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Berlino ebraica – seconda parte

Itinerario ebraico nella città tedesca

La storia ebraica è ovunque, a Berlino. Ma c’è un luogo in cui questa storia ha dato vita a qualcosa di monumentale, capace di coinvolgere il visitatore in una dimensione che supera quella prettamente razionale fino a travolgerne i sensi e segnarne lo spirito. Lo Jüdisches Museum è ben più di uno spazio espositivo, è un’opera d’arte a se stante, e la sua visita consiste in una immersione totalizzante nelle vicende del popolo ebraico tedesco.

Il Museo ebraico

Progettato dall’architetto polacco naturalizzato statunitense Daniel Libeskind, è stato inaugurato il 9 settembre 2011 e aperto al pubblico quattro giorni dopo, dopo che l’attentato alle Torri Gemelle ne aveva fatto slittare la data, prevista proprio per quel drammatico 11 settembre. L’idea della sua costruzione era nata ben prima della riunificazione della Germania con l’obiettivo di far rivivere il precedente museo di Oranienburger Strasse chiuso dai nazisti nel 1938. Scelta la nuova sede definitiva in Lindenstrasse 9-14, nel quartiere di Kreuzberg, così come il progetto di Libeskind, un lungo e accurato lavoro ha dato vita a un complesso che accosta l’opera visionaria dell’architetto americano all’edificio barocco del Kollegienhaus, ex sede della Corte d’Appello Prussiana che era poi stata adibita a Museo di Storia della Città di Berlino.
Collegata al palazzo antico da un passaggio sotterraneo, la parte nuova del Museo Ebraico si presenta come una gigantesca scultura rivestita in zinco-titanio dalla stupefacente forma a zig zag attraversata da feritoie che sostituiscono le finestre.

Denominata dal suo creatore Between the lines, la costruzione si fonda sul concetto di linee che si intersecano formando spazi vuoti. Perlopiù non accessibili, questi spazi in cemento nudo senza riscaldamento né impianti di condizionamento sono formati dal punto di incontro tra la struttura visibile (paragonata da alcuni a una stella di David spezzata, da altri a un fulmine) con quella invisibile di una linea retta che li taglia dal seminterrato al tetto. In gran parte non illuminati da luce artificiale, questi vuoti rappresentano il vuoto fisico derivante dall’espulsione, dalla distruzione e dall’annientamento della vita ebraica durante la Shoah. L’unico dei cinque spazi occupato si trova al pianterreno e accoglie l’installazione Shalekhet (foglie cadute) dell’artista israeliano Menashe Kadishman. Vi si distinguono più di 10mila volti stilizzati dalla bocca aperta intagliati in lastre di ferro rotondo che ricoprono caoticamente tutto il pavimento.

Un dettaglio di “Shalekhet”dell’artista israeliano Menashe Kadishman

La prima parte della visita si svolge sottoterra. È qui che si sviluppano i cosiddetti tre assi, lunghi e inquietanti corridoi che si incrociano al piano inferiore, collegato all’ingresso principale. Simbolo dei tre sviluppi storici della vita ebraica in Germania, sono rispettivamente l’Asse dell’Esilio, l’Asse dell’Olocausto e l’Asse della Continuità e ospitano oggetti che raccontano le storie degli ebrei perseguitati e assassinati durante il periodo del nazionalsocialismo o costretti a emigrare. La vetrina più importante si trova all’inizio dell’Asse dell’Esilio e indaga la storia della conservazione degli oggetti nell’epoca nazista, con i cimeli conservati dalle famiglie che li avevano portati con sé nell’emigrazione. Ritrovato pezzo per pezzo dopo la guerra, quanto rubato fu poi restituito ai legittimi proprietari. Percorrendo questo corridoio si esce dall’edificio Libenskind e si giunge al Giardino dell’Esilio, un labirinto formato da 49 stele di cemento piantate su un terreno inclinato. Tutte riempite con terra di Berlino fatta eccezione per quella centrale, che invece accoglie terreno giunto da Gerusalemme, ospitano sulla sommità degli olivi russi. Simbolo di speranza ma irraggiungibili, sono i protagonisti di una installazione che vuole ricreare il senso di instabilità e di disorientamento provati dagli ebrei costretti a lasciare la Germania.

