Dal progetto Saving Children, alla formazione di personale medico, alle innovazioni tecnologiche nel nome di una spirale virtuosa di interazioni tra israeliani e palestinesi
Lo scorso 13 luglio la piattaforma Netflix ha introdotto nel suo catalogo il documentario diretto da Richard Trank Never Stop Dreaming: The Life and Legacy of Shimon Peres, un’attenta ricostruzione non soltanto della vita e del lavoro del Premio Nobel per la Pace ma anche uno spaccato della storia di Israele, dalla sua fondazione ai giorni nostri, e soprattutto dell’immensa eredità che “il Presidente di tutti” – Peres fu Presidente di Israele e tre volte Primo Ministro – ci ha lasciato: il Centro Peres per la Pace e per l’Innovazione.
Dieci anni fa incontravo per la prima volta Manuela Dviri, uno dei membri fondanti del Centro, nonché promotrice del progetto Saving Children che, dalla sua istituzione, ha salvato oltre 13.000 bambini palestinesi.
Eppure, come ci ricorda Manuela, la strada da percorrere è ancora lunga e, mentre in questi ultimi due anni Israele ha siglato gli Accordi di Abramo con alcuni dei suoi principali “ex-nemici” in Medio Oriente, proseguendo il meticoloso lavoro avviato da Peres dai tempi di Oslo, “oggi la parola ‘pace’ sembra ormai essere quasi scomparsa dal linguaggio e dall’agenda politica israeliana”. Sia nelle elezioni precedenti – quattro in due anni – sia nella campagna elettorale, appena cominciata, in vista delle nuove elezioni, indette il prossimo 1° novembre.
“La costruzione della pace come qualcosa di concreto e duraturo, non può avvenire attraverso la retorica, ma solo attraverso la sua messa in pratica – ci spiega Manuela Dviri – E questo è proprio quello che cerca di fare il Centro Peres: non limitandosi a parlare di pace, ma praticandola”.
Il Centro è stato fondato nel 1996, da Peres, a seguito dell’assassinio, nel 1995, di Yitzhak Rabin, allora Primo Ministro e promotore degli Accordi di Oslo, per i quali vinse, assieme a Peres e Yasser Arafat, il Premio Nobel della Pace, nel 1994.
Proprio grazie ai fondi del Premio, Peres riuscì ad aprire il Centro a Tel Aviv, cuore di Startup Nation, al fine di cercare di coinvolgere la società israeliana e palestinese nel collaborare assieme a progetti nei campi più diversi e da sempre cari allo spirito innovativo di Peres: dall’agricoltura alle nanotecnologie, dalla cultura al business, al fine di sviluppare in modo concreto quel dialogo senza il quale, aldilà della terminologia dei trattati, non può essere messa in pratica una pace concreta e duratura.
Anche l’incontro tra Manuela e il Centro ha avuto inizio proprio per via della sua storia personale, quando nel 1998 suo figlio Yoni, allora appena ventunenne, perse la vita nel corso del servizio militare in Libano. Come lei stessa racconta: “Ho sempre creduto che l’occupazione del Libano fosse strategicamente sbagliata, perché i confini del proprio Paese si devono difendere solo dall’interno. Ma il fatto di avere perso mio figlio mi ha permesso di avere un megafono con cui far sentire la mia voce assieme a quella di altre madri come me.”
Proprio in quei mesi si è costituito il movimento delle “Quattro Madri”, che nel giro di poche settimane sono diventate migliaia e che nel 2000, con la vittoria elettorale di Ehud Barak, hanno finalmente ottenuto il ritiro militare di Israele dal Libano, dopo diciotto anni.
Arriviamo così al 2003, quando Manuela si trova in Italia a raccontare la sua storia personale e viene improvvisamente avvicinata da una donna palestinese che le racconta del figlio di una sua amica: un bambino di Betlemme in fin di vita e bisognoso di cure mediche, che gli possono essere procurate facilmente in Israele.
È proprio in Italia che Manuela raccoglie i primi cinquemila euro con cui si reca al Centro Peres per fondare il progetto Saving Children, dedicato alla cura dei bambini palestinesi in ospedali israeliani.
