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Gorizia, la Gerusalemme dell’Isonzo

Storia e storie da visitare nella città friulana

Sono ormai pochi gli ebrei che oggi vivono a Gorizia e la stessa comunità dell’antica Gerusalemme sull’Isonzo dal 1969 è aggregata a quella di Trieste. Come spesso capita nell’articolata geografia giudaica nazionale, però, la situazione attuale non è specchio di una storia altrettanto esile. Anzi. Già l’appellativo citato la dice lunga sull’importanza che questa città di confine ha avuto nella storia ebraica, italiana e non solo.


Presenti fin dal Medio Evo, gli ebrei affermarono la loro posizione a Gorizia dal XVI secolo, consolidandola poi nei secoli successivi, sotto il dominio asburgico. Tra i primi quartieri abitati si ricorda la contrada Cocevia, alle pendici del castello, considerata dagli storici una vera e propria giudecca. Nel 1692 l’imperatore Leopoldo I vi dispose l’istituzione del ghetto, ma la scelta della zona non piacque, pare, al resto della popolazione. Il quartiere era troppo centrale, così si preferì trasferire gli ebrei in un luogo più periferico e lontano dal passaggio delle processioni come la contrada di San Giovanni.
Per quanto il governo parlasse di zona di protezione più che di reclusione forzata, l’area oggi attraversata da via Ascoli era comunque chiusa come altrove da cancelli, il primo nei pressi della Chiesa di San Giovanni, l’altro a nord, lungo il fiume Corno, oggi coperto. Impegnati principalmente nell’attività di prestito, nella filatura della seta e nella produzione di cera, gli abitanti delle 16 case del ghetto godevano qui di privilegi, statuiti dalle cosiddette patenti di tolleranza. Una in particolare, emessa nel 1781 da Giuseppe II, consentiva agli ebrei di esercitare tutte le professioni, senza limitazione alcuna. Tale relativa libertà per gli abitanti israeliti di Gorizia favorì la crescita della comunità, che nel 1788 raggiunse le 270 persone, toccando le 314 unità nel 1850. A contribuire all’aumento della popolazione fu in origine anche l’arrivo dei correligionari della Serenissima, dove la Ricondotta del 1777 aveva limitato al contrario le attività e i luoghi di residenza. A Gorizia invece non solo le professioni potevano essere svolte senza limiti, ma non c’erano neppure imposizioni riguardo all’acquisto di immobili. Così non solo le case e le botteghe del ghetto erano di proprietà degli ebrei, ma si trattava anche di edifici spesso abbelliti da balconi con ringhiere in ferro battuto e cornici in pietra intorno alle finestre, specchio del benessere economico generale della città come della sua stessa comunità. Oggi solo una parte degli antichi edifici del ghetto è riconoscibile, visto che molti dei fabbricati di un tempo sono stati demoliti o ristrutturati, ma due dei suoi palazzi più significativi sono ancora distinguibili.

Il primo si pone proprio all’ingresso dell’antico ghetto, accanto alla chiesa di San Giovanni. Si tratta della casa in cui abitò l’uomo a cui è stata intitolata la strada, il linguista Graziadio Isaia Ascoli. Nato a Gorizia nel 1829 da una famiglia agiata, il futuro glottologo aveva dovuto interrompere gli studi regolari da giovane per dirigere le attività familiari in filanda e in cartiera, ma questo non gli aveva impedito di proseguire la formazione come autodidatta. Diventato professore all’accademia scientifico-letteraria di Milano, fu tra i principali studiosi del ceppo ladino e franco-provenzale diventando il primo docente in Italia di glottologia. Avrebbe lui stesso coniato questo termine per definire quella che fino ad allora era stata indicata come storia comparata delle lingue classiche e che con lui si era allargata anche al sanscrito, all’iranico e al gotico. Oggi una lapide posta sopra il portone del palazzo in via Ascoli 1 ne ricorda l’illustre abitante.
Alla formazione accademica oltre che religiosa del linguista contribuirono altri due importanti personaggi legati alla storia cittadina: il rabbino capo di Gorizia Abraham Vita Reggio e suo figlio Isacco Samuele, divenuto poi a sua volta rabbino nel capoluogo giuliano. Entrambi sono ricordati, tra l’altro, presso il museo ebraico goriziano, posto al pianterreno della sinagoga. Per raggiungere il tempio basta fare pochi passi lungo via Ascoli e raggiungere il numero 19. Qui nel 1699 era stato istituito un oratorio di rito tedesco, trasformato poi in sinagoga nel 1756. All’epoca l’edificio era nascosto dai fabbricati circostanti, poi con la demolizione di un palazzo attiguo nel 1894 era stata creata una corte, chiusa sulla strada da una facciata dalle influenze moresche decorata sulla sommità dalle Tavole della Legge.

