Cultura
Pesach a tavola

Cosa cucinare e come farlo: guida pratica a primi, torte salate e dolci

Nell’affrontare a tavola il percorso a ostacoli della settimana di Pesach gli ebrei italiani sono in qualche modo facilitati. Certo, viviamo in un paese dove la pasta e il pane regnano sovrani, ma una volta rassegnati a farne a meno per otto giorni si aprono comunque prospettive non così drammatiche. Il merito va da una parte alla ricchezza di materia prima di cui disponiamo e dall’altra allo sterminato patrimonio gastronomico a cui possiamo attingere.

Messi da parte spaghetti e ravioli, lasagne e tagliatelle, possiamo comunque contare su piatti a base di riso, legumi, patate e verdure come difficilmente si trovano altrove. Questo naturalmente senza contare le portate che hanno come protagonisti carni, pesci, latticini e uova. Fatta questa premessa, resta il problema delle norme più restrittive, osservate dagli ashkenaziti e da alcune comunità sefardite. Queste mettono al bando non solo il grano e i suoi derivati, ma anche il riso e i legumi, tutti raccolti sotto il nome di kitniyot (baccelli). Per fare contenti tutti sarà necessario restringere ulteriormente il campo ed eliminare le altrimenti provvidenziali preparazioni a base di ceci, fagioli, piselli e compagni, i risotti e tutti i piatti a base di riso. Creando così il problema di che cosa servire come primo piatto. La risposta arriverà difficilmente dalla tradizione internazionale, dove peraltro la scansione delle portate è diversa dalla nostra. Ma anche a volersi rifare con zuppe e minestre, gnocchi di azzime in brodo, creme e vellutate, pure queste possono presto venire a noia, anche considerando l’impossibilità di tuffarci dei crostini dorati…

Tenendo bene a mente che uno dei nomi di Pesach è Chag Ha’matzot, festa delle azzime, si partirà proprio da qui per semplificarsi la vita in cucina e non rimpiangere troppo i piatti di tutti i giorni. È così che il primo piatto, facile, veloce e in grado di sfamare anche un numero consistente di familiari e ospiti, può essere proprio la lasagna di azzime. Si tratta di una preparazione assolutamente spuria, che pesca dalle tradizioni del passato semplificandole e adattandole alle abitudini locali. Al punto che a qualcuno ricorderà le lasagne a base di pane carasau, prodotto tipico sardo. Sostituendo queste sfoglie con le azzime inumidite d’acqua, si potrà a piacere condirle con salsa di pomodoro e mozzarella per una versione vegetariana oppure con un ragù di carne di manzo o di agnello e besciamella vegetale per una portata destinata agli ospiti onnivori. Adeguatamente condite, le lasagne di azzime andranno passate in forno fino a doratura. Chi desidera prepararle con le verdure di stagione potrà realizzare un condimento a base di spinaci e porri cotti in padella, tritati al coltello e quindi mescolati con dadini di mozzarella e ricotta fresca lavorata a crema.

Sempre gli spinaci sono i protagonisti di un altro possibile piatto per Pesach, con pochi ingredienti, semplice e pronto in pochi passaggi. Si tratta di una versione senza farina dei cosiddetti gnocchi gnudi toscani, ottenuti da un impasto di spinaci bolliti, strizzati e tritati e quindi impastati con ricotta, parmigiano, uova, sale e pepe. Si ritiene che un tempo altro non fossero che il ripieno dei ravioli di magro (tanto che nella sua Scienza in cucina Pellegrino Artusi li indica a loro volta come ravioli), rimasto a un certo punto senza il suo involucro di pasta. Nudo, dunque. Nella versione per Pesach potranno essere compattati con farina di azzime oppure amido di patate, anche se questo non è accettato da tutti gli osservanti. Una volta modellati, gli gnocchi andranno bolliti in acqua salata, scolati e quindi conditi con olio o burro fuso con qualche foglia di salvia, pepe e formaggio grattugiato.

