In cartellone al Cinema Mexico di Milano per il giorno 27 gennaio
A Theresienstadt, il campo di Terezin, erano rinchiusi artisti e bambini. Principalmente, ma non solo, perché era anche un campo di smistamento. Era, inoltre, un luogo della propaganda nazista che lo mostrava come esempio perfetto di insediamento ebraico, addirittura definendolo come “zona autonoma”. Orrore. Orrore perché in realtà a Terezin si compivano operazioni di raccolta dei prigionieri in transito verso lo sterminio. Orrore, perché a Terezin c’era un elevatissimo numero di prigionieri musicisti che hanno suonato, sempre, anche davanti al pubblico. Davanti ai loro carnefici. La musica però è stata anche una possibilità di sopravvivenza e un’arma, utilizzata soprattutto in uno spettacolo eclatante: il Requiem di Verdi, diretto (e pensato) dal geniale Rafael Schächter . «Canteremo ai nazisti quello che non possiamo dire loro», questo era il suo programma, basato sull’intensificazione e, in parte, sul rovesciamento della grande opera verdiana. Come ha scritto Giulio Busi a questo proposito, «quale vita eterna potevano chiedere le vittime ebree della Shoah, quale pace, che ricompensa oltremondana sarebbe mai valsa nell’orrore del lager? La risposta di Schächter, visionario direttore d’orchestra, prevedeva un’eversione dell’ordine temporale del Requiem. Quand’anche l’ultimo deportato fosse morto nelle camere a gas, il giorno del giudizio e della punizione – il terrifico, incalzante Dies irae verdiano – sarebbe giunto per i persecutori ancora in vita. Schächter, i suoi artisti, tutti gli spettatori ebrei erano consapevoli – secondo Bor – del contenuto di rabbia e dell’aspettativa di riscatto mondano di cui si rivestiva il capolavoro di Verdi». Questa vicenda venne raccontata da un sopravvissuto, lo scrittore e giurista Josef Bor (citato appunto da Busi) nel libro Il Requiem di Terezin, poi diverse altre storie sono venute alla luce.
Di questo luogo, di queste storie e della potenza dell’arte parla il film di Gabriele Guidi, Terezin. L’arte è più forte dell’odio, girato tra l’Italia e la Repubblica Ceca con Mauro Conte, Dominika Zeleníková, Alessio Boni, Jan Redai, Vladimir Polak. Le vicende di Antonio, clarinettista italiano e Martina, violinista cecoslovacca che si innamorano a Praga e vengono deportati a Terezin, si intrecciano a quelle degli artisti e degli intellettuali rinchiusi in quello che veniva chiamato ghetto di Terezin. Al cinema dal 26 gennaio.
È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.