Da tempo non più destinata al culto, la sinagoga è oggi inserita nel percorso di visita del museo, chiamato Gerusalemme sull’Isonzo e posto al pianterreno dell’edificio. Donato al Comune dopo l’assimilazione con la comunità di Trieste e restaurato nel 1984, il tempio si trova al primo piano del palazzo. Nelle occasioni speciali in cui è aperta al pubblico, la sua bella sala illuminata da ampie finestre e lampadari in ferro battuto offre lo spettacolo di un notevole matroneo ligneo a balconata, a forma ellittica e chiuso da grate mobili. Oltre al bellissimo pavimento in marmo bianco e nero, vi si ammira anche l’aron, realizzato in stile barocco con quattro colonne tortili e circondato da una balaustra settecentesca in ferro battuto e dorato. Il pulpito rialzato in legno del bimah si trova sull’altro lato della sala, mentre un leggio con quattro grandi candelabri e banchi con piano a ribalta completano l’arredo.

Le sale espositive, gestite come la sinagoga dalla locale Associazione Amici di Israele, si concentrano sulla storia della comunità goriziana. Questa è raccontata attraverso i pochi oggetti rituali sopravvissuti alle razzie della seconda guerra mondiale e soprattutto tramite i testi e le immagini riprodotte sui grandi pannelli esplicativi. Vi sono in particolare approfondite le figure dei grandi ebrei goriziani, dai già citati Ascoli e i rabbini Reggio, alla scrittrice e giornalista Carolina Luzzatto Coen. Nata a Trieste nel 1837 come Sabbadini e trasferita a Gorizia dopo il matrimonio con Girolamo Luzzatto Coen, questa viene ricordata tra l’altro come la prima donna in Italia ad avere diretto un quotidiano, il Corriere di Gorizia, e per essere stata zia dello scrittore e filosofo Carlo Raimondo Michelstaedter. Al letterato, morto suicida a 23 anni nel 1910, il museo dedica una saletta che ne espone le principali opere pittoriche, mentre in città è di nuovo possibile trovarne memoria in pieno centro, grazie alla scultura in bronzo che lo rappresenta in via Rastello, all’altezza del numero 78.

Per rendere omaggio a queste personalità nel loro luogo di sepoltura sarà invece necessario uscire della città, nonché dai confini italiani. L’antico cimitero ebraico  della comunità goriziana si trova infatti in territorio sloveno, a Nova Gorica, in località Valdirose. Le sue origini risalirebbero al Seicento, più o meno all’epoca dell’istituzione del ghetto. Oggi raccoglie oltre novecento tombe, perlopiù rivolte a est, con lapidi provenienti anche da precedenti luoghi di sepoltura, la più antica delle quali risale al 1371. Queste sono particolarmente semplici, riportano solo le date di nascita e di morte e sono spesso corrose dal tempo e atterrate. Vi si affiancano sepolture più moderne, con epitaffi più complessi, tra cui alcune monumentali con influenze decorative di matrice eclettica. Tra i simboli che riportano scolpiti in bassorilievo si possono individuare gli emblemi delle famiglie ebraiche goriziane mentre i discendenti di stirpe sacerdotale e i rabbini, tra cui il già citato Isacco Samuele Reggio, si riconoscono perché raccolti nell’area prossima all’ingresso principale.
L’intero campo è interessato da anni da un importante progetto di recupero e di valorizzazione che vede tra i protagonisti la Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia. Considerato un bene di fondamentale importanza non solo a livello italiano ma anche europeo, il cimitero di Valdirose rientra tra i principali beneficiari degli sforzi e dei fondi amministrati dell’ente di tutela del patrimonio storico e artistico ebraico, anche alla luce dell’assegnazione alle città di Nova Gorica e di Gorizia del titolo di Capitale Europea della Cultura 2025.

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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