Azzime e spinaci ricorrono anche in una torta che ricorda da una parte le finte lasagne di cui si parlava sopra e dall’altra una torta pasqualina ligure. Parliamo della Mina de Espinaca, la torta di spinaci diffusa in gran parte del mondo sefardita. Viene preparata stendendo un paio di azzime precedentemente inumidite sul fondo di una teglia contenente olio già sfrigolante. Sopra vi si dispone un composto di spinaci, bolliti, tritati e saltati con un soffritto di cipolle o porri, mescolati con formaggio feta, parmigiano, latte, uova e aromi a volontà. Un paio di altri strati di azzime completa la preparazione, da passare poi in forno fino a compattarla e dorarla.

Restando in tema di torte salate e senza allontanarci dalla Liguria può essere interessante reinterpretare un altro pilastro della gastronomia di questa regione come il polpettone di fagiolini e patate. La ricetta originale vuole che i legumi freschi siano bolliti, passati o tritati e quindi mescolati con i tuberi ridotti in purea con l’aggiunta di uova, parmigiano grattugiato, sale, pepe, maggiorana e noce moscata. Il composto viene quindi versato in una teglia unta, cosparso di pangrattato e condito con un filo di olio prima di passarlo in forno caldo per un’oretta. Per una versione adatta a Pesach si potranno sostituire per estremo scrupolo i fagiolini con altre verdure (le zucchine sono la scelta più facile) ed eliminare ovviamente la spolverizzata di pangrattato finale, sostituibile con le azzime macinate o tolta del tutto.

Dall’Italia si passa a questo punto in Marocco, dove troviamo la Maakouda. Con questo termine si indicano sia delle crocchette di patate sia un tortino, sempre di patate, che per certi versi è assimilabile al kugel di patate della tradizione ashkenazita. Entrambi perfetti sulla tavola di Pesach, si differenziano per l’abbondanza di verdure usate in aggiunta nel piatto maghrebino. Per questa pietanza, le patate bollite e schiacciate sono mescolate con cipolle, carote e piselli rosolati in padella, unendo poi i tuorli con aromi e spezie. Alla fine, dopo avervi incorporato gli albumi montati a neve ferma, la torta va cotta in forno in una teglia unta di olio finché si rassoda per essere poi servita a fette.

Grandi protagoniste di questi giorni, le uova ricorrono in diversi altri piatti a base di verdure e formaggi della tradizione sefardita. Ad esempio, in quella preparazione perfetta per Pesach chiamata Sfoungato in Grecia, Jibon in Siria e in innumerevoli altri modi nei tanti luoghi in cui è diffusa e reinterpretata. Lo si può descrivere genericamente come una frittata di spinaci o di zucchine dal gusto reso particolarmente intenso dalla presenza della feta e del formaggio grattugiato. Una sua variante al forno, sempre diffusa in Grecia e altrettanto adatta ai giorni di Pesach, è la Almodrote. Viene preparata cuocendo al forno le melanzane e, quando queste sono bene arrostite, impastandole con uova, abbondante formaggio grattugiato tipo emmental, aglio arrostito e schiacciato e sale. Una volta trasferito in uno stampo e ricoperto con altro abbondante formaggio, il composto viene quindi cotto in forno caldo fino a quando risulta sodo e dorato.

Si passa in Turchia e si torna a utilizzare le azzime con la ricetta dei Burmuelos. Preparate sia in versione dolce sia in versione salata, queste frittelle sono diffuse un po’ in tutti i Balcani e sono originarie, si pensa, della Spagna moresca. Per prepararle come spuntino o stuzzichino, ammollate 5 azzime nell’acqua, poi strizzatele e impastatele con 250 g di feta schiacciata e 125 g di formaggio grattugiato tipo parmigiano o pecorino, 3 uova leggermente sbattute a parte, 4 cipollotti puliti e affettati e poca farina di azzime nel caso il composto sia troppo molle. Modellatelo poi a palline con le mani inumidite, appiattitele e friggetele in abbondante olio caldo.

