Perché è importante conoscere l’identità dei fondatori del social del complottismo
QAnon, ovvero il grande Q, vive e lotta con noi. La bizzarra visione di un mondo completamente dominato e soggiogato dai sordidi complotti di alcuni «poteri forti», ispirati da un unico obiettivo, ossia quello di assoggettare le collettività per ricavarne, nei più turpi dei modi, i peggiori benefici, non si è per nulla esaurita. Cavalcata, sia pure tra le righe, dall’ex presidente Donald Trump, sostenuta da un nutrito gruppo di fidelizzati, diffusa dagli Stati Uniti un po’ in tutte le società a sviluppo avanzato, laddove la Rete è oramai onnipresente, fa di nuovo parlare di sé.
Dopo una lunga ricerca, più simile ad una indagine poliziesca, con verifiche e riscontri incrociati, che non ad uno studio accademico, alcuni “detective linguistici” franco-svizzeri sono riusciti a risalire alle fonti potenziali del fenomeno QAnon, identificando l’autore del primo messaggio Q, quello che ha avviato la successiva catena di comunicazioni, in un processo a cascata. Paul Furber, un cittadino sudafricano che lavora nel campo dello sviluppo di software sarebbe colui che nell’ottobre del 2017, riferendosi, in un messaggio criptico – tipico del linguaggio complottista – alla necessità di «aprire gli occhi» contro la congiura dei potenti, avrebbe dato inizio al movimento virale. A prestargli soccorso, tra i primissimi, un americano, Ron Watkins che scrivendo sotto pseudonimo e chiosando i primi post li avrebbe poi rilanciati nel Web.
Di per sé la notizia potrebbe transitare da subito verso il dimenticatoio, nella sua apparente irrilevanza, se non fosse per il fatto che il movimento Q è ben lontano dall’avere cessato di esistere, semmai attendendo nuove opportunità per manifestarsi nella sua dirompenza politica. Alcuni ordini di considerazioni, quindi, si impongono.
La prima di esse è il riscontro che QAnon si muove in maniera carsica, alternando momenti di vivacità a periodi di apparente “sonno”. In quanto collettore di tutto il cospirazionismo, a partire da quello che identifica negli ebrei la radice dei mali del mondo, ha una grande capacità di adattamento. Non necessitando di altro riscontro che non sia il ripetere in maniera maniacale le assurdità che accompagnano e condiscono le sue inverosimili affermazioni (dal traffico di bambini voluto da esponenti del partito democratico all’eterno fantasma dei «poteri forti»), più viene citato e ripreso più acquista – o mantiene – visibilità e, con essa, una qualche credibilità. Non è un caso se tra quanti assaltarono Capitol Hill il 6 gennaio 2021 vi fossero non poche persone che si riconoscevano nella “visione del mondo” offerta dal complottismo.
QAnon, per l’appunto, è come una sorta di punto di sintesi di tutte le calcolate demenzialità che circolano senza alcun filtro, a partire da quello della ragione e del buon senso. Peraltro, le teorie del complotto, una miscela di millenarismo, apocalitticismo, populismo di grana grossa, sovversivismo e rabbiosità senza sbocco, hanno una lunga tradizione: una specie di catena della quale il movimento Q è solo l’ultimo anello. E l’ossatura di tali visioni è quella che si trova all’interno dell’antisemitismo contemporaneo, quello che identifica nei «Protocolli dei savi anziani di Sion» la sua architrave non solo ideologica ma epistemologica, ossia il suo fondamento di significato.
La seconda considerazione da rimarcare è che la forza di una visione basata sul complotto sta sia nella sua viralità – il diffondersi endemicamente tra quanti ne entrano in contatto – sia nel suo pseudo-internazionalismo. I seguaci di QAnon – tali si considerano, e non altro – cercano non solo proseliti, ritenendo di avere raggiunto la chiave di comprensione del mondo, ma si propongono come coloro che proprio nel nome della propria «verità» sono in grado di scavalcare i filtri di intelligibilità, liceità e plausibilità che invece la comunicazione abitualmente pone a se stessa e alla diffusione di informazioni e notizie. Rivendicano – quindi – non solo la loro opposizione a ciò che presentano come «mainstream», o prodotto del «pensiero unico», ma anche una sorta di affratellamento con la comunità (virtuale) degli iniziati, ossia di coloro che intendono denunciare la grande truffa che presiederebbe agli ordinamenti mondiali.
Ed anche per una tale ragione la “scoperta” che ad avviare un movimento di opinione di tale genere siano stati, in tutta plausibilità, due personaggi scarsamente o per nulla rilevanti dal punto di vista politico, segnala quale sia il livello di degrado della politica medesima, oramai territorio di colonizzazione da parte di immaginari del tutto autoreferenziali. Poiché QAnon non esiste in quanto riesce a prescinde dalla realtà ma si presenta come una narrazione alternativa alla realtà medesima, qualificandosi come contro-verità in sé del tutto esaustiva. È un po’ come dire che l’immaginario divora completamente la vita vissuta, sostituendosi in parte o del tutto ad essa.
La miscela di ogni teoria del complotto è, d’altro canto, quella che lega un falso senso di comprensione delle cose alla loro estrema, radicalizzata banalizzazione attraverso la chiave del risentimento qualunquista. QAnon non mobiliaà le “masse” nel senso che non costituisce una reale alternativa allo stato esistente delle cose ma immobilizza l’attenzione di una parte per nulla secondaria della collettività su una serie di fantasie che simulano un falso appagamento, quello che deriva dal gratificarsi di un’illusione. Nessun moralismo al riguardo, beninteso. Non è infatti questo il punto. Semmai occorre interrogarsi sulle ragioni per cui, ancora una volta sotto le spoglie di un pregiudizio che finge di potere capovolgere il mondo, in realtà esso concorra a cristallizzarlo sempre di più.
Torinese del 1964, è uno storico contemporaneista di relazioni internazionali, saggista e giornalista. Specializzato nello studio della Shoah e del negazionismo (suo il libro Il negazionismo. Storia di una menzogna), è esperto di storia dello stato di Israele e del conflitto arabo-israeliano.