Cultura
“Chi come me”, o a proposito della normalità

Andrée Ruth Shammah porta in scena l’omonimo lavoro dello scrittore e drammaturgo Roy Chen. Al teatro Franco Parenti fino al 4 maggio

Una ragazzina con i capelli lunghi e ricci in una vestina bianca se ne sta per lo più rannicchiata nel suo letto. Si chiama Ester e insieme ad altri coetanei è ricoverata nel centro di salute mentale di Tel Aviv. L’unica cosa che riesce ad esprimere è un dolore al braccio, ormai guarito, dopo una frattura. Ma lei dice che non è vero, quella frattura non si è rimarginata. E ha ragione, perché di frattura ne ha una enorme nel suo cuore, così grande da costringerla in quel luogo di cura.

Poi un giorno scopre di essere un leone. È grazie a un corso di teatro che trova la sua rabbia, la sua forza, anche, la sua natura: indossa una maschera e ritrova se stessa. Da quel giorno, Ester ruggisce. E come lei anche gli altri ragazzi piano piano trovano una via espressiva, altrimenti preclusa, grazie alla fiducia che imparano a regalare alla signorina Dorit, l’insegnante di teatro, che vorrebbe preparare uno spettacolo insieme a loro. Tutto comincia con un gioco, un classico del teatro, che si usa, spiega Dorit, per rompere il ghiaccio e imparare a conoscersi, Chi come me. Consiste nel porre una domanda agli altri partendo sempre allo stesso modo: Chi come me ama/odia xxxx? Chi ama/odia la stessa cosa deve alzarsi e correre a prendere posto su una sedia, disposte in cerchio ma in numero inferiore ai partecipanti, così che chi resta in piedi deve porre a sua volta la domanda… In questo modo è venuto fuori il leone, sono emerse le canzoni, la disforia di genere, la depressione, l’autolesionismo, la sindrome dello spettro autistico.

E poi c’è il mondo fuori, quello che ci rende fragili, che ci ferisce, che ci obbliga a resilienze a volte estreme, anzi estenuanti. Che ci fa sentire soli, che se ne frega, che pensa solo a sé. Ci sono i genitori che irrompono nel reparto in tutta la loro tragicità, noncuranza, freddezza, faciloneria, distanza…

Tutto questo è lo spettacolo Chi come me, adattamento teatrale dell’omonimo libro di Roy Chen (edito da Giuntina per la traduzione di Schulim Vogelman) di Andrée Ruth Shammah che ne cura anche regia e costumi ed è ora in scena nella nuova sala A2A del teatro Franco Parenti. Che è parte della scenografia come noi, come il pubblico: seduto dentro la scena, allestita da Polina Adamov, il pubblico partecipa allo spettacolo, ne è osservatore coinvolto.

Difficile non esserlo, per altro, perché sul palco c’è la normalità. Quel dolore troppo grande che a volte ci sovrasta, quella solitudine che ci fa ammalare, quel desiderio di amore che risulta incolmabile, quell’incomunicabilità che diventa afasia sono portati in scena da un gruppo di attori straordinario: Samuele Poma (nel ruolo di Barak,16 anni); Federico Di Giacomo (Emanuel, 14 anni); Chiara Ferrara (Alma, 17 anni); Amy Boda (Tamara/Tom, 15 anni) e Alia Stegani (Ester, 13 anni), affiancati da Elena Lietti nel ruolo di Dorit, l’insegnante di teatro, Paolo Briguglia nei panni del Dottor Baumann, direttore del reparto giovanile del centro di salute mentale, Pietro Micci e Sara Bertelà che interpretano – in maniera eccellente – tutti i genitori dei giovani protagonisti. Siamo a Tel Aviv, i ragazzi appartengono a mondi diversi e i loro genitori portano frammenti di quella vita dentro l’ospedale, dal padre Haredi alla coppia narcisisticamente presa solo dal proprio lavoro, a quella che rifiuta il figlio problematico nel desiderio di dedicare le proprie attenzioni al figlio “sano” fino alla violenta perdita di senso della madre di un ragazzo autistico, c’è anche il loro dolore, la loro incomunicabilità, la loro mancanza di attenzione.
A ribaltare le carte, è il teatro. Che mette in scena la natura umana, la realtà complessa di cui siamo fatti tutti. Perché, si sa, da vicino nessuno è normale.

Questo ha fatto Roy Chen, l’autore, che nel 2019 era stato invitato dal Centro di salute mentale “Abravanel” ad assistere a una lezione di teatro per i ragazzi ospiti. Da allora ha trascorso molto tempo con quegli ospiti, nelle loro stanze, durante le lezioni, durante i pasti e in cortile. Ha letto le loro poesie e le loro canzoni, ha  guardato i loro disegni. E ha giocato con loro a Chi come me. «Mi sono aperto con loro, non meno di quanto loro si siano aperti con me», spiega Chen, «A volte sono tornato a casa con il sorriso, pieno di ottimismo, e a volte non vedevo la strada per le troppe lacrime. Due maestre di teatro e una biblioterapista hanno portato avanti questo percorso per un mese e alla fine hanno messo in scena uno spettacolo, per un’unica volta, davanti a un pubblico di genitori, dottori e personale del reparto. Sapevo di non poter ripetere quello che avevo visto, ma ho seguito una mia strada.Ho scritto un testo teatrale sul bambino che sono stato, sui miei amici, parte dei quali, sfortunatamente, non sono sopravvissuti all’età dell’adolescenza. Speravo che questo testo potesse far salire, almeno un po’, il livello di compassione che è sempre a rischio di affievolirsi».

Chi come me è in scena al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 4 maggio. Da vedere.

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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