clienti del marchio non solo non è osservante, ma non è neppure ebrea. Convinti evidentemente dallo slogan pubblicitario “Rispondiamo a un’autorità superiore”, chi già a inizio Novecento sceglieva gli insaccati di Hebrew National pensava di puntare su prodotti comunque più controllati rispetto agli altri, sia per quanto riguarda la materia prima sia per le tecniche di produzione.
Un po’ diversamente stava andando nello stesso periodo al nostro buon Nathan. Nonostante l’appoggio dei suoi simpatici amici attori e cantanti, all’inizio i suoi hot dog non convincevano proprio per il loro basso prezzo, che alimentava il sospetto che non fossero di primissima qualità. Da qui, la trovata che tutti gli storici si divertono ancora oggi a raccontare. Oltre a offrire a tutti cetriolini e birra, per incrementare le vendite il neo imprenditore non faceva pagare i suoi panini ai medici e infermieri del vicino ospedale, il Coney Island Hospital, purché questi venissero al chiosco indossando il camice da laboratorio. Fallito anche questo tentativo, Nathan non si sarebbe perso d’animo e, ripulito e rasato qualche vagabondo, lo avrebbe travestito con la stessa tenuta dei medici presa a nolo da un negozio di costumi teatrali. Il tutto accompagnato da un cartello con su scritto: “Se anche i medici mangiano i nostri hot dog, ti puoi fidare!”.
Secondo una leggenda solo recentemente smentita dai suoi stessi creatori, la gara tra chi mangia più hot dog che tutti gli anni si disputa il 4 luglio presso il ristorante di Nathan (c’è ancora!) di Coney Island, sarebbe stata istituita nel lontano 1916 come ulteriore mossa pubblicitaria. Come giudici ci sarebbero stati il già citato Eddie Cantor e Sophie Tucker, nota cantante e attrice di origine ucraina il cui nome vero era Sonya Kalish. Il coinvolgimento dei due negli affari del ristoratore resta poco chiaro, ma sembra che la burrosa artista sia in qualche modo responsabile almeno del nome del locale. Dopo averla sentita cantare in un suo celebre pezzo “Nathan, Nathan, why are you waitin’?”, qualcuno avrebbe ironizzato che ormai l’omonimo ristoratore fosse diventato famoso… Una palla subito presa al balzo, tanto che ancora oggi la catena di ristoranti nata da quel primo chiosco si chiama Nathan’s Famous.
Di celebrità in celebrità, pare che i vecchi amici ormai famosi non abbiano mai abbandonato il simpatico millantatore, mandandogli i propri colleghi come clienti. E se tra le sue cameriere figurano personaggi esplosivi come la futura sex symbol Clara Gordon Bow, tra gli avventori non mancano nomi noti sia del mondo dello spettacolo, dai fratelli Marx a Grace Kelly, a estimatori meno raccomandabili ma di sicuro impatto sull’immaginario come Al Capone.
Tra verità e finzione, cronaca e trovate pubblicitarie, anche quella dell’hot dog diventa così una storia di riscatto e rivincita, una piccola fiaba moderna che mescola tradizioni, senso degli affari e una buona dose di coraggio nell’affrontare un mondo non sempre amichevole.
Pane per Hot Dog
Ingredienti
800 g di farina
150 g di patate lessate e passate
2 cucchiaini di lievito secco
1 uovo
1 tuorlo
zucchero
olio extravergine d’oliva
sale
Sciogliere il lievito con una punta di zucchero in 180 ml di acqua tiepida e lasciare riposare fino a quando si sarà formata una schiumetta in superficie.
Mescolare la farina con la purea di patate, 1 cucchiaio di zucchero, 2 cucchiaini di sale, 4 cucchiai di olio e l’uovo nella ciotola della planetaria, poi impastare per circa 20 secondi utilizzando l’accessorio a foglia.
Aggiungere la miscela di acqua e lievito all’impasto, sostituire l’accessorio a foglia con quello a gancio e impastare a velocità media per altri 8-10 minuti, fino a quando l’impasto sarà liscio, lucido ed elastico.
Formare una palla e trasferire l’impasto in una ciotola leggermente unta, coprendo con una pellicola da cucina. Lasciare lievitare per circa 2 ore.
Riprendere l’impasto e dividerlo in 16 pezzi di uguale misura, modellarli quindi in rotolini dello spessore di circa 2-3 cm e adagiarli su una teglia. Coprirli con pellicola e lasciarli lievitare per altre 2 ore circa.
Spennellare la superficie dei panini con il tuorlo sbattuto con poca acqua, poi cuocerli in forno già caldo a 180° per circa 18-20 minuti o comunque fino a quando la superficie sarà ben dorata. Sfornare i panini, lasciarli raffreddare e quindi farcirli a piacere con wurstel bolliti o grigliati, crauti e salse a volontà.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.