La prima mostra dedicata all’icona pop giudice della Corte Suprema inaugura il neonato museo ebraico della città americana
A inaugurare il Capital Jewish Museum, il neonato museo ebraico di Washington DC, sarà una mostra dedicata a Ruth Bader Ginsburg. Si tratta di Notorious RBG: The Life and Times of Ruth Bader Ginsburg, la prima esposizione museale dedicata alla giudice della Corte Suprema americana, visitabile, insieme all’intero museo, dal 9 giugno.
Un’icona pop Bader Ginsburg, il cui volto campeggia su tazze, magliette, poster, raccontata in questa mostra nei suoi diversi – ma spesso simultanei – ruoli di studentessa, moglie, madre, avvocato, giudice, pioniera dei diritti delle donne e fenomeno di Internet. Si parte da qui, in particolare dal libro che ha fornito anche il titolo alla mostra e dalle sue autrici, la giornalista Irin Carmon, corrispondente senior del New York Magazine, e l’avvocato Shana Knizhnik, fondatrice del popolare Tumblr che ha reso RBG famosa su Internet. In collaborazione con il Capital Jewish Museum e Skirball Cultural Center di Los Angeles, le autrici hanno messo a punto l’esposizione che offre uno sguardo ricco, divertente e allo stesso tempo rigoroso sulla vita e sul lavoro della giudice Ginsburg. Attraverso fotografie e documenti d’archivio, arte contemporanea, postazioni multimediali e giochi interattivi, la mostra racconta le storie parallele della straordinaria carriera di RBG e degli sforzi da lei compiuti per ampliare il “We the People” e includere coloro che sono stati a lungo esclusi dalle promesse della Costituzione. Con un obiettivo chiaro: invitare i visitatori, attraverso l’avvincente biografia di RBG, a partecipare alla vita civica e a considerare come il futuro della Corte Suprema abbia un impatto su tutti i cittadini.
L’ironia è però il filo conduttore indispensabile per capire la personalità di Ginsburg. Così il viaggio nella sua vita, arricchito da memorie, scritti e alcuni dei suoi dissensi, si srotola lungo il legame giocoso tra Notorious RBG e il rapper Notorious B.I.G. (come lei stessa ha sottolineato spesso, entrambi sono nati e cresciuti a Brooklyn, New York). Il nome di ogni sezione della galleria allude a una canzone o a un testo del defunto artista hip-hop.
Per la tappa di Washington di questa esposizione itinierante, il Capital Jewish Museum ha aggiunto manufatti che si ricollegano alla vita ebraica di RBG nella capitale, tra cui un collare speciale commissionato per lei dalla rivista Moment, la mezuzah della porta del suo studio alla Corte Suprema e manufatti raccolti da memoriali pubblici dopo la sua morte nel 2020.
Un’icona importante, un modello esemplare di vita dedicata al servizio, agli altri, alla società che il museo ha scelto di condividere con i visitatori. L’esplorazione parte da qui per poi addentrarsi nella storia degli ebrei di Washington, che inizia nel 1790, anno della findazione della città, per giungere a oggi (secondo un censimento del 2017 gli ebrei attualmente presenti a Washington sarebbero circa 300mila).
Il museo racconta l’espansione della comunità dalla capitale ai sobborghi del Maryland e della Virginia, guidata a volte dagli ebrei che si sono uniti alla “fuga dei bianchi” – quando i residenti bianchi hanno lasciato i quartieri di recente integrazione – e altre volte da restrizioni che hanno impedito agli ebrei di accedere a determinate aree. La popolazione ebraica della città è cresciuta negli anni Trenta e Quaranta a causa dell’espansione del governo durante il New Deal del presidente Franklin Delano Roosevelt e la Seconda guerra mondiale.
Una mostra nella mostra parla poi di identità e chiede ai visitatori “Chi sei tu?” , per presentare una gamma variegata di ebrei di Washington, del passato e del presente, tra cui Tom King, una spia della CIA diventata scrittrice di fumetti.
Le mutevoli sorti dell’ebraismo americano sono racchiuse nella data di apertura del museo, il 9 giugno: in quella data, nel 1876, Ulysses Grant fu il primo presidente a partecipare alle funzioni sinagogali. Quattordici anni prima, espulse gli ebrei di Paducah, nel Kentucky, accusandoli di essere speculatori di guerra. Il presidente Abraham Lincoln annullò l’ordine, che è stato descritto come “il più ampio regolamento antiebraico di tutta la storia americana”.