Il giardino dell’Esilio

Il secondo corridoio, l’asse dell’Olocausto, conduce a una torre vuota, la Voided Void o Torre dell’Olocausto, frammento di edificio isolato il cui unico collegamento con quello principale è appunto quello sotterraneo. Con la luce del giorno che vi penetra solo attraverso una stretta fessura nel cemento, non è riscaldato ed è isolato anche acusticamente, dato che tutti i suoni esterni sono fortemente attutiti dalle pareti.
Solo la terza asse, quella della Continuità, conduce alla mostra vera e propria. Simboleggiante il presente e il futuro, termina con una ripida scalinata da cui si dirama un intrico di 82 scale che portano al nucleo espositivo del secondo piano. All’intersezione dei tre assi si trova la Galleria Rafael Roth, che dal 2020 ospita la videoinstallazione Drummerrsss dell’artista israeliano Gilad Ratman e fa da preludio alla salita dell’imponente scalinata fino alle sale espositive.
La mostra dei piani superiori è stata inaugurata il 23 agosto 2020 e combina la narrativa storica dal Medioevo ai giorni nostri con approfondimenti tematici sulla cultura e la religione ebraica. Intitolata L’ebraismo in Germania – Tra storia e presente, si sviluppa su una superficie di 3.500 metri quadrati e racconta la storia degli ebrei in Germania dagli inizi ai giorni nostri da una prospettiva ebraica.
Accanto alla collezione permanente il museo ospita numerose esposizioni temporanee. Alla struttura dell’antico palazzo barocco è stata aggiunta una costruzione nel cortile, anch’essa firmata da Daniel Libeskind. Dal tetto in vetro sostenuto da quattro fasci autoportanti di pilastri in acciaio che ricordano i rami di un albero, questa struttura è stata ideata dall’architetto ispirandosi alla sukkah, la capanna protagonista della festa ebraica dei tabernacoli. Dalla capienza di 500 persone, questo Cortile di Vetro è adibito a laboratori didattici, concerti, conferenze.


Nello stesso sito nel 2021 è stata aperta anche la gigantesca arca di legno del nuovo museo per bambini ANOHA, uno spazio per giocare e imparare con 150 sculture di animali creati da artisti utilizzando materiali riciclati. Per finire, nel cortile interno dell’Accademia si può esplorare il complesso spazio di confronto e riflessione del Giardino della Diaspora. Nelle sue ampie aiuole sospese crescono le piante più diverse, scelte per il loro legame con il mondo ebraico e le sue personalità più importanti nonché per il loro valore simbolico riguardo alla vita della Diaspora.

Un’altra tappa nella Berlino che non dimentica porta il visitatore in un altro dei musei della memoria più frequentati della città, il Topographie des Terrors, nel distretto di Friedrichshain-Kreuzberg. Sviluppato sul sito in cui un tempo sorgeva il Prinz-Albert-Palais, quartier generale della macchina del terrore nazista, questo museo perlopiù a cielo aperto documenta attraverso un percorso a pannelli con fotografie, piantine e documenti le strategie omicide, i piani e le azioni della Gestapo, delle SS e della Sicurezza del Reich che avevano qui sede. Visitabile dal 2010, comprende quattro aree espositive, tra cui l’edificio del centro documentazione con la mostra permanente Topografia del terrore. L’area esterna, tra cui le pareti scavate del seminterrato prospiciente la Niederkirchnerstrasse, viene a sua volta usata come area espositiva, con la mostra permanente Berlino 1933–1945. Tra propaganda e terrore. Un tratto di 200 metri del Muro di Berlino limita un lato del terreno lungo la via principale.

Lasciato questo luogo inquietante e scendendo verso sud, si raggiunge il quartiere di Tempelhof, noto per la vasta area dell’omonimo ex aeroporto cittadino, operativo dal 1923 al 2008. Un tempo sede di raduni nazisti, oggi la sua pista è stata inglobata nel Tempelhofer Feld, il più grande parco di Berlino, nonché la più ampia area aperta all’interno di una città. Dove un tempo si svolgevano le parate militari, dal 2010 si viene a fare volare gli aquiloni, consumare pic nic e grigliate o a correre, pedalare o sfrecciare sugli skate.

Festival degli aquiloni giganti a Tempelhofer Feld

Superata questa vastissima area, con una piacevole passeggiata si arriva alla tranquilla Kaiserin-Augusta-Strasse, strada residenziale servita dall’omonima fermata della metropolitana dove ha sede, al numero 63, la Jüdische Galerie Omanut. Gestita dallo studio d’arte Omanut insieme allo ZWST, l’Ufficio centrale dell’assistenza sociale degli ebrei in Germania, questa piccola galleria offre opportunità espositive per artisti ebrei e artisti con disabilità oltre a prestare servizio di assistenza alle persone, ebree e non, con disabilità e malattie mentali attraverso laboratori creativi e spazi di incontro e confronto.
Risalendo a sud ovest ma restando nel distretto di Tempelhof-Schöneberg si può fare riferimento a Bayerischer Platz per individuare quello che era stato uno dei punti centrali della vita intellettuale della Berlino pre-nazista. È nel cosiddetto quartiere bavarese, o Svizzera ebraica, che prima della seconda guerra mondiale vivevano circa 16mila ebrei tra cui artisti, intellettuali e uomini di scienza del calibro di Walter Benjamin, Hannah Arendt, Eduard Bernstein e Albert Einstein ed è sempre qui che si incappa in un particolarissimo tipo di memoriale. La sua forza sta nel fatto di non essere immediatamente riconoscibile in quanto tale, al punto da avere suscitato un certo scalpore al momento della sua installazione nel 1993. Intitolata Orte des Erinnerns, o Luoghi della Memoria, l’opera firmata dagli artisti Renata Stih e Frieder Schnock è composta da 80 cartelli che punteggiano le vie intorno alla piazza. Dalla grafica semplice, i cartelli riportano da un lato un testo e dall’altro un’immagine stilizzata. Da una parte si leggono estratti della legislazione antisemita di Hitler, frasi di lettere scritte da ebrei deportati o altri testi che descrivono la situazione degli ebrei durante il nazismo. Dall’altro lato invece una figura esemplifica quanto scritto, come la tavoletta di ardesia che accompagna il testo “I bambini ebrei non possono più frequentare le scuole pubbliche, 15.11.1938”.

