Una mostra a Parigi racconta l’ebraicità dell’autore de “La Recherche”
Figlio di madre ebrea e padre cristiano, Marcel Proust era stato battezzato e cresciuto come cattolico, per quanto appartenente a una famiglia sostanzialmente laica. Per questo, nonostante la parte materna, risulta piuttosto difficile parlare dell’autore de À la recherche du temps perdu come di un ebreo. E per lungo tempo questa sua componente è stata infatti trascurata dalla critica, con il contributo dello stesso Marcel, che avrebbe rifiutato per primo la definizione di ebreo attribuitagli in un’occasione su un giornale dell’epoca. Questo però non ha impedito a una critica più recente di rileggere la vita e l’opera di Proust anche in questa prospettiva.
La mostra inaugurata il 14 aprile scorso al Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme di Parigi, il mahJ, si inserisce in questo filone. Entrando nelle celebrazioni per il centenario della morte dello scrittore, si intitola Marcel Proust. Du côté de la mère e parte proprio dal suo lato materno per indagarne i rapporti con l’ebraismo. Fino al 28 agosto, i visitatori dell’Hotel Saint-Aignan, splendido palazzo del XVII secolo che ospita il museo nel cuore del Marais, potranno ammirare 230 opere tra dipinti, stampe, incisioni e manoscritti che, più o meno direttamente, ricostruiscono attraverso la vita e le passioni artistiche di Proust l’influenza che la madre ha avuto sul suo percorso.
Figlia di un ricco agente di cambio parigino, Jeanne Weil ha ricoperto un ruolo indiscutibilmente primario nell’intera traiettoria esistenziale e creativa del figlio. Sposata nel 1870 a 21 anni con Adrien Proust, un umile per quanto geniale medico di provincia (sarà sua l’idea di arginare la minaccia del colera in Europa con la creazione di un cordone sanitario), Jeanne aveva portato al marito quel lustro e quella posizione sociale ed economica che l’oscuro figlio di un droghiere di Illiers, un villaggio vicino alla città cattedrale di Chartres a sud di Parigi, probabilmente mai si sarebbe sognato di raggiungere.
La storica Evelyne Bloch-Dano, che nel 2004 ha dedicato alla donna una biografia intitolata appunto Madame Proust, paragona la donna a una moderna Ester andata in sposa ad Assuero. Qui il paragone, come non hanno mancato di sottolineare critici come Robert Alter in un articolo pubblicato nel 2008 su The New Repubblic è a dir poco forzato, se non per l’ebraicità dell’eroina protagonista e l’attenzione a lei riservata in letteratura da Marcel come da sua madre. Per il resto, Jeanne era tutt’altro che una straniera offerta in moglie a un imperatore, bensì una ricca parigina di origini alsaziane che apriva al marito le porte del bel mondo della capitale, portandogli i benefici di una ingente fortuna familiare. Non risultano credibili neppure i riferimenti, ritenuti inesatti dall’autore dell’articolo, alle pratiche e ai rituali ebraici, che peraltro restavano estranei a una famiglia poco vicina alla religione.
Eppure, la figura di Jeanne è inscindibile da quella del figlio, e per quanto la donna si fosse sposata con un cattolico e avesse accettato di fare battezzare i figli, lei non avrebbe mai preso in considerazione la propria conversione. L’influsso su Marcel non poteva poi che portare il figlio a stretto contatto con la parte materna della famiglia. Anche perché era proprio da Jeanne che il futuro scrittore poteva ricevere la massima ispirazione artistica e l’accesso all’alta società parigina. Donna amante delle arti e della letteratura, la giovane signora Proust conosceva il greco, il latino, il tedesco e l’inglese e pare fosse dotata di una memoria straordinaria, tanto da citare lunghi brani di Jean Racine, di cui amava particolarmente la tragedia Esther. Suo padre Nathe era un ricco agente di cambio mentre il nonno Baruch aveva fatto fortuna nella produzione di porcellane; nello stesso albero genealogico compariva poi un prozio senatore, Adolphe Cremieux, presidente della Universal Israelite Alliance a cui sarebbero poi stati dedicati funerali di Stato. La mamma Adèle era una donna colta con una particolare predilezione per le lettere di Madame de Sévigné, nota cortigiana di Luigi XIV, e a lei sarebbe ispirata la figura la nonna del narratore della Recherche.
