“Castelli in aria” e “false illusioni” nel parlare della diaspora sefardita, che ha sempre indicato la Spagna come luogo di nostalgia, la “Terra bella”… Una rubrica di parole e espressioni in giudeo-spagnolo
I proverbi costituiscono un vero e proprio genere letterario nel mondo sefardita, dotato di un ricco e vario patrimonio di modi di dire (usanza che senza dubbio affonda le radici nella Bibbia) a testimonianza di una lingua, il giudeo-spagnolo, che è stata un tempo vitale e ben ancorata nella quotidianità. Anche attualmente, tra le pubblicazioni che hanno come scopo quello di recuperare e rivivificare la lingua e la cultura giudeo-spagnole, spiccano le edizioni di repertori di proverbi e gli studi paremiologici.
Un modo di dire tra i più curiosi e significativi è quello con il quale si “accusa” qualcuno di fare castelli in aria: “Ti costruisci castelli in Spagna”, che equivale a dire “ti fai false illusioni”, dal momento che per gli ebrei della diaspora sefardita (dopo l’espulsione del 1492 dalla penisola iberica), la Spagna, Sefarad, è sempre stato un luogo ricordato con nostalgia ma impossibile da raggiungere, tanto che il ritorno è sempre stato visto come un’illusione.
Non è raro sentire qualche sefardita augurare “il prossimo anno a Sefarad!”, chiaro adattamento dell’espressione ebraica “L’Shana Haba’ah B’Yerushalayim” con cui gli ebrei della diaspora si augurano il ritorno. Sefarad, la Spagna, si affianca quindi a Gerusalemme come patria atavica e anelata per i sefarditi, tanto che, secondo alcuni, essi avrebbero una doppia appartenenza: la terra santa (Israele) ma anche la terra bella (la Spagna).
Molto è stato scritto sul rapporto tra i sefarditi e la loro antica patria, nonché sulle raffigurazioni della Spagna nella letteratura sefardita della diaspora. Da parte spagnola, sull’onda delle sincere manifestazioni di nostalgia sparse nella produzione letteraria e nell’immaginario sefardita, si è spesso ceduto al paternalismo, considerando i sefarditi come spagnoli senza patria che per secoli hanno coltivato il culto della Spagna medievale, nonostante questa li avesse espulsi, e la sua lingua. Per decenni si è persino narrato di carovane di persone che, lasciando l’amata penisola iberica dopo l’editto di espulsione, portavano con sé le chiavi di casa, nella speranza di tornare al più presto.
Se questi aneddoti fanno parte del mito creato da una Spagna che agli inizi del 900 si era trovata senza più colonie e desiderava quindi soppiantare gli ex sudditi con altri spagnoli oltreconfine, la volontà di taluni sefarditi di fare rientro (anche solo simbolicamente) all’antica patria è dimostrato anche dal buon successo che ha avuto la legge 12/2015, con la quale la Spagna concede la nazionalità ai sefarditi di tutto il mondo (a determinate condizioni). Durante il dibattito parlamentare precedente all’approvazione di questa legge, è ritornato in auge il proverbio “fraguar kastiyos en Sefarad”, azione che, a quanto pare, dopo l’approvazione della legge, per i sefarditi non è più così campata per aria…
insegna letteratura spagnola all’Università di Genova. Si occupa prevalentemente di letteratura dell’esilio repubblicano spagnolo (Ci portarono le onde. José Moreno Villa poeta tra modernismo, avanguardia ed esilio, 2012) e di letteratura sefardita (Sentieri di parole. Studi sul mondo sefardita contemporaneo, 2019; Una lengua llamada patria. El judeoespañol en la literatura sefardí contemporánea, 2019). Insieme a Ana María González Luna ha tradotto in italiano il romanzo Tela di cipolla (2021) della scrittrice messicana sefardita Myriam Moscona.