Intervista a Ippolita Morgese, autrice di una ricerca storica sull’uomo che realizzò il ghetto toscano
C’è un uomo dietro la fondazione del ghetto di Firenze. Il suo nome è Carlo Pitti, funzionario e Magistrato Supremo di Cosimo I, fresco della nomina di Granduca di Toscana, ricevuta, dopo mille difficoltà, dal Papa. Siamo nel 1570, ma della storia di quest’uomo, fino ad ora, si è conosciuto ben poco. Fino a quando, cioè, Ippolita Morgese non ha pubblicato l’importante lavoro che ha svolto per ricostruire la storia di questa figura centrale nella creazione del ghetto fiorentino. Il suo libro, Nessuno sa di lui, appena uscito per Le lettere, è il racconto appassionato di una ricerca negli archivi per delineare il profilo del signor Pitti e del suo ghetto toscano. Ne abbiamo parlato con l’autrice.
Come si arriva alla figura di Carlo Pitti?
«Mi sono imbattuta nel suo nome, inizialmente, perché stavo trascrivendo due filze del Magistrato Supremo che, tra le altre cose, aveva concesso ai banchieri ebrei i capitali per praticare il prestito in Toscana, nei luoghi in cui non c’erano i monti di pietà (principalmente nell’aretino). Nella prima filza si parla dei contratti e nella seconda di processi intentati contro quegli stessi banchieri precedentemente autorizzati a prestare.Non era chiaro da cosa fossero nati questi processi e il nome di Carlo Pitti compare su tutti i documenti fondamentali riguardanti gli ebrei. Ma di Carlo Pitti non sapevo assolutamente nulla. Così ho iniziato a cercare».
Come si procede in un archivio per raggiungere un personaggio particolare?
«Ci sono vari modi. Io ho consultato le raccolte genealogiche e ho seguito le linee ereditarie secondo le consuetudini italiane. Così sono arrivata allo stemma dei Pitti: un reperto fondamentale, perché mi ha indicato a quale ramo della famiglia appartenesse. La sua discendenza si estingue velocemente, resta una figlia che prende in eredità l’archivio, ma sotto il cognome del marito, Rinuccini. Anche questo ramo si estingue presto e confluisce nei Ginori che a loro volta confluiscono nei Ginori-Conti. Questa famiglia dona il proprio archivio al Gabinetto Vieusseux di Firenze perché il loro antenato Piero Ginori Conti era stato un personaggio importante nel mondo culturale del 900. Ma nell’archivio c’erano anche molti documenti più antichi non interessanti per il Gabinetto ma di grande importanza storica. L’archivio allora viene scomposto e la parte più antica viene affidata all’Archivio di Stato di Firenze. Non è ancora stata catalogata, ma ho potuto lavorarci ugualmente. E così ho fatto una grande scoperta: Carlo Pitti è responsabile della costruzione del ghetto di Firenze».
Chi era Carlo Pitti?
«Un personaggio discreto, capace e molto vicino a Cosimo I. I rapporti con gli ebrei erano molto buoni all’epoca e Cosimo I accoglie chi era stato espulso da Roma nel 1557, consigliato dal suo consulente finanziario, Jacob Abravanel, che però viveva a Ferrara. Jacob era figlio di Benvenida Abrabanel, la cui famiglia era giunta a Napoli in seguito alla cacciata degli ebrei dalla Spagna. Benvenida era anche la nutrice di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de’ Medici. Dunque Cosimova contro il volere del Papa che vuole rinchiudere gli ebrei nei ghetti. Quando il Papa chiede a Cosimo di consegnare gli ebrei all’Inquisizione, questi rifiuta in quanto gli israeliti non sono eretici e quindi sottoposti alla sua legislazione. Dieci anni dopo però le cose cambiano».
Cosa succede?
«Cosimo vuole diventare Granduca. Ci ha già provato più volte ma senza successo (né l’imperatore del Sacro Romano Impero né il re di Spagna vogliono accordarglielo). Sarà il Papa a nominarlo Granduca e lo farà per portare avanti la controriforma. Cosimo per parte sua vuole avere un titolo superiore a tutti gli altri ducati in Italia, che all’epoca si trova dominata dall’imperatore a Nord e dal regno di Spagna a Sud. Nel resto della Penisola c’eranoquattro ducati principali, quello degli Estensi, dei Gonzaga, dei Savoia e dei Medici. Cosimo non ha natali aristocratici, dunque è il più debole in questa geografia e solo un titolo superiore può permettergli di entrare nel novero dei regnanti italiani. E così, in nome di questo piano politico, sacrifica gli ebrei».
Una visione machiavellica del potere, in cui il fine giustifica i mezzi. Anche se Cosimo pare muoversi con una qualche forma di delicatezza.
