La particolarità nell’universalità: gli ebrei e gli altri.
Il vice presidente dell’American Jewish University di Los Angeles and Preside della Ziegler School of Rabbinical Studies si interroga su questo concetto per presentare un paradosso: l’ebraismo è una religione particolaristica, universale. Ecco come.
L’ebraismo è una religione particolaristica, e quindi preoccupata solo del benessere e della santità del popolo ebraico, o è anche una fede universalistica, che esprime preoccupazione per tutta l’umanità in ogni regione del globo? Per i nemici del nostro popolo, l’ebraismo è ritratto come una religione stretta, legalistica e particolaristica. Concentrandosi sul popolo eletto – definito come gli ebrei – e sui loro bisogni escludendo tutti gli altri, l’ebraismo sembra mostrare un’indifferenza al resto del mondo.
Per sua stessa ammissione, l’ebraismo non si preoccupa attivamente di convertire – chi è attratto dai suoi modi è ben accetto, ma non c’è un desiderio ardente di “diffondere la Parola”.
Il Dio della Torah è colui che libera gli ebrei dalla schiavitù, che dà loro un percorso di vita, che fornisce loro una Terra Promessa. Quella messa a fuoco non rende tutti gli altri periferici, anzi trascurabili?
D’altra parte, il Dio della Torah è anche il Creatore dell’Universo, il pianeta Terra e tutto ciò che contiene. La Bibbia parla esplicitamente delle alleanze di Dio anche con altri popoli: gli Assiri e gli Egiziani per nominarne solo due.
Se Dio è il Dio di tutto il mondo, allora non dovrebbe avere lo stesso rapporto con tutti? La Torah ci presenta questo paradosso: Dio è il Dio del popolo ebraico, ed è anche il Dio di tutta l’umanità. Questo doppio “impegno” è mediato dalle Leggi dei B’nai Noach, i figli di Noè, un modo in cui l’ebraismo e la halakhà (legge ebraica) incorporano la sovranità e l’amore di Dio per tutti i popoli, con la missione unica di Dio per gli ebrei.
I discendenti di Noè
Noè è il diretto antenato di tutte le persone. Attraverso un figlio, Shem, è il padre del popolo ebraico, e attraverso i suoi altri due figli, Ham e Jafet, è l’antenato di tutti gli altri.
Tutta l’umanità è imparentata con lui. I rabbini della Tosefta (una raccolta rabbinica risalente al tempo della Mishna) specificano sette comandamenti che vincolano tutti i B’nai Noach: stabilire tribunali e stato di diritto, proibire l’idolatria, proibire la blasfemia, proibire l’immoralità sessuale, spargimento di sangue, furto, divieto di strappare un arto da un animale vivente. Queste regole stabiliscono una base fondamentale di interazione morale, giustizia e compassione per gli altri esseri umani e per il mondo animale, come requisito fondamentale della società umana.
Tutta l’umanità è comandata da Dio; tutte le persone hanno delle mitzvot da osservare. Queste sette leggi di Noach sono la prescrizione basilare che Dio ha per tutti. Secondo l’ebraismo, quindi, Dio giudica gli uomini non per il credo a cui aderiscono, non per l’adesione a un gruppo o istituzione, ma per il tipo di persone che si dimostrano essere. Dio comanda che tutti si comportino secondo decenza, moralità e bontà, ebrei e non.
Nelle parole del saggio medievale, Rambam (noto anche come Maimonide, vissuto in Spagna e Egitto del XII secolo) “chi accetta i sette comandamenti e li osserva attentamente, è tra i devoti delle nazioni del mondo e gode di una quota nell’aldilà, purché accetti e li compia perché il Santo Beato li ha ordinati “.
[…] Ecco dunque cosa distingue gli ebrei dagli altri B’nai Noach: il privilegio di avere anche tutte le altree mitzvot, l’intera rete di azioni sacre che nutre e dà espressione allo specifico brit (patto) tra Dio e il nostro Popolo. Sono quegli standard aggiuntivi che rendono il nostro rapporto specifico e unico. Completano le leggi Noachidi, non le sostituiscono. Dio esige la bontà dell’ebreo non meno che del non ebreo, e ama i non ebrei non meno degli ebrei.