Ottocento persone in tutto appartengono alla comunità samaritana, probabilmente la più piccola realtà religiosa al mondo
Parlare dei Samaritani può sembrare quasi anacronistico, come evocare un popolo vissuto ai tempi della Bibbia e dei Vangeli, che appartiene ad un passato remoto e ormai scomparso da secoli. Invece no, non solo la comunità samaritana ancora esiste ai nostri giorni, ma conoscere i loro usi e costumi ci permette in un certo senso di rivivere da vicino tradizioni che l’ebraismo rabbinico ha abbandonato in seguito alla distruzione del Santuario di Gerusalemme. Chi si reca sul monte Garizim vicino a Nablus puo’ visitare il museo, passeggiare nel quartiere dove abita la comunità e soprattutto può trovare l’affascinante sito archeologico dove sorgeva il Santuario samaritano e dove si trovano i resti di una chiesa bizantina – oggi sotto la gestione dei parchi nazionali israeliani.
Ma cominciamo dall’inizio: quali sono le origini dei Samaritani? Questa è forse una delle domande più controverse, in quanto ogni risposta include in sé una determinata narrattiva. Secondo la prospettiva ebraica si tratterebbe dei “Kutim”: un popolo portato forzatamente in Erez Israel dagli Assiri nell’ 8 sec. a. C. per mescolare la popolazione locale ed evitare eventuali rivolte nel paese.
Secondo l’ottica samaritana invece, essi si ritengono i discendenti dei due figli di Giuseppe- Efraim e Menashe e dei sacerdoti Leviti, che a differenza degli ebrei esiliati in Babilonia dopo la distruzione del primo Santuario, rimasero in Erez Israel (da qui il loro nome proveniente dalla radice ebraica s.m.r.- “custodire” [la Legge]). Oggi la comunità si divide in cinque famiglie che conservano le tradizioni delle rispettive tribù di discendenza.
Ovviamente c’è anche una spiegazione scientifica: secondo dei ricercatori di genetica, questa popolazione avrebbe origini miste, sia autoctone che allogene. Ad ogni modo, i Samaritani oggi contano poco piu’ di 800 appartenenti – quindi è forse fra le comunità religiose più piccole al mondo! Vivono in Israele fra Holon e il monte Gerizim vicino a Nablus, credono solo nella Torà scritta e seguono cinqui principi fondamentali: la fede nel Dio unico, l’importanza del profeta Mosè, la centralità del Monte Garizim, la santità della Torà di Mosè, e la fede nel giorno del Giudizio.
La controversia fra ebraismo rabbinico e Samaritani non si limita solo alle origini: esistono circa 6000 differenze di argomenti fra la Torà ebraica e quella samaritana; ma forse, il contrasto maggiore parte proprio dall’episodio biblico che abbiamo ricordato durante la preghiera di Rosh HaShanà: l’identificazione del luogo del sacrificio di Isacco. Come è noto la tradizione ebraica lo colloca a Gerusalemme sul monte Moriah, mentre per i Samaritani la prova di fede a cui fu posto il patriarca Abramo avvenne sul Monte Garizim. La tensione religiosa fra questi due Santuari e la domanda intrinseca di chi detenesse la vera Torà, il vero luogo sacro, i veri sacerdoti e fossero parte quindi del vero ebraismo, ha fatto si che samaritani ed ebrei della Giudea fossero per secoli acerrimi nemici.
Anche dal punto di vista delle usanze samaritane esistono numerose differenze rispetto all’ebraismo rabbinico: i Samaritani circoncidono i propri figli, ma non festeggiano il bar/ bat mizwa, in quanto ogni Samaritano è obbligato a rispettare le regole della Torà già dalla nascita. Rispettano lo Shabat, ma festeggiano esclusivamente le feste citate nella Torà secondo il calendario samaritano (diverso da quello ebraico): Pesach (il 14 del mese di Nissan col sacrificio pasquale), la festa delle Azzime (7 giorni dopo Pesach), Shavuot (50 giorni dopo il sabato di Pesach), il primo giorno del settimo mese- “il giorno del suono” (chiamato erroneamente anche da molti Samaritani “Rosh HaShanà”), Kippur (dopo i dieci giorni di penitenza dal primo giorno del settimo mese), Succoth, Shemini Atzeret. Il capodanno samaritano cade l’1 di Nissan, considerato il primo mese dell’anno.
In occasione delle feste dei tre pellegrinaggi ossia Pesach, Shavuot e Succoth, la comunità Samaritana prega fino all’alba per poi recarsi sul Monte Garizim: è qui che, a Pesach, i sacerdoti vestiti di bianco sacrificano il korban Pesach di cui solo gli appartenenti alla comunità potranno poi mangiarne. Il più anziano della famiglia “Levi” funge da Sommo Sacerdote: la funzione più importante e di onore, che insieme agli altri cinque rappresentati di ogni famiglia forma la leadership.
Una delle usanze samaritane forse più particolari per gli osservatori esterni è il digiuno di Kippur: la Torà parla dell’obbligo del digiuno per “qualunque persona” (Lev., 23:29), e per l’interpretazione samaritana, vanno dunque inclusi anche i bambini; perciò tutti coloro che non abbiano problemi di salute sono obbligati a rispettare il digiuno (vengono esclusi solo i lattanti).
Il fatto che i samaritani siano stati perseguitati a lungo è causa anche di un’altra usanza particolare: quella di costruire la succah dentro la casa e non al di fuori, sotto il cielo. Fino al sedicesimo secolo anche i samaritani costruivano la succah sotto il cielo stellato, ma le loro capanne venivano continuamente distrutte o perfino incendiate, così si trovarono costretti a costruirle all’interno della casa pur di adempiere a questa legge. La succah samaritana è davvero una piccola opera d’arte: le quattro specie vegetali vengono intrecciate a una rete in fil di ferro attaccata al soffitto di casa e sorretta da quattro pali. La frutta di stagione completa l’opera, una meravigliosa e profumata opera d’arte. Alla domanda sul perché non costruiscono la succah all’aperto, rispondono con una punta di sarcasmo: “Non che sia vietato costruirla esternamente, ma neanche è scritto nella Torà che debba essere fuori; soprattutto a noi non piace sedere al freddo o sotto la pioggia!” Come non dargli ragione? Che sia un buon anno per tutti, shanà tovà!