Da allora sono stati curati oltre 13mila bambini e dal 2007 la responsabile logistica del progetto è Soha Atrash, araba israeliana originaria di Jaffa, la citta vecchia di Tel Aviv, dove da sempre convivono arabi ed ebrei, luogo prediletto dove trasferire il Centro, nel 2010, nello splendido edificio disegnato dall’architetto nostrano Massimiliano Fuksas.
Il ruolo di Soha è fondamentale al fine di coordinare tutta la logistica per trasferire i bambini dalla Cisgiordania e Gaza fino in Israele: in particolare per ottenere tutti i permessi necessari sia da parte dell’Esercito Israeliano, sia da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, sia da parte di Hamas.
Un’attività di coordinamento tutt’altro che semplice, ma necessaria, proprio per la messa in pratica del dialogo tra tutte le parti coinvolte, attraverso una spirale virtuosa di interazioni tra i due popoli: a cominciare dai piccoli, che spesso trascorrono lunghi periodi di degenza, vivendo nella stessa stanza di ospedale, assieme ai bambini che solitamente vivono dall’altra parte del muro; alle famiglie, che dopo aver condiviso per mesi la sofferenza nel non sapere il destino dei propri figli, cercano anche negli anni a venire di rimanere in contatto tra di loto; fino alla collaborazione tra medici, attraverso uno tra i progetti più importanti del Centro Peres: “Training Doctors”, volto al formare medici palestinesi che, grazie a questo progetto, finiscono il periodo di specializzazione in ospedali israeliani. “Lo scopo finale è quello di fare in modo che, una volta tornati nei Territori Palestinesi, siano in grado di curare direttamente i bambini, fino al giorno in cui, finalmente, non ci sarà più bisogno di Saving Children. Anche dal punto di vista umano è forse uno dei progetti più ambiziosi ai fini della promozione del dialogo”.
Ma ciò che ha più contraddistinto l’attività del Centro negli ultimi anni sono tutti i progetti legati all’innovazione “che è sempre per stata, per Peres, uno dei temi centrali per promuovere il processo di pace, attraverso scambi prima di tutto di idee, poi economici, infine attraverso collaborazioni concrete, il vero e proprio cemento per una pace duratura. In un certo senso – continua – quello che fa il Peres Center è la stessa attività di Yad Vashem, ma al contrario. Loro hanno il ruolo di salvaguardare la memoria del passato, noi di promuovere i progetti che riguardano il futuro, sia sul piano tecnologico che su quello della sicurezza, che si promuove, prima di tutto, attraverso una cultura di pace”.
Per farlo, il Centro racconta – grazie ad un affascinante percorso multimediale – la storia di Startup Nation e delle sue invenzioni: dai famosi pomodorini ciliegia a startup ancora in fase embrionale, che fanno di Israele il Paese con il primato per numero di brevetti al mondo. “Come ha sempre sostenuto Peres, la tecnologia non è solo la chiave di svolta per il futuro ma anche lo strumento principale con cui costruire il presente, perché sono coloro che le sperimentano, le nuove generazioni, a creare un dialogo quotidiano, ancora più importante di quello tra i politici, ormai ben lungi dall’affrontare tutte le grandi questioni irrisolte: da quella del terrorismo interno, allo status di Gerusalemme”.
“Non bisogna dimenticare – aggiunge – che la crisi politica interna a Israele non è altro che lo specchio di una crisi politica su scala globale, di cui l’apice è rappresentato dal recente conflitto russo-ucraino oltre alla, altrettanto drammatica, questione climatica, di cui tutti parlano ma nessuno offre soluzioni concrete”.
“In questo senso – conclude Manuela – il Centro Peres, proprio grazie alla sua indole innovativa, vuole offrire soluzioni di importanza vitale non solo per Israele, ma anche su scala mondiale. Perché la pace è un concetto universale, e dovrebbe essere alla portata di tutti”.
Per maggiori informazioni sulle attività del Centro Peres per la Pace e Innovazione potete scrivere a info@centroperesitalia.org
Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.