Piatti ashkenaziti e sefarditi da preparare nei mesi caldi
Parlare di zuppe ai primi di luglio potrebbe sembrare un azzardo. Difficilmente una ciotola fumante nel mese più caldo dell’estate risulta essere una buona idea. Tutto cambia se al termine zuppa sostituiamo quello più morbido (in tutti i sensi) di vellutata o di crema e vi accostiamo l’aggettivo fredda. Si apre così un mondo che forse non immaginavamo tanto grande. Gli ebrei ne sanno qualcosa.
Già grandi esperti nel campo delle zuppe calde, e in particolare del loro ingrediente principale, il brodo (di gallina, ovviamente), tanto che un pasto ebraico non sarebbe completo senza questa pietanza, lo sono tradizionalmente anche nel campo dei cibi freddi. Senza addentrarci qui nell’universo dei piatti di Sabbath consumati freddi o comunque a temperatura ambiente, ci concentreremo qui su un ambito specifico che è appunto quello delle portate al cucchiaio. Per limitare ulteriormente il campo potremmo specificare “salate” per escludere i dessert, ma un po’ di dolcezza nella cucina ebraica non manca mai…
Di sicuro lo zucchero e soprattutto l’agrodolce sono una cifra distintiva della tradizione gastronomica dell’Europa orientale. È qui che in epoca si presume medievale si sarebbe iniziato a preparare il borscht. C’è chi dice che sia patrimonio russo, chi ucraino. Ciò che conta qui ricordare è che questa minestra inizialmente preparata con lo spondillo (sedano dei prati) e dal Cinquecento in poi con la barbabietola, nel corso dei secoli ha conquistato tutta l’area est europea, passando a fine Ottocento negli Stati Uniti grazie agli immigrati ashkenaziti.
Quello portato Oltreoceano come cibo identitario ebraico era già una pietanza diversa da quella diffusa presso i popoli europei. Se in Russia, Ucraina o Polonia la zuppa rosso-violacea veniva preparata con barbabietole, carne e panna acida, presso gli ebrei si era affermata una versione prevalentemente vegetariana. Dovendo scegliere tra l’aggiunta di carne e quella di smetana, la panna acida alla russa, le popolazioni ebraiche optavano prevalentemente per la seconda, adattando quindi il resto della preparazione alla presenza di un latticino. C’era ovviamente anche chi continuava a usare i tagli meno pregiati di carne o gli ossi, ma in quel caso l’immancabile componente acida veniva fornita dal succo di limone, dall’aceto o dalle stesse barbabietole, ma in versione fermentata. Dall’agrodolce al freddo il passaggio è quasi scontato, e tra gli ebrei questa versione del borsch spesso finiva con l’essere la preferita, tanto da dare l’avvio al pranzo del sabato.
Sempre tra i popoli dell’Est Europa dai tempi più remoti si prepara un’altra zuppa che è diventata parte integrante della tradizione ebraica. Anche questa nasce dalla cultura contadina, che sfrutta al meglio quanto il campo e la stagione hanno da offrirle. Così, dalla primavera a tutta l’estate, c’era un altro ingrediente che, ben prima della barbabietola, si era imposto nelle cucine più povere. Parliamo di quella che in italiano è indicata come acetosa o erba brusca e in yiddish come shtshav o tshav, diventando schav tra gli ashkenaziti americani. È una pianta dalle foglie lanceolate vagamente simili a quelle degli spinaci ma dal gusto nettamente più aspro, acidulo (da qui il nome italiano), specie quando cresce allo stato selvatico. Sarebbe stata questa versione la più usata dai contadini dell’Europa orientale, che la raccoglievano per usarla in zuppe di stagione poi indicate con lo stesso nome della pianta. Da quanto riporta Gill Marks nell’Encyclopedia of Jewish Food, gli ebrei della Polonia meridionale, la Galizia storica, sarebbero stati maestri nel realizzarne una versione agrodolce, mentre quelli lituani preferivano non addolcirla. In ogni caso, l’aggiunta di panna era uno standard, utile a compensare l’acidità naturale delle foglie di acetosa. Un effetto simile era ottenuto anche dall’aggiunta di uova, usate dai più ricchi che se le potevano permettere. Oltre ad ammorbidire il composto con grassi e proteine, i tuorli aiutavano anche ad addensarlo donandogli una tonalità più calda. Gli ebrei polacchi più poveri, invece, usavano le patate per dare più corpo al tutto, in modo simile a quanto accade con il borscht.