«Cosimo vuole il titolo e dunque istituisce il ghetto. Ma non vuole inimicarsi gli ebrei, quindi procede in gran segreto. La prima richiesta che Cosimo fa a Pitti è del 1570. Fresco di incoronazione a Roma, chiede a Pitti di fare un censimento per sapere quanti sono gli ebrei, quali sono i banchieri e tra questi chi opera in regola e chi ha invece le condotte scadute, invitando questi ultimi ad andarsene e gli altri a dimostrare la correttezza del loro lavoro. Come ben si sa, in qualunque contratto si possono trovare appigli per ritenerlo non idoneo, oltre a raccogliere una serie di false testimonianze da parte di chi aveva avuto i prestiti perché emergessero scorrettezze. Dopo il processo i banchieri se ne vanno dalla Toscana e alla fine sono in pochissimi gli ebrei che devono scegliere se entrare nel ghetto o andarsene. Hanno quattro mesi di tempo per decidere, solo che…il ghetto ancora non esiste!».
Cioè?
«Manca proprio il luogo: non si sa dove farlo. Cosimo vuole spendere poco, ma Firenze era già all’epoca una città importante da visitare e piena di ‘turisti’: si stavano costruendo gli Uffizi e il Corridoio Vasari, dunque non si poteva avere un quartiere brutto, né ci poteva essere un centro storico degradato. Così Carlo Pitti, incaricato a trovare il luogo e realizzare il quartiere ebraico decide di comprare la zona di Piazza della Repubblica, dove le antiche case-torri nobili erano andate in malora. Ci mette diversi mesi perché i proprietari erano diventati nel frattempo numerosissimi, in ogni caso, il primo acquisto è documentato 23 gennaio 1571, a cui seguirono tutti gli altri, per una spesa di 2.753 fiorini e 4 lire. E mette a punto un’operazione finanziaria decisamente attuale».
Perché?
«I proprietari delle case vengono obbligati ad aprire conti correnti al Monte di Pietà, trasformato in Banca di Stato, su cui devono versare l’incasso delle vendite. Il Granduca, invece, contemporaneamente prende in prestito la cifra di 2753 fiorini in prestito dal Monte. Si trattava di un piano semplice ed elegante perché coloro che avevano venduto i i propri beni a Cosimo prestavano gli incassi al Monte di Pietà che li utilizzava per finanziare l’acquisto di quegli stessi edifici. In cambio ricevevano un interesse annuo del 5%. In questo modo ai proprietari arriva una rendita fissa (che prima non percepivano) e Cosimo realizza il ghetto a costo zero. Inoltre le spese del ghetto in dieci anni vengono ammortizzate con le entrate degli affitti. A costruire il ghetto è chiamato l’architetto Bernardo Buontalenti che doveva farlo tenendo a mente due regole: il quartiere non doveva intimidire e doveva essere discreto. Così l’architetto decide di riempire gli spazi vuoti tra le torri (senza costruire delle mura) e lascia ai cristiani la parte esterna. Ma quella del ghetto diventa una grande opera pubblica: costruisce i pozzi neri e la rende una delle aree più salubri della città. Il ghetto ha le caratteristiche indicate dal Papa, vie strette (normali per Firenze, con il suo impianto medievale), cancelli e un pozzo al centro. Le case, alcune molto belle, piene di luce e affrescate, vengono messe all’asta e chi ha maggiori capacità economiche si aggiudica le migliori».
Dunque era una vita tutto sommato buona quella riservata agli ebrei di Firenze?
«Inizialmente Pitti è più realista del re. Fa dei sopralluoghi negli altri ghetti per vedere come vivono gli ebrei nelle altre parti d’Italia e al suo ritorno stabilisce regole ferree. Se a Ferrara nessuno indossa il segno e gli ebrei vivono liberamente, a Venezia addirittura cristiani ed ebrei si frequentano. Pitti suggerisce di uniformarsi a Roma e propone la creazione di un ghetto anche a Siena. Pitti è pignolo e devoto al suo sovrano. Che ha un titolo fino a quel momento basculante perché è stato approvato solo dal Papa, ma non dal re di Spagna e nemmeno dall’Imperatore. Ecco perché vuole assecondare le regole imposte dal papato: gli ebrei sono merce di scambio in qualche modo e Pitti vuole che Cosimo I si mantenga fedele agli accordi col Papa. Solo sei anni dopo il figlio, Francesco I, con grande diplomazia riuscirà a far riconoscere il titolo di Granduca dalle due cariche temporali. E dal 1573 le maglie si allargano, le regole di vita nel ghetto si ammorbidiscono, addirittura ci sono due donne immatricolate nell’arte degli speziali e nell’arte della lana, oltre che medici ebrei che lavorano a corte. Ci sono testimonianze anche di commercianti israeliti che ottengono di vivere nel ghetto ma di avere il negozio fuori, fino al 1587 quando arriva al potere Ferdinando che, quattro anni dopo, nel 1591, pubblica le leggi livornine».
Il ghetto viene smantellato nell’800. Gli ebrei smettono di essere costretti a viverci nel 1790, si arriva all’emancipazione totale nel 1850 e allo smantellamento definitivo del ghetto subito dopo il 1860, con Firenze Capitale del Regno d’Italia. Oggi l’area è irriconoscibile, soltanto una targa posta sull’arco che immette da Est in Piazza della Repubblica recita: “L’antico centro della città da secolare squallore a vita nuova restituito».
A Firenze però si trova una bellissima sinagoga da visitare… ma questa è un’altra storia.