Viaggio pratico-teorico e artistico nel mondo della mistica ebraica
Nella città vecchia di Amsterdam, tra il teatro nazionale dell’opera e il giardino botanico si estende l’antico quartiere ebraico, all’interno del quale spicca l’edificio della grande ed elegante sinagoga portoghese. A pochi passi dal luogo che è stato uno dei centri della vita religiosa e culturale della comunità sefardita, rifugiatasi in Olanda dopo la cacciata degli ebrei dalla Spagna del 1492, troviamo il Joods Historisch Museum. Fino al 25 agosto 2019, questa istituzione ospita una ricchissima esposizione dal titolo Qabbalah: l’arte della mistica ebraica. In un percorso esaustivo tanto quanto ammaliante, la mostra trasporta il visitatore nel mondo dei prodotti culturali afferenti e ispirati alle correnti mistiche dell’ebraismo, mettendo saggiamente gli uni accanto agli altri oggetti storici e opere d’arte contemporanee.
Prima di percorrere i meandri delle manifestazioni artistiche del misticismo ebraico, è necessario un chiarimento terminologico: se la qabbalah è mistica ebraica, non tutta la mistica ebraica è qabbalah. L’espressione קבלה, che significa tradizione nel senso di materiale culturale ricevuto in trasmissione, si riferisce infatti al complesso di scritti e fenomeni religiosi di stampo mistico sviluppatesi a partire dal XII-XIII secolo. Ciò non esclude dunque che precedentemente l’ebraismo abbia conosciuto differenti forme di misticismo: è il caso della cosiddetta letteratura delle Hekhalot, le dimore celesti (ovvero i resoconti di contemplazione della cosmologia ultramondana), testimoniata da un fitto corpus di scritti della tarda antichità, la cui influenza non manca di ricadere sul più tardo esoterismo teologico ebraico.
La mostra Qabbalah: l’arte della mistica ebraica è strutturata in due parti principali – ciascuna a un piano differente del museo – che potremmo definire come “teoria” e “pratica”.
In teoria
La sezione dedicata agli aspetti più intellettuali e formali della mistica si apre, com’è giusto, be-reshit, in principio – con i Segreti della creazione. A rappresentare la speculazione sui risvolti misteriosi e misterici dell’incipit del mondo abbiamo preziosi manoscritti e prime edizioni delle opere letterarie capitali della mistica ebraica: il Sefer Yetzirah (Libro della creazione, di datazione incerta, ma sicuramente tardoantico), il Sefer ha-Bahir (Libro fulgido, proveniente dalla Provenza del XII secolo, testo iniziatore della tradizione qabbalistica propriamente detta) e il Sefer ha-Zohar (Libro dello splendore, dalla Spagna del XIII secolo). Con queste reliquie bibliografiche dialogano opere di artisti contemporanei, soprattutto israeliani. Una tra tutte, per maestosità, attrae l’attenzione: si tratta di Genesis V di Ghiora Aharoni – un complesso intreccio di alambicchi, provette e tubicoli di memoria alchemica che racchiudono, in una sintesi di religione e scienza, elementi naturali e simboli religiosi ebraici.
Una delle caratteristiche salienti della visione ebraica della creazione, è il ruolo della parola di Dio – e, con essa, delle lettere che compongono tale logos divino. Di conseguenza, la successiva sezione del percorso espositivo tratta del “Potere delle lettere”. Tra amuleti e manuali di qabbalah pratica (ovvero di pratica mistica rivolta a incidere magicamente nel mondo), come il Sefer Raziel, si inserisce per una certa consonanza di metodo il ruolo dei movimenti avanguardisti dada e surrealisti, rappresentati dal pittore di origine ebraico-romena Victor Brauner (1903-1966). Ma non solo visualità: schermo e cuffie permettono infatti di ascoltare il brano dal titolo 22 Letters dell’artista vocale israeliana Victoria Hanna.
