La storia degli ebrei nella capitale greca comincia forse con la distruzione del Secondo Tempio. Un viaggio tra archeologico e attualità
Una di fronte all’altra. Le due sinagoghe di Atene sono ai lati opposti di una stessa strada, via Melidoni, nel quartiere centrale di Thiseio. Entrambe relativamente recenti, sono una di rito sefardita, la Beth Shalom, e l’altra, la Etz Heim, legata ai romanioti, gli ebrei che vivevano in Grecia da prima dell’arrivo dei sefarditi alla fine del XV secolo.
Con una popolazione ebraica relativamente piccola, composta da circa 3.500 anime, la capitale greca accoglie comunque la comunità più grande del paese, che complessivamente conta circa 5.000 persone. Non è sempre stato così. Un tempo le grosse congregazioni si concentravano altrove, a Salonicco in primis, mentre Atene aveva conosciuto momenti di relativa oscurità. Poi sarebbe arrivato il nazismo, e i centri principali dell’ebraismo greco sarebbero stati annientati. Ad Atene, che negli anni precedenti alla prima guerra aveva conosciuto un importante incremento di popolazione, sia complessiva sia ebraica, le cose sarebbero andate in maniera sensibilmente diversa. Posta inizialmente nella zona di occupazione italiana, grazie a un forte movimento di resistenza, all’attività della Chiesa greco-ortodossa e alla lungimiranza del suo rabbino capo, la capitale era riuscita a salvare la maggior parte degli ebrei che vi si erano nascosti, diventando dopo la guerra un rifugio per quanti fuggivano dagli altri paesi. Anche qui comunque le deportazioni e gli assassinii non erano mancati.
Alle 59mila vittime ebree del nazismo di tutto il Paese nel 2010 è stato dedicato un memoriale, accolto in un giardino all’ombra dell’Acropoli. A breve distanza dalle due sinagoghe, si trova nel luogo in cui gli ebrei di Atene furono attirati con l’inganno e quindi catturati dai nazisti il 24 marzo 1944. Firmato dall’artista greco-americana DeAnna Maganias, il monumento rappresenta una stella di David scomposta, realizzata in blocchi di pietra le cui punte sono state staccate dal centro, a rappresentare lo smembramento operato dalla furia nazista, e puntano in direzione delle comunità ebree greche precedenti alla Shoah. Quello che resta intatto è il cuore, ossia il centro esagonale, simbolo della continuità del percorso storico dell’ebraismo greco. Ai lati di ogni singola parte della scultura sono stati incisi i nomi delle diverse congregazioni. Tutto intorno, il giardino accoglie piante aromatiche e officinali, simbolo di guarigione ma anche di catalizzazione della memoria.
Dal memoriale si passa, in via Melidoni 3, alla Beth Shalom, la principale sinagoga della città. Costruita dalla comunità sefardita nel luogo in cui i profughi ebrei dell’Asia Minore tenevano i loro sermoni religiosi, è di fondazione relativamente recente visto che risale al 1935 e il suo interno è stato terminato nel 1951, con un ulteriore rinnovamento nel 1975. Realizzato in marmo in stile neoclassico, l’edificio che la ospita ha una struttura complessiva di 400 metri quadrati e i suoi interni possono accogliere fino a 550 persone. La sala di preghiera, che ospita tutte le funzioni principali, è caratterizzata da grandi vetrate moderne e pareti rivestite di legno. Contrariamente a quanto avviene nelle altre sinagoghe greche, Aron e Bimah sono qui riuniti su un’unica piattaforma rialzata, l’uno di fronte all’altro, mentre il matroneo si trova come di consueto al piano superiore, lungo i lati e sul retro del santuario. La parete frontale è rivestita di bronzo ed è dedicata agli ebrei ateniesi vittime della Shoah.