Chi è alla ricerca di libri ebraici, non può  saltare la tappa presso la Literaturhandlung. Filiale della libreria di Monaco fondata nel 1982 dalla studiosa Rachel Salamander, la sede in Joachimsthaler Strasse 13 comprende circa 9.000 titoli riguardanti oltre 40 aree tematiche. Particolarmente ricca è la sezione che comprende libri dedicati al nazionalsocialismo e all’antisemitismo, ma non mancano guide di viaggio e libri illustrati accanto a bibbie e libri di preghiere nonché a oggettistica religiosa.

Procedendo verso nord-ovest si incontra una delle poche sinagoghe prebelliche ancora in uso. Situata nel quartiere di Charlottenburg, la Synagoge Pestalozzistrasse era stata costruita tra il 1911 e il 1912 su commissione di Betty Sophie Jacobsohn, una imprenditrice locale. Originariamente costituita come associazione ebraica indipendente, si sarebbe poi fusa con la comunità ebraica di Berlino nel 1919. Pur se danneggiata gravemente durante il pogrom del 9 novembre 1938, trovandosi all’interno di un cortile, vicino ad altri edifici, non fu data alle fiamme e grazie ai lavori di ristrutturazione iniziati al termine della guerra nel settembre del 1947 fu riconsacrata da una neonata comunità ebraica. Da allora è stata utilizzata per servizi di preghiera liberali.

L’altra importante sinagoga sopravvissuta alla barbarie nazista è quella di Rykestrasse. Per visitarla sarà necessario spostarsi verso est, nel quartiere di Prenzlauer Berg, al 53 della via da cui prende il nome. La più grande e meglio conservata sinagoga di Berlino è introdotta da due ampi portoni che conducono al suo imponente edificio in mattoni che richiama lo stile delle basiliche neoromaniche. Progettata dall’architetto Johann Hoeniger e inaugurata nel 1904, si era salvata dagli incendi del 1938 per la sua vicinanza a palazzi residenziali. Riaperta nel 2007, offre oggi 1.200 posti a sedere ed è considerata la seconda più grande sinagoga in Europa dopo quella di Budapest.

Il cimitero ebraico di Weissensee.

Restando in tema di primati, il tour nella Berlino ebraica può concludersi in quello che è uno dei più grandi cimiteri ebraici d’Europa, il Jüdischer Friedhof Weissensee. Inaugurato il 9 settembre 1880, ospita su una superficie di 42 ettari oltre 115.000 tombe tra cui quelle di numerose personalità di Berlino quali il politico sociale Max Hirsch, lo scrittore Micha Josef Bin Gorion, il pittore Lesser Ury e gli editori Samuel Fischer e Rudolf Mosse. Un monumento commemorativo dei sei milioni di ebrei assassinati dai nazisti è stato collocato in una aiuola sulle cui pietre sistemate a forma di cerchio sono incisi i nomi di tutti i grandi campi di concentramento.

Il cimitero di Schönhauser Allee

Prima dell’edificazione di questo cimitero, gli ebrei berlinesi venivano sepolti presso il cimitero di Schönhauser Allee, consacrato nel 1827 e per mezzo secolo rimasto il loro unico luogo di sepoltura. Posto nel triangolo formato tra la stessa Schönhauser Allee, Kollwitz e Knaackstrasse, ospita le tombe di molti dei protagonisti della vita culturale ed economica di Berlino a cavallo tra i due secoli, dai banchieri Gerson von Bleichröder e Joseph Mendelssohn al musicista Giacomo Meyerbeer o il pittore Max Liebermann. Non più in funzione, resta un luogo di grandissimo fascino tra i cui sentieri bordeggiati da aceri, tigli e castagni e le lapidi seminascoste dell’edera è possibile passeggiare tutti i giorni dal lunedì al venerdì mattina.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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