Hebraica
E se Dio fosse femmina?

Una disamina dei tratti femminili della divinità ebraica

Diciamoci la verità: monoteismo e patriarcato vanno a braccetto. Ciò non toglie che non vi sia motivo per sfidare e scardinare una visione del mondo potenzialmente rigida e, onestamente, vetusta di fronte alle necessità della realtà di oggi. Vediamo allora, in una carrellata storica, se e come sia possibile individuare dei tratti femminili nel classico ritratto – mascolino, anche se tecnicamente lontano dall’antropomorfismo – della divinità ebraica. La Torà, d’altronde, ha settanta facce – e non tutte per forza devono portare una barba bianca.

Ashera e Sapienza
Cominciamo con l’idea stessa di monoteismo. È noto che nella storia del popolo d’Israele la credenza in un dio solo e unico sia un traguardo ideologico tardivo. I testi biblici conservano la memoria del politeismo (di cui YHWH è solo uno dei rappresentanti) nei numerosi riferimenti alle lotte contro l’idolatria dei popoli circonvicini, se non contro fazioni dello stesso Israele. E in questo proliferare di divinità semitiche – tra cui ad esempio i vari Baal ed El – non mancavano, ovviamente, le dee. Esempio preminente, sulla base delle fonti scritturali (come Deuteronomio 6,21 e 2Re 23,4-7), è il culto di Ashera. Divinità cananaica del cielo, nella Bibbia Ashera si sovrappone con l’ashera, ovvero con l’idolo in foggia di palo o albero stilizzato che veniva piantato nel terreno in onore della dea. Ma, nonostante le proibizioni bibliche a riguardo di tali atti di venerazione religiosa, abbiamo testimonianze dei una stretta connessione – anzi di un matrimonio – tra questa divinità femminile e il dio di Israele. Si tratta di un’iscrizione, corredata di motivo iconografico, rinvenuta su una giara a Kuntillet Arjud, nel nord del deserto del Sinai, risalente all’VIII secolo a.e.v. A destare scalpore è la combinazione di tre figure umanoidi con la didascalia che recita niente di meno che “YHWH […] e la sua Ashera”. Marito e moglie dunque? Neanche a dirlo, il disaccordo scientifico è rumoroso a riguardo.
Moglie di diritto del Signore di Israele sarà, invece più all’unanimità, la Sapienza (חָכְמָה). Negli scritti della Bibbia definiti per l’appunto sapienziali, complice la desinenza morfologica femminile, l’idea di saggezza come conoscenza delle rette vie istituite dalla parola divina viene personificata nella figura di una donna che accompagna il Fattore del mondo (vedi ad es. Proverbi 3,13-18; 4,5-9; 7,4-5; 9,1-6). In un passo di Proverbi (8,22-32), Sapienza prende la parola e descrive il proprio statuto teologico:

Il Signore mi fece, principio della sua via, prima di tutte le sue opere. In eterno fui stabilita dal capo, prima della terra stessa. Quando ancora gli abissi non erano fui generata, quando ancora non erano le fonti grevi di acque. […] Mentre Egli fondava i cieli, io ero là, mentre tracciava un cerchio intorno agli abissi. […] Io ero presso di lui un artefice, e gongolavo giorno dopo giorno, rallegrandomi ogni tempo al suo cospetto. Mi rallegravo con la terra abitata, gioivo con gli esseri umani. Ma ora, figli miei, ascoltatemi: beati sono coloro che si dirigono sulle mie vie!.

La figura della Shekinà
Nella letteratura post-biblica, il ruolo di donna che a suo modo accompagna il divino verrà affidato al concetto di Shekhinà (שְׁכִינָה). Dalla radice ebraica sh.k.n., dimorare, la Shekhinà rappresenta l’ipostasi di Dio sulla terra, la presenza immanente dell’Onnipresente (ha-Maqom, il Luogo) nel creato. Nella letteratura rabbinica, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, all’allontanamento progressivo dell’insistenza di YHWH dal mondo si accompagna la sostituzione per tramite di un’eterea concezione spirituale che, sì, porta tratti femminili. La figura della Shekhinà assurgerà a una delle idee centrali della successiva mistica ebraica. Nella classica mitologia qabbalistica dell’albero sefirotico della vita, la decima e ultima sefirà – o emanazione divina – corrisponde per l’appunto alla Shekhinà: segno non solo dell’impronta permanente di Dio nell’universo, ma anche, viceversa, della connessione teurgica che il popolo d’Israele intrattiene con il proprio creatore.