Dopo essersi affermato presso gli ebrei dell’Europa orientale come piatto tipico delle festività di primavera, da Pesach a Shavuot, oltre che come rinfrescante piatto estivo nella sua versione fredda, lo schav sarebbe approdato con gli ashkenaziti negli Stati Uniti. Qui è tuttora indicato come yiddish schav, ma la scarsa disponibilità dell’acetosa selvatica ha fatto sì che l’erba fosse sostituita dagli spinaci, cercando di riprodurne l’acidità con l’aggiunta di limone. Commercializzato anche già pronto in bottiglia, lo schav di spinaci non sarebbe però un’esperienza particolarmente esaltante…
Restando in Europa, vi troviamo un’altra zuppa piuttosto interessante per la sua diffusione (anche) tra gli ashkenaziti. Ne parla Claudia Roden nel Book of Jewish Food ed è la zuppa di patate e porri al latte. Preparata con due ingredienti molto usati nella cucina popolare del Nord, viene arricchita dai latticini e, secondo la storica del cibo, può essere servita anche fredda. Curiosamente, ricorda molto da vicino una portata raffinata come la vichyssoise, nata ufficialmente solo all’inizio del Novecento per mano dello chef franco-americano (non ebreo) Louis Felix Diat mentre era impiegato presso il Ritz-Carlton Hotel di New York. In realtà, l’uso delle patate e dei porri in zuppe e vellutate ha origini ben più lontane. Ed è a queste che si sarebbe riagganciato per sua stessa ammissione anche il cuoco, che dichiarava di aver scavato nei propri ricordi giovanili in Francia, quando per raffreddare la zuppa di porri e patate da ragazzo era solito unirvi del latte freddo.
Tornando alle tradizioni più specificamente ebraiche, e di sicuro est europee, troviamo un piatto che di primo acchito potrebbe sembrare un po’ arrischiato. Parliamo della zuppa fredda di ciliegie ungherese. Anch’essa inserita da Roden nella sua carrellata di piatti della tradizione ashkenazita, questa curiosa pietanza pare riservare più di qualche piacevole sorpresa alle papille gustative. Fa parte di una più vasta categoria di zuppe di frutta nate tra i Paesi del Centro ed Est Europa, dalla Germania alla Polonia e appunto e l’Ungheria, dove si segnalano versioni anche alle prugne, alle albicocche e ad altri frutti estivi. Piuttosto conosciute e apprezzate in Israele, sono tutte preparate seguendo un procedimento simile, che consiste nella cottura della frutta in acqua con l’aggiunta di succo di limone, zucchero e spezie. Spesso è presente anche il vino e occasionalmente del latte. Una volta cotto, il composto viene poi frullato, fatto raffreddare e servito in apertura del pasto accompagnato con panna acida quando non addirittura con carne e comunque con patate lesse o fette di pane tostato.
Se finora abbiamo trattato solo di piatti nati nel Centro ed Est Europa, questo non significa ovviamente che gli ashkenaziti abbiano l’esclusiva sulle zuppe fredde. Però, mentre al Nord patate, radici ed erbe selvatiche la fanno da padrone, scendendo verso le regioni più calde a diventare protagonisti sono ortaggi come i cetrioli. Onnipresenti nelle insalate, questi amatissimi vegetali sono alla base di due tra le più note e rappresentative preparazioni al cucchiaio sefardite. La prima avrebbe origini bulgare e vede come coprotagonista una vecchia conoscenza della tradizione ebraica come lo yogurt. Può essere preparata sia a freddo, senza cottura, limitandosi a mescolare i cetrioli grattugiati e poi spurgati sotto sale con aglio, panna, olio e appunto yogurt, sia come variante verde del borsch, aggiungendo i cetrioli a una base di scalogni o cipolle cotti in brodo. In questo caso il tutto va poi frullato e quindi completato, se il resto del pasto lo consente, con yogurt e panna acida.
