Cultura
Pensieri sparsi dai social

Cosa succede sui social in questi giorni così drammatici

Una raccolta di pensieri apparsi sui social che abbiamo scelto di raccogliere a commento, in tempo reale, dei fatti che stanno accadendo in Israele. Ci sembrava importante raccogliere le voci di lettori, amici e collaboratori in questo tristissimo momento.

Wlodek Goldkorn:

Sto pensando alle tv israeliane che in queste ore trasmettono le testimonianze delle persone coinvolte nell’attacco di Hamas ieri. Non le riporto. Dico solo che sono soggetti che parlano e riflettono. Non è tv del dolore. E non hanno paura di dire cose spiacevoli (si parla di chi è scampato alle stragi e di chi ha parenti ostaggi del Hamas).
In questo momento, è questa la mia impressione, Israele è una società che riflette sull’accaduto, criticamente, non per dare le colpe (ci sarà il momento della chiamata alle responsabilità) ma per poter pensare al futuro, per non perdere la voglia di vivere, per fare società civile, civile. Insomma vedo quella che Hannah Arendt chiamava la sfera pubblica (e da vecchio mi viene da piangere).

Dario Sanchez:

No, questa non è “resistenza”: questa è una guerra di sterminio operata per conto dell’Iran da parte di organizzazioni terroristiche pesantemente finanziate per anni anche, a vostra insaputa, da voi contribuenti europei per bieco calcolo politico dei vostri governi.
No, la striscia di Gaza non è occupata: era sotto embargo per via di un governo islamista che dichiarava di voler uccidere tutti gli israeliani, e se possibile tutti gli ebrei del mondo, nel nome di Allah. Proposito che ha sempre esplicitato, e che ora prova a mettere a compimento.
A dire ciò non è Dario Sanchez, è la stessa organizzazione terroristica pubblicando questa cartina qui allegata: il loro proposito dichiarato è creare un corridoio per collegare Gaza a Hebron, coinvolgere il West Bank nello scontro in atto, spaccare il territorio israeliano in due settori e con l’attiva partecipazione di Hezbollah da nord attaccare Israele da 3 lati, avanzando e ammazzando quante più persone possibili.
Ripeto: questa è una guerra di sterminio. E chi lo nega o lo sminuisce è complice di questo sterminio in atto. E non illudetevi: le conseguenze drammatiche della caduta di Israele non riguarderebbero unicamente gli israeliani e gli ebrei del mondo (che di punto in bianco, si troverebbero nella stessa situazione del 1933) ma tutto il mondo libero e l’Occidente.
Ma tranquilli: Masada non cadrà ancora. Siamo qui, nella nostra terra, uniti ancora una volta dall’imperativo categorico morale assoluto di VINCERE.
Nessuno di noi è disposto a vivere in un mondo senza Israele: con questa coscienza, la morte non è il peggiore dei mali… Solo uno dei tanti, e nemmeno il peggiore.
Alla Vittoria e a Santa Libertà. Am Israel Chai (il popolo di Israele vive). Am a nezach lo mefached (la nazione eterna non ha paura).
A noi. Alla Vita.

Manuela Jael Procaccia:

Come sto? Sono viva. E questo basta a dire che sto bene. Che prego Dio di proteggere tutti noi e gli uomini di cessare di odiare e uccidere. In tanti paragonano Hamas agli animali. In tanti replicano che gli animali non conoscono la crudeltà degli umani. Quando ho svuotato la dispensa per portare le provviste al centro di raccolta di kikar dizengof mi sono sentita utile. Dei soldati, ventenni allo sbaraglio, con una vita davanti, mangeranno i biscotti, il tonno, la pasta, i cetriolini che a casa non hanno quasi valore… solo il prezzo alto che paghiamo al supermarket. Non quello della vita. Devo decidere se partire e proteggere i miei bambini dal trauma della guerra, dal lockdown che per la seconda volta nei loro sette anni di vita devono sperimentare. Questa volta nn è Covid. È il terrorismo che si insinua nell’anima e uccide, rapisce, stupra, e violenta ognuno di noi. Il terrorismo di Hamas alleva i suoi figli a crescere nell’odio, e poi a togliersi la vita pur di uccidere un israeliano qualunque e festeggiare nelle strade martoriandone il corpo in ostaggio. Non si può e non si deve cadere nella retorica del free Palestine. È un altra storia, quella dove l’inclinazione al bene porterebbe al dialogo e alla tolleranza verso il proprio vicino. Noi non abbiamo questo privilegio. Abbiamo una sola e una certezza: ci vogliono morti. Cancellare Israele e gli ebrei. Non accettare alcuna mediazione che non sia la morte. Ecco perché qualunque commento a riguardo è insulso. Mi fa male tutto, il cuore e gli occhi, la pelle e i piedi che non vogliono scappare. Intanto, mi dice mio marito: il figlio del mio amico è stato ucciso a Gaza. Che la terra ci sia lieve.