Qabbalà e femminile
Ancora in quell’inesauribile repertorio visionario che è la Qabbalà, il femminile come aspetto archetipico (sia del divino che dell’umano) gioca una controparte alla “normalità” maschile non di poco conto. La rappresentazione delle dinamiche teologiche in una figurazione corporea, molto spesso erotica, è traccia dell’importanza della simbologia gendered nel discorso metafisico, al quale sempre corrisponde, come in uno specchio, la fisicità dell’umano. Su questo tema, nel 2005 sono apparse due pubblicazioni in polemica, più o meno aperta, tra loro. A sostegno della tesi per cui nella Qabbalà si può rinvenire una vera e propria “cultura dell’eros”, dove dunque maschile e femminile si completano, lo studioso israeliano Moshe Idel scrive Eros e Qabbalah (Adelphi). Su una pagina opposta invece si colloca la lettura del mondo mistico ebraico data da Elliot R. Wolfson in Language, Eros, Being, (Fordham Univ Pr), dove del lessico carnale qabbalistico viene messo a nudo il fondamentale fallomorfismo: il femminile, secondo l’interpretazione di Wolfson, esiste solo in funzione di e per essere ricongiunto in sintesi al maschile. In nome di una vittoria, una volta in più, dell’asse ideologico monoteismo-patriarcato.

Un progetto artistico
Per chiudere però su una nota più ottimistica, guardiamo a come viene modellata nella contemporaneità la tradizione ebraica. A proposito di femminilità mistica – mistica come solo la creazione artistica sa essere – vale la pena ricordare un recente progetto fotografico che vede autore una figura per certi versi bizzarra dell’ebraismo. Parliamo di Leonard Nimoy, universalmente e televisivamente noto come lo Spock di Star Trek (il cui saluto vulcaniano, ricordiamo, cita la benedizione sacerdotale ebraica dei kohanim). Accanto all’attività di attore, cantante e scrittore, Nimoy ha dato vita a una raccolta di fotografie dal titolo Shekhina (Umbrage Editions). Le immagini in bianco e nero, plastiche ma al contempo leggere come un panno di seta, vedono figure femminili che non indossano altro che oggetti rituali come tallit e filatteri, con innocenza ma consapevolezza della dirompente rivoluzione che può rappresentare un corpo nudo di donna quando associato all’impalpabile potenza del sacro. E il fatto che, in tema di Dio e femminile, quello di Nimoy sia un occhio maschile, ci rammenta che la strada dell’interpretazione è ancora lunga e tortuosa – ma che, come il femminile in Dio, c’è. Esiste.

Ilaria Briata
Collaboratrice

Ilaria Briata è dottore di ricerca in Lingua e cultura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha pubblicato con Paideia Editrice Due trattati rabbinici di galateo. Derek Eres Rabbah e Derek Eres Zuta. Ha collaborato con il progetto E.S.THE.R dell’Università di Verona sul teatro degli ebrei sefarditi in Italia. Clericus vagans, non smette di setacciare l’Europa e il Mediterraneo alla ricerca di cose bizzarre e dimenticate, ebraiche e non, ma soprattutto ebraiche.


4 Commenti:

  1. Buongiorno Ilaria,
    molto interessante il tuo articolo.
    Sono una regista teatrale e sto lavorando ad un progetto di spettacolo che parte dalla commedia “God designs at the summit meeting” della scrittrice egiziana Nawal Al Sa’dawi. Il testo affronta il rapporto fra monoteismi e loro libri sacri (Bibbia, Corano) e donna.
    Sto studiando e raccogliendo informazioni e la cultura ebraica è il campo dove trovo più difficoltà a reperire materiali. Probabilmente non so come muovermi o non sto formulando le domande giuste.
    M’interessa il rapporto fra corpo femminile e religione ebraica, anche in relazione con le leggi rabbiniche. E il rapporto tra femminismo e religione ebraica. Mi sapresti consigliare qualche testo? leggo in italiano, spagnolo, francese e inglese.
    Se ti va di contattarmi per fare una chiacchierata, ancora meglio.
    Ti ringrazio per l’attenzione,
    Manuela Cherubini

    1. Cara Manuela (se posso),
      Grazie per l’interessamento al tema! Mi farebbe molto piacere fare quattro chiacchiere a riguardo. Puoi pure contattarmi via mail (ilariabriata@gmail.com).
      A presto,
      Ilaria Briata

  2. grazie, cara Ilaria, con interesse al tema. Intendo un’evoluzione processionale nel concetto di Dio Uno – Tutto, con la dualità sessuale che è scaturita, quindi necessariamente nella rappresentazione umana e nell’umano culto di Dio, tanto più Uno quanto più contiene ed abbraccia le differenze. Quanto all’Ebraismo, ha grande bisogno del Femminile, in armonia, anche dialettica, con il Maschile, nell’ amore, nel dialogo, nella trasmissione, nel magistero, nel culto.


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