Saltando a piè pari tutta la sezione riguardante carni e pesci, che salvo preparazioni in crosta e impanate non presentano grosse difficoltà al cuoco ebreo, si può affrontare a questo punto lo spinosissimo tema dei dolci. È qui che l’impossibilità di utilizzare farine e lievito crea i problemi maggiori. Lasciando perdere, almeno qui, le azzime (legittime ma non esaltanti in pasticceria), gli ingredienti protagonisti restano il cioccolato, lo zucchero (o il miele), la frutta secca e, di nuovo, le uova. A questi si possono aggiungere mele, arance e altra frutta fresca, ma si tratta comunque di elementi secondari. Detto questo, la sfida è quella di comporre dolci soffici nonostante l’assenza di lievito e la presenza di farina di mandorle o di altra frutta secca, inevitabilmente più pesante di quella di grano. Di solito, non è ammesso l’impiego della fecola di patate o della farina di riso (sarebbe troppo facile!).

Per regalare morbidezza ai composti l’arte pasticciera si è concentrata nei secoli nell’arte della sbattitura delle uova, in particolare degli albumi. Questi, adeguatamente montati fino a diventare una spuma più che soda, dovranno essere in grado di fare crescere gli impasti e, soprattutto, di far sì che questi rimangano soffici anche una volta sfornati e raffreddati. Messi da parte amaretti e paste di mandorle, dalla preparazione solo apparentemente semplice e i risultati non sempre brillanti, ci limiteremo qui a proporre due torte facilissime perfette per questo periodo come per il resto dell’anno.

La prima si chiama Bocca di dama ed è una torta di origini ebraiche che si dice fosse molto amata da Isabella d’Este, marchesa di Mantova. La sua preparazione, a base di mandorle ridotte in polvere e rigorosamente priva di lievito, può includere o no la farina, ma ovviamente per Pesach vale la variante con la sola frutta secca. Per prepararla, l’abilità e la pazienza nel montare le uova è fondamentale, ma basta un semplice sbattitore elettrico per ovviare alle difficoltà che i cuochi rinascimentali di certo incontravano. Si comincia col montare a neve gli albumi di 6 uova e con lo sbattere i tuorli con 200 g di zucchero. Alla crema così ottenuta vanno aggiunte 250 g di mandorle tritate finissime e 2 albumi non montati. Dopo avere amalgamato con cura il composto vi si incorporano le chiare montate, a poco a poco e mescolando delicatamente dal basso verso l’alto. Dopo avere trasferito il tutto in una teglia foderata con carta da forno, si cuoce la torta in forno già caldo a 180° per 30-35 minuti, proteggendone la superficie negli ultimi minuti con carta di alluminio perché non bruci. Una volta raffreddata e sformata la torta andrà guarnita con una glassa preparata sbattendo 2 albumi con 80 g di zucchero a velo, cosparsa di mandorle a lamelle e passata di nuovo in forno per qualche minuto per fare indurire la copertura.

La seconda possibilità è puntare su un dolce assolutamente “cioccolatoso”. Preparatelo sciogliendo a bagnomaria 220 g di cioccolato fondente tagliato a pezzi con 120 g di burro e facendolo quindi raffreddare leggermente. Sbattete intanto 6 tuorli con 120 g di zucchero fino a ottenere una crema chiara, gonfia e liscia, poi incorporatela a poco a poco al cioccolato fuso, mescolando con cura. Insaporite con un cucchiaino di estratto di vaniglia, poi montate gli albumi tenuti da parte a neve fermissima con una frusta elettrica incorporando a metà lavorazione 2 cucchiai di zucchero. Incorporate gli albumi al composto al cioccolato, mescolando con delicatezza, poi trasferite il tutto in uno stampo foderato con carta da forno e cuocetelo in forno già caldo a 180° per circa 30 minuti. Sfornate, fate raffreddare e sformate, poi avvolgete la torta nella pellicola da cucina e lasciatela riposare in frigo per una notte prima di spolverizzarla di cacao e servirla.

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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