Il carro armato è quello di Degania, in Israele, che racconta il conflitto del 1948. Ma quei fatti poi sono il pretesto per indagare sui concetti di verità, memoria e mito nella storia del Paese
Esiste un luogo nel cuore di Israele, un luogo minuscolo che ha fatto la storia dello Stato. Questo luogo è Degania, madre di tutti i kibbutzim, il cui insediamento principale (Degania Alef) risale al 1910. A Degania, tra i sentieri punteggiati da casette basse si respira ancora, malgrado le enormi trasformazioni del tempo, l’atmosfera dei giorni degli halutzim. Alcuni leggendari protagonisti della storia e della cultura di Israele sono passati da queste parti: la poetessa Rachel Bluwstein, il “profeta” del movimento laburista A.D. Gordon, l’eroe di guerra Yosef Trumpeldor, il generale e leader politico Moshe Dayan, il quale fu il secondo bambino nato a Degania Alef nel 1915. Tuttavia Degania è nota anche per un celebre episodio verificatosi durante la guerra del 1948, un’impresa che ha il sapore dell’eternità, cui molti ambiscono essere accomunati, di cui molti desiderano ascriversi il merito. Quando, infatti, l’esercito siriano invase la valle del Giordano avvicinandosi pericolosamente ai cancelli del kibbutz, fu uno dei suoi membri, Shalom Hochbaum, a fermare l’avanzata nemica lanciando una molotov contro uno dei carri armati. Ancora oggi quel carro armato siriano si trova all’ingresso di Degania, reperto incancellabile di un evento che ha determinato non poco il corso del conflitto. In questo modo, almeno, è stata tramandata la vicenda. Ma talvolta la memoria si presenta come un poliedro dalle molte facce. Altri quattro uomini, infatti, reclamano la paternità del gesto. Dove si colloca allora la verità storica – sempre che ne esista una?
A questi e altri interrogativi è dedicato l’ultimo romanzo dell’israeliano Assaf Inbari, Il carro armato, appena uscito per la casa editrice Giuntina, la quale precedentemente aveva già pubblicato l’ottima prova d’esordio dello scrittore, Verso casa (2020). In realtà il fatto del carro armato di Degania non è stato il primo della storia ebraica a presentare diverse possibilità di interpretazioni. Nell’esergo al romanzo Assaf Inbari ci ricorda, infatti, che persino un episodio fondante quale l’uccisione di Golia da parte del futuro re Davide presenta una possibile discrepanza, dal momento che in 2 Samuele 21: 19 leggiamo che il filisteo è stato abbattuto da un certo Elchanan. Poco importa se l’esegesi ebraica si affretta a trovare una maniera di attribuire comunque questo nome allo stesso Davide: il dubbio è ormai stato insinuato.
Il paragone con il testo biblico è di sicuro interesse all’interno del romanzo, non solo da un punto di vista puramente esteriore. A lungo le guerre d’Israele – quella di Indipendenza in primis – sono state interpretate dall’establishment sionista come la lotta “dei pochi contro i molti”, del piccolo e debole ragazzo ebreo contro il gigantesco e potente Golia arabo. Il libro è costruito come versioni in competizione per lo stesso evento, cinque Davide contro altrettanti Golia, cinque storie di cinque persone sulla cinquantina, ognuna con una propria individualità e un desiderio autentico di celebrare la propria opera a Degania e non solo. Ognuno di questi eroi – veri o presunti – è collegato, infatti, ad altri capitoli della storia ebraica e israeliana.
Non dobbiamo tuttavia lasciarci ingannare dalla cornice storica entro la quale si svolgono gli eventi narrati, Il carro armato non è un romanzo celebrativo, né un’indagine volta a attribuire una volta per tutte un unico nome all’azione eroica del 1948. Addentrandoci nella narrazione, scopriamo infatti che la ricerca della verità è solo un espediente “decorativo”. La verità storica emerge dal testo come viziata da un pregiudizio sostanziale: la mente umana tende a correggere i fatti per adattarli alla storia che costruisce, e anche se non è passato molto tempo dall’evento, è arduo ricostruire i dettagli dei singoli episodi, soprattutto se essi si sono svolti nel tumulto di un’azione bellica. La domanda più significativa che dobbiamo porci non è chi abbia davvero fermato il carro armato siriano, ma cosa questa storia racconti sullo Stato ebraico. Come ha scritto al riguardo il giornalista Niv Shtendel, non è il mito ma l’ethos a essere importante. Perciò al conflitto del 1948 si sovrappone, ad esempio, la guerra dello Yom Kippur, durante e dopo la quale si svolgono le vicende narrate nel romanzo. Inbari disegna così una linea sottile che unisce le origini dello Stato ebraico ai più drammatici e traumatici conflitti successivi, una linea che è fatta di punti di somiglianza e di differenza, ma è comunque tracciata secondo l’impronta dello stesso ethos eroico israeliano.
Al di là di ogni possibile valutazione qualitativa, Il carro armato è una felicissima conferma per l’autore, il quale è senza dubbio tra le voci più interessanti della letteratura israeliana odierna, dotato di un’originalità davvero inimitabile. È uno scrittore da non perdere di vista, di cui speriamo di leggere ancora molto negli anni a venire. Nessuno sa scavare nella storia di Israele come Assaf Inbari. Nessuno possiede la lucidità necessaria per far emergere dettagli che, oltre a tentare di ricostruire il passato, mirano soprattutto a illuminare il futuro.
Assaf Inbari, Il carro armato, traduzione di Alessandra Shomroni, Giuntina, pp.288, 20 euro
Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).