Anna Segre:

Leggevo Vivian Lamarque seduta sui gradini di un negozio, vicino al pantheon e pensavo ‘allora si può dire, l’ingenuità, l’affetto, allora l’inconfessabile signore d’oro si può rivelare.’ E da quel momento, il 2004, tardi, l’ho covata come le parole trovate. A me la Lamarque più che piace, di più.
E questa è una cosa. Forse distante da molti che scrivono qui. Me ne sono stupita come se fossimo davanti all’estasi di santa teresa e qualcuno commentasse con sufficienza.
L’altra è che ho un’angoscia sfocata al pensiero della guerra nelle strade d’israele, gente rapita, l’indiscriminatezza psicotica della situazione. Mi sento come un piccolo animale davanti ai fari di un camion. Non capisco l’entità del pericolo ma lo intuisco e ne creperò a breve.
E mia madre ha una frattura al polso. Non riesco a dare una misura, distolgo me stessa.
Il mio mondo è coperto di ombre.

Carmel Luzzatti:

Due giorni di guerra fra amico massacrati mentre cercavano di salvare i loro figli, altri che hanno visto la foto del proprio figlio, figlie e genitori nelle mani del Hammas a Gaza, o forse ancora peggio : parenti che hanno perso contatto con i familiari che abitano a Kfar Aza , kibbutz sul confine , da più di due giorni.
Tanti mi chiamano o mandano messaggi , rispondo qui a tutti voi che chiedete come stiamo.
Ci siamo svegliati Sabato mattina alle 6:25 dalla sirena . Da quel momento , di sorpresa durante la festa – 50 anni dopo la guerra di Yom Kippur – sto correndo fra reportage, dirette, chiamati da parenti che hanno perso contatto con i figli , messaggiando con amici che abitano vicino al confine chiusi al buio dentro il rifugio a casa che non possono parlare e mi mandano messaggi . Testimonianze silenziose del incubo che stanno passando – 12 ore nel rifugio , cercando di tenere la porta del rifugio che i terroristi provano ad aprire . Vedono dalla finestra due bambine di 8 e 10 anni con le mani legate , uccise così , sparate da 50 centimetri sul prato davanti alla loro casa .
Amici che il nostro stato non è venuto a salvare .
E questo senso che si è fatto a pezzi : la sensazione che ovunque al mondo lo stato ebraico verrà a salvarti !
Seguo come giornalista le guerre da 30 anni , c’è sempre quel momento che ti spacca a pezzi : erano le 17 forse 18 , sabato , durante una delle dirette dal blocco militare a Zikim che si ferma una macchina che arriva dal sud . È Micha . Mi ha era il mio cameraman al canale due fino a qualche anno fa . Abita a Netiv ha’asara , sul confine con Gaza. Ci siamo messaggiati tutta la mattina , mentre era nel riffugio con la moglie e i figli . Più volte i terroristi tentavano di entrare . Erano al buio. Ha sentito tutto . Il massacro dei suoi vicini di casa , i spari , i razzi , le voci dei soldati israeliani. I combattimenti. Alle 14 e sparito .
E uscito dalla macchina . Ci siamo abbracciati per qualche minuto . E partito al nord in un posto sicuro .
In tanti mi chiedete cos’è successo . Ho risposte , analisi , forse potrò spiegarlo un giorno ma non è il momento . Adesso dobbiamo abbracciarci , riunirci . Passare da difensiva a offensiva . Conoscere i propri sbagli e vincere questa guerra .
I nemici sono delle bestie . Terroristi che hanno massacrato i propri fratelli di Fattah quando hanno conquistato la striscia di Gaza . Nessun paese al mondo può accettare un stato in mano ai terroristi sui suoi confini . Lo stato Ebraico non lo può accettare siano le conseguenze quelle che siano . Israele combatterà con i stessi valori umani , l’esercito è lo stesso esercito .
Israele vincerà questa guerra . Non abbiamo un’altra possibilità !

Fiammetta Martegani:

Esiste un Paese surreale in cui, quando alle 19.45 suona una sirena, un bambino di 6 anni, confuso, va in direzione del balcone. “Cosa stai facendo?” gli chiedo io. “Me lo hai insegnato tu, mamma”.
Nel Paese surreale, infatti, i bambini imparano che due volte all’anno, in occasione del Giorno della Shoah e il Giorno della Memoria ai caduti, per un minuto, suona una sirena, durante la quale bisogna rimanere in piedi e in silenzio, in ricordo delle vittime dell’Olocausto, delle guerre, e degli attentati che hanno segnato la storia di questo Paese.
A casa nostra, quando suonano queste due sirene, se ci si trova in casa, si va sul balcone, per condividere con i vicini la Memoria che unisce questo Paese lacerato.
Talmente lacerato che anche i bambini hanno un riflesso condizionato: “me lo hai insegnato tu mamma, che si va sul balcone”.
È vero. Glie lo ho insegnato io. Ma questa volta era una sirena diversa. Questa volta è la sirena che avverte l’arrivo dei razzi diretti, da Gaza, verso Tel Aviv.
Con molta calma spiego a mio figlio che questa volta dobbiamo andare in camera di mamma e papà, che di fatto è un “mamad”, ovvero un rifugio antimissili.
Mentre mio marito chiude la finestra e io la porta, entrambe anti-urto, a seguito del botto, che si sente come se fosse a due metri da casa, nostro figlio ci chiede se sta succedendo “per davvero” e noi, in stile Benigni, gli diciamo che si tratta solo di un’esercitazione e che è stato bravissimo: ci abbiamo messo meno di un minuto, anche perché il tempo a disposizione per ripararsi è solo di 90 secondi, e non tutti, anzi moltissimi, il bunker in casa non ce l’hanno.
“Come fa Michael che il mamad non ce l’ha?” ci chiede Enrico. Gli spieghiamo di non preoccuparsi perché noi siamo fortunati che, in questo Paese surreale, esiste quello che i bambini chiamano Til e i grandi “kipat barzel”, cupola di ferro, un incredibile sistema di difesa in grado di intercettare i missili e distruggerli prima che raggiungano il suolo. Funziona quasi al 90%. Il problema è il “quasi”. “E se non funziona?” chiede Enrico. “Stai tranquillo, Til è fortissimo!” Gli raccontiamo noi. Altra palla. In questo Paese surreale si cresce tra le palle. E quando si diventa grandi, a 18 anni, si affronta una realtà che non dovrebbe essere conosciuta a un 18enne. Quando nel resto del mondo si comincia l’università, nel Paese surreale si comincia l’esercito, quello vero, che dura 2 anni per le donne e 3 per gli uomini. Nulla da sorprendersi se nel Paese surreale sono tutti in terapia, perché l’intera società vive in una costante condizione di post-trauma. Il trauma comincia all’asilo e ce lo si porta dentro fino alla tomba.
Questo Paese surreale esiste veramente, ha un nome e 9 milioni di abitanti che ci vivono: ebrei, musulmani e cristiani. In questo Paese surreale ci sono anche delle scuole surreali in cui si festeggiamo le festività di tutte le religioni e si parlano 3 lingue: ebraico, arabo e inglese.
Quando chiedo a Enrico chi è il suo migliore amico e lui mi risponde “Muhammed” mi ricordo perché, per mia scelta, e non perché ci sia nata, ho deciso di vivere, e di non lasciare, questo Paese surreale. Perché sono solo Enrico e Muhammed che, assieme, possono cambiare la storia di Israele.

Eva Mangialajo Rantzer:

Cuore gonfio di dolore e incredulità, dopo un giorno passato nell’angoscia, attaccati alle news da Israele e una notte fatta di incubi e sveglie per controllare messaggi da amici e parenti, un risveglio con notizie anche peggiori, cui vanno aggiunti messaggi allucinanti di gente che ci augura personalmente il peggio, quasi un “cicca cicca, ve lo siete voluto”. Non ho parole.

William Beccaro:
Ho una cara amica, ebrea, i cui genitori abitano in Israele: dall’Italia lì si sono trasferiti. È gente, per intendersi, che si fa un culo così andando in tutte le manifestazioni nelle quali si rivendicano diritti per i palestinesi. Fanno volontariato militante a favore della causa della convivenza tra i due popoli, ci mettono la faccia, si espongono, capita anche si prendano pure qualche manganellata. Leggo, come tutti, le terribili notizie di guerra che arrivano, in queste ore, da lì e, come ogni volta che leggo cose del genere, penso a loro, ai genitori della mia amica, e poi penso alle coraggiose parole di un bellissimo libro che il suo autore, Column McCann, ha intitolato “Apeirogon”. Un tomo, di più di 500 pagine, finito il quale capisci che alla fin fine di tutta quella roba là non sai nulla, perché se non ti hanno ammazzato figli, genitori, sorelle, amici amici, marito o moglie, puoi solo non sapere. Il conflitto israelo-palestinese non sono date, bilanci di morte, rivendicazioni territoriali, barbarie, no: sono donne e uomini, israeliani o palestinesi, a cui è morta la persona più importante della loro vita e, avvolti nel dolore del lutto, trovano la forza e il coraggio di diventare costruttori di pace, quotidiani costruttori di pace. Adesso lo so che i social si riempiranno di dotti esperti di fatti mediorientali, io suggerisco di evitare di replicare l’indecente teatrino che si è visto in quella recente guerra nella quale in troppi si sono scoperti imbattibili combattenti da divano. Meglio, molto meglio, il silenzio. Ps: mentre sto chiudendo il post ricevo un messaggio: «Ciao William.. Tu che scrivi sempre di tutto.. In questo momento le nostre famiglie vengono massacrate. Una ad una.. Bambini, vecchi , giovani rapiti a gaza per diventare carta di scambio. Migliaia di feriti..anche gravissimi. E centinaia, centinaia di morti». Rileggo e rileggo ancora, chiudo gli occhi e poi rileggo ancora la guerra che non so.
Laura Forti:
Am Israel Chai. Non riesco a dire altro

 


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