Sempre i cetrioli e le cipolle sono alla base del dueh, la zuppa fredda persiana preparata in questo caso usando tutti gli ingredienti crudi, grattugiati o tritati finissimi e quindi mescolati con acqua, aneto e yogurt o panna. Eventualmente, la si può arricchire anche con una manciatina di uvetta, regalandole così quel tocco tipico della tradizione mediorientale ed ebraica. Una base simile accomuna innumerevoli altre pietanze da gustare al cucchiaio diffuse dalla Siria alla Turchia e l’Iraq. A cambiare sono le spezie e le proporzioni tra i liquidi, mentre resta invariata l’irresistibile abbinata tra lo yogurt e il cetriolo, spesso e volentieri completata da un altro ingrediente amatissimo dagli ebrei sefarditi come l’aglio.
Come preparare lo Schav
Ingredienti:
1 kg di acetosa
6 scalogni
2-3 cucchiai di zucchero o miele
1 limone
2 uova o 3 tuorli (facoltativi)
200 ml di panna acida
sale
pepe
Sbucciare gli scalogni e tritarli, pulire l’acetosa, lavarla e tritarla, spremere il limone per ricavarne 3-4 cucchiai di succo. Versare 1,5 l di acqua in una pentola, unirvi l’acetosa con gli scalogni e aggiungere lo zucchero (o il miele), sale e pepe. Mettere sul fuoco, portare a ebollizione e cuocere a fiamma bassissima per circa 20 minuti, fino a quando l’acetosa sarà diventata molto tenera.
Togliere la zuppa dal fuoco, aggiungere il succo di limone e frullarla con un frullatore a immersione fino a ottenere una crema più o meno liscia, a piacere. Regolare quindi di succo di limone e zucchero, poi servirla fredda, guarnita con la panna.
Se si usano le uova o i tuorli, stemperarli in una tazza di zuppa calda, sbattendoli, poi aggiungerli al resto della preparazione e cuocere per 5 minuti mescolando senza portare a ebollizione. Fare raffreddare e servire, sempre aggiungendo la panna.
Come preparare la zuppa ungherese di ciliegie
Ingredienti:
1 kg di ciliegie nere
600 ml di vino leggero e fruttato, rosso o bianco
3-4 cucchiai di zucchero
½ cucchiaino di cannella in polvere
2 limoni non trattati
6 cucchiai di Brandy
300 ml di panna acida
Privare le ciliegie dai noccioli e metterle in una casseruola con il vino, lo zucchero, la cannella, la scorza grattugiata di 1 limone e il succo di entrambi. Mettere sul fuoco e lasciare sobbollire a fiamma bassa per 15-20 minuti, fino a quando le ciliegie si saranno ammorbidite. Aggiungere infine il brandy, frullare a piacere e fare raffreddare. Mescolare una tazza di crema con la panna, poi aggiungere il composto al resto della preparazione e servire, guarnendo a piacere con altre ciliegie.
Come preparare la zuppa bulgara ai cetrioli e yogurt
Ingredienti:
1 ½ grosso cetriolo
750 ml di yogurt
150 ml di panna acida
4 spicchi d’aglio
1 ciuffo di aneto
olio extravergine d’oliva
sale
ghiaccio in cubetti
Sbucciare i cetrioli, grattugiarli e trasferirli in un colino. Spolverizzarli di sale e lasciare che perdano l’acqua di vegetazione per 1 ora. Poi, sciacquarli e scolarli ancora.
Sbucciare e schiacciare l’aglio e tritare l’aneto. Mescolare lo yogurt e la panna in una larga ciotola, aggiungervi 2 cucchiai di olio, l’aglio e l’aneto, poi aggiungere i cetrioli e amalgamare con cura. Regolare di sale e servire unendo al momento alcuni cubetti di ghiaccio.
Come preparare il Dueh
Ingredienti:
500 ml di yogurt o di panna acida o un mix dei 2
1 mazzo di cipollotti
500 g di cetrioli
50 g di uvetta
1 ciuffo di aneto
sale
ghiaccio in cubetti
Amalgamare lo yogurt (o la panna acida) in una larga ciotola con 250 ml di acqua fredda, poi aggiungervi i cipollotti puliti e tritati finemente, i cetrioli sbucciati e grattugiati, l’aneto tritato, una presa di sale e l’uvetta. Mescolare ancora, poi aggiungere qualche cubetto di ghiaccio e servire.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.