Per il resto, a onore del vero, l’opera di Proust pare voler dimenticare riferimenti espliciti ai natali ebraici dell’autore, che finisce anzi in alcuni punti con il risultare quasi offensivo verso i correligionari della madre. L’esempio più evidente è il ritratto poco lusinghiero che nella sua opera più nota fa dell’anziano ebreo Bloch, rappresentato però più nella sua appartenenza alla classe media che alla comunità ebraica. Eppure, tra le righe, anche questa figura la direbbe lunga secondo i critici su quelle che erano le frequentazioni del giovane Marcel, che presso la casa dei nonni materni aveva avuto l’occasione di partecipare a riunioni familiari caratterizzate da un calore e da un affetto che ben difficilmente ritrovava nell’alta società parigina del tempo (alla quale comunque la famiglia di sua madre apparteneva). Chi ha tentato di rinvenire nella critica a questa stessa società un sintomo del sentirsi “altro” del giovane ebreo è stato prontamente zittito dai critici, che hanno piuttosto visto in lui un attento osservatore di un ambiente che frequentava abitualmente, e in gran parte proprio grazie alla famiglia materna. Piuttosto, la storia di Jeanne e dei Weil in generale è sintomatica del grado di assimilazione di una certa parte del mondo ebraico nella Francia di fine Ottocento. Una integrazione che se da una parte aveva laicizzato le sue abitudini, dall’altra non lo aveva mai allontanato da un senso di appartenenza in quanto popolo.
Questa stessa appartenenza porterebbe a uno dei punti nodali intorno ai quali si sviluppa la mostra al mahJ, l’affare Dreyfus. Il presunto tradimento dell’ebreo alsaziano Alfred Dreyfus, capitano dell’esercito francese accusato nel 1894 di avere venduto segreti militari ai tedeschi, aveva spaccato la Francia per oltre un decennio. Da una parte si trovavano i dreyfusardi, che difendevano l’innocenza del militare, dall’altra gli antidreyfusardi, rappresentati da monarchici, antisemiti e conservatori, tutti partigiani della sua colpevolezza. L’alta società nella quale si muoveva Marcel Proust era schierata quasi all’unanimità contro il capitano, che solo nel 1906 sarebbe stato completamente riabilitato e reintrodotto nell’esercito in quanto assolutamente innocente e vittima di un errore giudiziario. È in questa occasione che Marcel si era nettamente distaccato dal padre e dagli aristocratici conservatori, cattolici e pro-esercito che frequentavano la sua casa.
Quanto abbiano influito le origini ebraiche nella scelta dello scrittore allora poco più che ventenne è una volta di più motivo di discussione. Secondo quanto scrive Edmund White in un saggio pubblicato nel 1999 sul New York Times, la posizione di Marcel sarebbe stata dettata non tanto dalla sua nascita quanto più semplicemente dalla sua coscienza. Di avviso leggermente diverso pare essere Alter, che nel già citato articolo uscito su The New Republic cita l’inizio di una lettera a Robert de Montesquiou. Rifacendosi al dibattito sull’affare Dreyfus, Proust avrebbe scritto: “Ieri non ho risposto alla domanda che mi hai posto sugli ebrei. Per questo semplice motivo: sebbene io sia cattolico come mio padre e mio fratello, mia madre è ebrea. Sono sicuro che capirai che questo è un motivo sufficiente per me per astenermi da simili discussioni”. Di nuovo il legame con la madre e con la famiglia dei Weil torna a mostrare la sua centralità nel pensiero e nelle scelte di Marcel che, pur non dimenticando il proprio battesimo, trova nel rapporto con la madre e con il popolo che lei rappresenta un motivo più che sufficiente di lealtà.
Tornando alla mostra, le altre delle nove tappe in cui è articolata l’esposizione affrontano la visione di Marcel Proust dell’omosessuale inteso come alter ego dell’ebreo, l’emergere di una modernità portata da intellettuali e artisti ebrei all’inizio del XX secolo e la questione della memoria come elemento centrale dell’identità ebraica e della scrittura della Ricerca. Questa avrebbe preso tra l’altro forma poco dopo la morte della madre e, parrebbe, proprio grazie alla spinta ricevuta da Marcel a fare qualcosa di immortale per la sua più grande maestra e musa.
Sono poi ricordati i luoghi che hanno segnato la vita dello scrittore, la sua partecipazione alla Revue blanche e l’influenza che ebbe su di lui lo scrittore inglese John Ruskin (di cui con la madre aveva tradotto i saggi di Sésame et les lys). Viene infine messa in luce l’analogia tra la struttura dei manoscritti proustiani e quella del Talmud, nonché il suo interesse per la storia di Ester o per lo Zohar, i personaggi ebrei nella Recherche ed esempi dello spazio a lui riservato sui giornali sionisti degli anni Venti.
Tra i dipinti in mostra, opere di Claude Monet (uno dei pittori preferiti dello scrittore), Auguste Rodin, Pierre Bonnard o Édouard Vuillard, con prestiti comprendenti anche preziosi testi come le bozze corrette dall’autore di Du Côté de chez Swann e di Sodoma e Gomorra provenienti da una trentina di istituzioni all’estero e in Francia, tra cui la BnF, il museo del Louvre, il museo Carnavalet, il museo Marcel Proust a Illiers Combray e il Musée d’Orsay.
Marcel Proust. Du côté de la mère , Mahj, fino al 28 agosto