Hebraica
Cosa significa la parola “midrash”?

“Cercare” “indagare” e perfino “invocare” ed “esigere”. Viaggio ermeneutico filologico in quella favola (nient’affatto semplice) da studiare e interpretare, solitamente indicata con la parola midrash

Midrash significa racconto, storiella, invenzione senza pretese di verità? Non proprio, o almeno non soltanto se si guarda alla storia della parola e della radice da cui viene formata. Una storia che affonda nei testi della civiltà ebraica antica, raccolti nel canone biblico secoli dopo la composizione e quasi sempre dopo una sequenza di numerose redazioni, e nella letteratura rabbinica di età tardoantica di cui il Talmud rappresenta il principale monumento.

Midrash deriva dalla radice di tre lettere d-r-sh, che compare in molti luoghi del Tanakh innanzitutto nella forma verbale darash la quale assume nei diversi contesti diversi significati. Nella maggioranza dei casi – ma non in tutti – l’oggetto che introduce è la Torà oppure Dio: d-r-sh la Torà oppure d-r-sh Dio, dunque.
1. “Cercare”, “ricercare”. Per esempio nel libro del profeta Isaia: “Cercate (dirshu) nel libro del Signore e invocate” (34,16); oppure nel Deuteronomio: “Soltanto nel luogo che il Signore vostro Dio sceglierà […] là, nella sua residenza, lo ricercherete (tidreshu) e andrete” (12,5).
2. “Domandare a”, “chiedere lumi a”, “consultare”. In 2 Re il re Achasià ferito ordina ai suoi messaggeri: “Andate e consultate (dirshu) Baal Zevuv, divinità di Ekron, per sapere se guarirò” (1,2).
3. Da “consultare” deriva il significato di “invocare” (riferito tipicamente a Dio oppure a altre divinità), presente in molti libri biblici e in numerosi passi. In Genesi, quando Rebecca incinta sente muovere dentro di sé i due feti che si urtano come se fossero già in lotta prima di nascere “andò e invocò (lidrosh) il Signore” (25,22) – ma l’edizione Disegni in uso presso molte comunità ebraiche italiane rende “andò a consultare il Signore”. Riferendo al popolo di Israele le parole divine il profeta Amos esclama: “Invocate (dirshu) il Signore e vivrete, affinché non invada come fuoco la casa di Giuseppe” (5,6).
4. “Indagare”, con cui il termine penetra nel territorio del diritto. “Indagare” è infatti l’azione del giudice che, istruendo un processo, raccoglie prove e testimonianze. Nel Deuteronomio viene trattato il caso di chi invita i concittadini ad adorare dèi stranieri: “Tu indagherai (darashta)”, dice Mosè, “farai un’inchiesta e interrogherai per bene” e, se risulta vero, passerai a fil di spada tutti gli abitanti, i loro animali e distruggerai la città (13,15). Isaia predice l’avvento di un re-giudice che “indaga (doresh) il diritto e affretta l’avvento della giustizia” (16,5).
5. “Esigere”, un significato antico presente per esempio in Genesi nella benedizione divina su Noè e la sua discendenza: di coloro che si ciberanno di carne strappata a un animale vivo – cosa che costituisce divieto – “esigerò (’edrosh) il loro sangue, la loro vita” (9,5). Ezechiele, riportando le parole di Dio sull’unico luogo di culto ammesso, il Tempio di Gerusalemme, spiega che “là esigerò (’edrosh) le vostre offerte, i doni delle vostre primizie e tutto ciò che mi consacrerete” (20,40). Da questo significato deriva l’espressione darosh shalom, “ricercare la pace”, “invocare la (altrui) completezza” e di conseguenza “salutare”, compendiata solitamente nella semplice e universalmente nota formula di saluto shalom. L’uso è comune anche nell’ebraico moderno, per esempio nello slogan politico ‘am chazak doresh shalom, “un popolo forte esige (chiede con forza) la pace”, diffusissimo nella Israele degli anni novanta del Novecento che sembrava prossima a un accordo di pace con gli arabi palestinesi e che compare anche nella popolare Canzone degli sticker del gruppo Dag Nachash.
6. Dal significato di “ricercare” deriva quello di “studiare”, attestato in libri biblici di composizione tarda, cioè non solo redatti nella forma definitiva ma anche pensati in età ellenistica. Qohelet afferma: “Ho messo il mio cuore (luogo del ragionamento e del pensiero nell’antropologia biblica) a studiare (lidrosh) e investigare con sapienza tutto ciò che accade sotto il cielo” (1,13). Un passo del libro di Ezra riporta che “Ezra si era applicato a studiare (lidrosh) la legge (Torà) del Signore e a praticarla e a insegnare in Israele le leggi e il diritto” (7,10). Come vedremo a breve, questo significato rivestirà grande importanza nell’età del Talmud.

