Intervista a Raffaele Sabbadini (Raf Sab), vice presidente di Magen David Keshet e candidato per la Consulta nella lista Ha Bait
Un elemento particolare del sistema elettorale e delle istituzioni ebraiche a Roma è la votazione per la Consulta. Alle elezioni del 18 giugno gli elettori avranno a disposizione due schede, una per il rinnovo del consiglio della Comunità ebraica e una per la Consulta. Ma a cosa serve la consulta? Ne abbiamo parlato con un candidato della lista Ha Bait, Raffaele Sabbadini (Raf Sab, per chi lo conosce soprattutto dai social), vice presidente di Magen David Keshet, organizzazione LGBTQ ebraica, e manager di importanti aziende di Telecomunicazione ed information technology.
La prima domanda riguarda l’istituzione stessa della Consulta: a che cosa serve?
La Consulta è formata da membri eletti e da membri di diritto che sono per esempio gli ex consiglieri (che diventano consultori) . A cosa serve la Consulta? Negli ultimi otto anni ha perso le sue prerogative, in particolare quella di essere una sorta di parlamentino della comunità alle cui riunioni erano presenti tutti, anche i non eletti, e lavorava su alcune commissioni sui vari aspetti della vita comunitaria. Per esempio quando era presidente mio zio Carlo Di Castro, la Consulta rappresentava una forza propulsiva nei confronti del consiglio. In questi anni l’attuale governo della Comunità, rappresentato dalle due nostre liste concorrenti, ha svuotato la Consulta mantenendo quasi solo la funzione di parere consultivo sul bilancio. Con Ha Bait con cui sono candidato, vorremmo ridarle una forte importanza. Poche sono state le occasioni di confronto con la base. Sono state fatte solo ultimamente due assemblee su problematiche denunciate nella comunità a proposito del disagio giovanile, ma nulla è stato fatto di concreto.
Magen David Keshet aveva denunciato al Consiglio casi di omotransfobia nella scuola, ma nulla poi si è fatto. Ed è questo il problema principale: se non si da seguito alle discussioni e alle denunce, le persone non partecipano più. E la mancanza di partecipazione è un problema che affligge tutte le comunità ebraiche in Italia. Ho scelto di candidarmi con Ha Bait perché ha dimostrato veramente di essere la casa di tutti, l’unica lista che ha chiamato il problema dell’omotransfobia con il suo nome, senza nasconderlo dietro etichette più generiche come il bullismo, mostrandosi realmente inclusiva. Noi persone LGBTQ+ in questa Comunità ci siamo sentiamo ignorate, l’omotransfobia resta mediamente nel migliore dei casi sotto la voce bullismo, venendo relegata a problema marginale. E invece bisogna affrontare la questione.
Per questo ha scelto di candidarsi?
Sì. La lista Ha Bait è l’unica che ha parlato chiaramente del ruolo della Consulta . La partecipazione è il cuore della comunità e ridare un ruolo attivo alla Consulta significa ridare vita alla partecipazione. Va detto inoltre purtroppo che di queste elezioni sanno in pochissimi e si vota ormai tra poco tempo, il 18 giugno. Trovo che aver parlato così poco dell’appuntamento elettorale, aver dato pochissimo spazio alle diverse liste per raccontarsi e per farsi conoscere sia una mancanza di rispetto nei confronti di tutti. Nei confronti degli anziani, che probabilmente non voteranno non sapendolo e a causa del mancato arrivo dei certificati elettorali, per chi risiede fuori, così come i giovani che seguono i social ma sui quali è stata fatta pochissima campagna elettorale.
Quali sono gli obiettivi che si pone con questa candidatura?
Rivitalizzare la consulta, ricreare le commissioni che lavorino su temi specifici importanti per la Comunità per poi confrontarsi concretamente con il Consiglio e soprattutto portare la presenza delle persone LGBTQ+ con le nostre identità ed esperienze nelle istituzioni ebraiche. Porto la mia presenza e credo sia importante perché siamo parte della comunità anche se siamo arrivati a sentirci dire che non siamo kasher, ci paragonano addirittura a chi mangia il prosciutto. Ma chi mangia il prosciutto compie una scelta, diversamente da noi. Essere Gay, trans, queer non è una scelta e i fenomeni di hate speech, omotransfobia vanno denunciati e va iniziata una operazione importante di informazione nella nostra Comunità che noi abbiamo proposto, inascoltati, da oltre un anno e mezzo. Ricordiamo che combattere l’omotransfobia è un atto civile e morale e va anche nella direzione di ciò che indica la Bibbia: ama il prossimo tuo come te stesso… E per questo è importante anche capire le discriminazioni che subiamo noi ebrei LGBTQ+ . Il discorso sulle discriminazioni additive ed intersezionali affrontato nel nostro recente European Jewish Queer Pride Shabbaton a Roma è molto importante: noi subiamo omofobia nella comunità e poi, fuori, da alcune frange del movimento LGBTQ+, subiamo antisemitismo mascherato da antisionismo. Occorre fare un discorso culturale che prepari a un vero cambiamento, nella Comunità e nelle famiglie
Spesso si sente dire che oggi i ragazzi dicono di essere Gay o Queer per moda…
Molte persone si definiscono queer più facilmente che non etero o omosessuali per dire che amano le persone (e non un genere). Questa è una realtà, è un bisogno di esprimersi molto forte, nient’affatto una moda. E c’è molto bisogno di confrontarsi su questo all’interno della comunità.
Come Magen David Keshet avete infatti proposto una serie di attività per la scuola su questi temi. Siete riusciti a realizzarle?
Al momento no. Ci tengo a dire che l’obiettivo è fare corretta informazione, chiamare le cose con il loro nome. Nessuno vuole fare promozione dell’omosessualità (peraltro impossibile, visto che l’omosessualità non è trasmissibile). Abbiamo fatto un ottimo lavoro illustrando ai ragazzi dell’Hashomer Hatzair a Roma e a Milano il progetto che avevamo proposto alla scuola: i ragazzi sono stati molto colpiti, in particolare dalla testimonianza di una persona oggetto di atti di omotransfobia qualche anno fa. Perché è facile parlare di bullismo in generale, ma bisogna invece avere il coraggio di affrontare questo tema, spesso minimizzato, sottovalutato e invece molto presente. Speriamo di riuscire a portare presto nella scuola e nella comunità il nostro progetto.
Infine, il welfare. È un elemento importante in ogni comunità che potrebbe essere affrontato anche dalla Consulta?
La Consulta ma anche il consiglio devono allargare lo spettro di analisi e soluzioni relativamente al welfare, anche questo attraverso commissioni specifiche, prima di tutto in maniera non assistenziale, ma creando veri e propri percorsi professionali. Una questione urgente riguarda sicuramente le disabilità e soprattutto il Dopo di noi, su cui ci sono dei progetti da mettere a terra velocemente. Ma vorrei anche attivare uno sportello d’ascolto per persone LGBTQ+ perché sono tante e molte negano la propria identità pur di essere accettate dalla comunità. Le competenze nella nostra lista anche sui temi di welfare sia nel Consiglio che nella Consulta ci sono, e siamo pronti a metterle al servizio della Comunità.