A seguire, un altro filone fondamentale del misticismo giudaico viene esplorato: quello dei Viaggi celesti, ossia del maaseh merkavah (l’opera del carro), il tema di speculazione cosmologica basato sulla visione di Ezechiele 1,4-26. Di nuovo amuleti e oggetti apotropaici, a ricordarci quanto sia pericoloso contemplare i misteri al di là dell’universo visibile (vedi il trattato Chagiga della Mishnah, 2,1: “Chi si impunta su quattro cose, meglio sarebbe stato per lui mai venire al mondo: quello che sta sopra, quello che sta sotto, quello che sta dopo, quello che sta prima”).
E l’universo in-visibile? Non possono mancare Angeli e demoni. Fonte di instancabile ispirazione passata e presente, il motivo dell’esistenza di esseri sovrannaturali dà la luce ad alcune delle più incredibili e antiche tracce pittoriche ebraiche – nelle raffigurazioni degli incantation bowls, le coppe magiche vergate in aramaico provenienti da Babilonia e Siria del VI-VIII secolo – così come a opere multimediali e performative contemporanee. Ne è esempio l’opera, testimoniata fotograficamente, di Sigalit Landau Salt Crystal Bride, per la realizzazione della quale una replica del vestito nero indossato da Hanna Rovina nel Dybbuq è stata immersa nel Mar Morto, ricoprendosi di un fitto strato di incrostazione salina candida.
A concludere la prima parte di esposizione, una doppia sezione si occupa dell’aspetto globale della mistica ebraica – che non è solo ebraica. La diffusione delle tradizioni esoteriche cabbalistiche presso gli intellettuali cristiani, più o meno (ma più che meno) edotti in materia di lingua e cultura ebraica, infatti, ha generato nel Rinascimento la cosiddetta Qabbalah cristiana. Tra i grandi nomi le cui opere letterarie sono esposte troviamo ad esempio Pico della Mirandola, Johannes Reuchlin, Athanasius Kircher e Paolo Riccio (quest’ultimo noto per la prima occorrenza grafica dell’albero sefirotico, nell’edizione del 1516 della traduzione latina Portae lucis). Dal Cinquecento al Novecento: la Qabbalah ebraica, infatti, esercitò un notevole fascino negli occultisti dei principi del XX secolo, incluso un mostro sacro come Aleister Crowley. Ad appendice storiografica della questione mistica, la mostra include anche una sezione tributo al lavoro scientifico di Gerschom Scholem, padre fondatore della svolta di apprezzamento scientifico del misticismo giudaico – fino ad allora vittima di un pregiudizio anti-irrazionalista da parte della scholarship positivista.
In pratica
Più organica ma non meno esauriente è la seconda parte del percorso espositivo. Qui si espongono tracce dell’implementazione pratica della Qabbalah. Vale a dire, manoscritti con incantesimi, sigilli e altri escamotages magici, amuleti, intricate schematizzazioni grafiche atte alla concentrazione nell’attività meditativa (kawwanot, ichudim, ilanot). A ricordarci – come d’altronde è in auge nella ricerca scientifica degli ultimi decenni – che il mondo della mistica ebraica non è soltanto un inestricabile coacervo di teorizzazioni teologiche astruse e intellettualistiche, ma abbraccia intrinsecamente anche una vera e propria prassi. Prassi che coinvolgeva vari aspetti della vita di chi a tale coacervo teorico dedicava la propria attività spirituale – dalla preghiera, allo studio, alle credenze quotidiane – come testimoniano i reperti antichi e moderni proposti al pubblico del museo ebraico di Amsterdam.
È difficile esimersi però da uno spoiler finale, assolutamente ebraico nella propria ironia e totalmente mistico nel proprio scetticismo. Il percorso infatti si chiude con una citazione dal Sefer ha-Zohar: “Cos’hai appreso? Cos’hai veduto? Cos’hai scoperto, dal momento che è tutto celato com’era prima?” Se non ho appreso niente, allora potrò ancora apprendere tutto.
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Qabbalah: l’arte della mistica ebraica al Joods Historisch Museum di Amsterdam, fino al 25 agosto 2019.