Oltre alle tante occorrenze del verbo darash, in due passi del Tanakh compare già il sostantivo corrispondente midrash. Entrambi si trovano in un libro relativamente recente come 2 Cronache, cosa che indica chiaramente la derivazione di midrash da darash e non viceversa. Al termine del racconto del sanguinoso regno di Avià, monarca di Giuda, il cronista aggiunge: “Gli altri fatti della vita di Avià, il suo procedere e il suo agire si trovano scritti nel midrash del profeta Iddo” (13,22). In modo simile più avanti a proposito del re Yoash: “Le notizie riguardanti i suoi figli, le molte profezie contro di lui e le riparazioni della casa di Dio sono scritte del midrash dei Re” (24,27). “Gli altri fatti di X… si trovano nel libro/discorso di Y” è una formula stereotipa impiegata molte volte nei Re e nelle Cronache, questi però sono i soli casi in cui occorre il termine midrash invece dei più usuali sefer o divrè (“libro”, “discorso”). A prima vista sembra evidente che il significato sia lo stesso, cioè un documento scritto, anche se alcuni studiosi come Günther Stemberger non escludono che già in questi luoghi midrash possa indicare uno “scritto esegetico”, un “commento”. D’altra parte non è facile addurre ragioni contro l’intuitiva coincidenza tra il midrash dei Re e il libro (sefer) dei Re ripetutamente citato altrove. Per completare il quadro, la versione greca dei Settanta traduce con le parole biblion (libro) e graphè (scrittura), la recenziore Vulgata latina con liber (libro).

Nei rotoli trovati nelle grotte di Qumran, datati tra il III secolo a.e.v e il I e.v., compare midrash nel significato di “studio” e “insegnamento” – anche nell’espressione midrash haTorà, “studio/insegnamento della Torà”; darash in quello di “ricercare” e “interpretare”. Qumran dunque accerta questi usi del sostantivo e del verbo secoli prima della letteratura rabbinica, la quale però arriverà a fondere in un tutt’uno i significati di indagine, interpretazione e studio. Nella Mishnà e nel Talmud midrash è innanzitutto “ricerca”, “studio” – quindi molto vicino o anche sinonimo di talmud – e viene contrapposto a maasè, che individua l’agire concreto. Nei Pirkè Avot, per esempio, rabbi Shimon ben rabban Gamliel sostiene che “non lo studio (midrash) è la cosa più importante, ma l’azione (maasè)”. Oppure significa “interpretazione”, “esegesi”, come nella formula zè midrash darash, “presentò questa interpretazione”. Nella maggior parte dei casi tuttavia midrash viene riferito a uno studio e un’interpretazione specifici, cioè della Torà. Di conseguenza la scuola, in cui si studia la Torà e poi – a livello avanzato successivamente al bar mitzvà – la legge orale e le interpretazioni, è chiamata bet midrash . Per inciso l’equivalente arabo, madrassa, deriva dalla medesima radice e ha significato analogo.

La contrapposizione tra senso letterale (peshat) e un senso nascosto o metaforico (derash) non appartiene all’età del Talmud ma all’esegesi medievale, è dunque successiva di alcuni secoli. Nei secoli della Mishnà e del Talmud, invece, è già pienamente adottato un duplice uso del sostantivo midrash, “il quale indica tanto il processo dell’indagine, della ricerca, quanto il suo risultato” (Amos Luzzatto, Leggere il Midrash. Le interpretazioni ebraiche della Bibbia, Morcelliana). Indica quindi, in altre parole, sia una modalità di approccio ai testi sia una serie di opere scritte che restituiscono quell’interrogazione rivolta ai testi – si ricordi il significato già biblico di darash come “esigere”, “chiedere con forza”, “mettere alle strette”. Nel primo senso il midrash si avvale di specifiche tecniche, regole, o forse più propriamente modalità ermeneutiche. Nel secondo è un genere letterario presente per lunghi tratti nel Talmud (soprattutto babilonese) e in decine di raccolte esegetiche di tipo normativo o omiletico (le più antiche soprattutto di area palestinese).

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

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