Di qualche decennio precedente è l’altra sinagoga della città, la Etz Haim. Fondata nel 1896 e trasferita nell’attuale sede di via Melidoni 8 nel 1903, è stata danneggiata dal terremoto del 1999 per essere poi completamente restaurata e ristrutturata nel 2009 grazie a donazioni private. Leggermente più piccola, con 300 metri quadri di superficie e una capacità di 400 persone, è il punto di riferimento per i romanioti, concentrati nelle città di Giannina e, appunto, di Atene. La struttura interna si rifà allo stile di questo antico gruppo, probabilmente presente in Grecia fin dai tempi dalla distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme e qui preminente fino all’arrivo dei sefarditi. Seguendone i costumi, più vicini a quelli degli ebrei italiani, qui il Bimah è posto sulla parete occidentale e l’Aron su quella orientale, mentre il matroneo si trova al piano superiore e corre lungo i lati e il retro del santuario. Le decorazioni della sala di preghiera sono in stile neoclassico moderno, con un design che incorpora i simboli ebraici, con la stella di David che ricorre sia sul soffitto sia sul pavimento. Lo stesso stile si ritrova nella parte esterna dell’edificio, la cui facciata bianca con modanature color crema è attraversata da balconi e ringhiere in ferro battuto nero ed è corredata da un patio con grandi ombrelloni. Aperta un solo Shabbat al mese e nelle festività, viene utilizzata occasionalmente anche per accogliere eventi culturali.
Per trovare testimonianze più antiche degli ebrei ateniesi bisogna fare un lungo viaggio indietro nel tempo, visto che la cosiddetta Sinagoga dell’Agorà risalirebbe al II d.C.. Rinvenuti nel 1977 nel corso di scavi nei pressi della statua di Adriano e dell’abside di un’antica basilica, i suoi resti si trovano all’estremità del Tempio di Efesto, tra la Collina del Licabetto e l’Acropoli. Sono costituiti da frammenti di un pavimento a mosaico e da una targa iscritta raffigurante una Menorah a sette bracci con sopra un lulav (ramo di mirto). Per quanto non spettacolari, questi reperti indicano comunque che ad Atene esisteva fin dall’antichità una comunità organizzata. Secondo gli storici la città sarebbe stata di secondaria importanza rispetto ad altri siti come Delo, dove è stata identificata la più antica sinagoga della diaspora, risalente al I secolo a.C. e, dopo le espulsioni dalla Penisola Iberica, Salonicco, che con circa 100mila persone vantava la comunità ebraica più importante.
Nei tempi più remoti non sarebbero comunque mancati i contatti con la Palestina, testimoniati dal ritrovamento di cocci e monete in Giudea nonché da diverse citazioni sia nella letteratura giudeo-ellenistica, dove Atene viene indicata come la più celebre della civiltà greca, sia in quella talmudica-midrashica. Anche se, va detto, qui i contenuti sono meno lusinghieri. Il Midrash sui Lamenti contiene infatti nella sua introduzione molte storie la cui intenzione è di enfatizzare l’arguzia e la saggezza superiori degli ebrei di Gerusalemme rispetto agli ateniesi…
Per approfondire la storia degli ebrei greci e ateniesi, dalla diffusione dei romanioti fino all’affermazione dei sefarditi, la scelta migliore è fare una visita al Museo Ebraico cittadino. Recentemente trasferito in una elegante casa neoclassica di quattro piani al 39 di via Nikis, si trova nel cuore del quartiere di Plaka, nucleo originario dell’Atene antica nonché uno dei luoghi giustamente più battuti dai turisti.
Fondato nel 1977 come un piccolo museo, provvisoriamente ospitato in una sala adiacente alla sinagoga Beth Shalom, raccoglieva in origine oggetti sopravvissuti alla guerra, principalmente manufatti e documenti del XIX e XX secolo, oltre a numerosi utensili religiosi, documenti e gioielli. Questi ultimi erano stati confiscati dai bulgari agli ebrei di Tracia nel 1943 e restituiti e consegnati al governo greco dopo le dimissioni del re bulgaro. Negli anni successivi la collezione si era arricchita con materiale proveniente da tutte le comunità della Grecia con libri rari, pubblicazioni, tessuti, oggetti rituali e utensili per la casa.
Passando attraverso sedi più grandi via via che si sviluppava e si arricchiva di nuovi reperti, il museo ha raggiunto l’attuale collocazione nel 1997, a vent’anni dalla sua fondazione. Inaugurata ufficialmente nel 1998, la nuova sede si sviluppa su più livelli con sale organizzate per temi e periodi storici. Su un piano è stata ricostruita l’ex sinagoga romaniota di Patrasso, mentre in altre sezioni si possono esplorare i diversi aspetti della vita ebraica. Oltre a organizzare interessanti mostre temporanee, l’ente ha intensificato anche il suo impegno nelle attività didattiche, di ricerca e di divulgazione. Chi non potesse visitarne di persona gli spazi, potrà farsi un’idea del palazzo e dei circa 8000 oggetti esposti grazie alla visita virtuale proposta dal sito ufficiale.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.