La musica miltante della sound artist di Tel Aviv, oltre ogni barriera e confine nazionale
“Sono una sound artist, una madre e un’instancabile ricercatrice che fluttua tra i continenti a caccia di prove e documenti che consentano di accendere un faro sulle zone buie del mondo. Definirsi impegnati non è sufficiente: per denunciare e mettere in atto il processo di cambiamento occorrono militanza attiva e determinazione”. Si racconta così Meira Asher, classe 1964, ispirata musicista di Tel Aviv, oltre che studiosa di canti e danze africane (apprese in Ghana e Costa d’Avorio), di percussioni indiane e folk messicano.
Meira è una cantante di protesta senza compromessi: la durezza del mondo, i diritti umani violati e la violenza della sopraffazione sono al centro della sua arte. Le pietre dell’Intifada, i massacri della guerra nei Balcani, gli abusi sui bambini nel Continente Nero, i missili intelligenti che seminano morte e distruzione: sono questi gli scenari in cui si muove l’arte della Asher. Senza sconti e censure. Come nei brani di Infantry, l’album realizzato insieme a Guy Harries e interamente “costruito” intorno alla tragica condizione dei minorenni strappati alla vita e all’infanzia dalla guerra, in Libano, come in Uganda, in Sierra Leone come nelle Filippine.
O ancora di più nelle strofe corrosive di È questo un uomo , il brano scritto in risposta all’opera di Primo Levi, Se questo è un uomo (“Considerate, questa è una donna senza mani e senza piedi, senza più forze per seppellire i propri morti…”).
Meira Asher è avanguardia, ricerca, contaminazione. Un ibrido tra pura musica e pièce teatrale. Le sue composizioni non sono figlie di una geometria stabile, ma opere in eterno movimento, così come suonano variabili le vibrazioni che accompagnano la durezza affilata della sua voce: dal sound dei Balcani alla world music, dai più raffinati strumenti acustici alle intricate suggestioni elettroniche e tecnologiche, fino al rumore dei tasti di una macchina da scrivere che diventa strumento e suono al tempo stesso. “Ho scelto la musica perché è un linguaggio universale che supera le barriere etniche e linguistiche e non si ferma davanti ai confini e alle dogane”. E arriva dritta al cuore, come una pugnalata.