Hebraica
“Non ebrei, ma ebraici”: gli Zera Israel

Una categoria particolare: i “Semi di Israele”, non ebrei ma di discendenza ebraica

Prendiamo due persone. La prima è nata da genitori entrambi non ebrei. La seconda da padre ebreo e madre non ebrea. In base alla Halakhà, entrambe queste persone non sono ebree. Ma non ebree esattamente allo stesso modo? Una tradizione di pensiero dice di no: i discendenti di ebrei, seppur non ebrei halakhicamente, vanno considerati nella categoria a parte degli Zera Israel, i semi di Israele.

Le fonti

L’espressione “semi di Israele” compare nei libri di Isaia (45:25 Nel Signore troveranno giustizia e gloria tutti i semi d’Israele) e Neemia (9:2 I semi d’Israele si separarono da tutti gli stranieri e in piedi confessarono i loro peccati e le colpe dei loro padri) ed è stata interpretata come a voler significare “la stirpe, la discendenza” del popolo ebraico in senso esteso, non normativo.

Il concetto, spiega Rabbi Yossef Carmel su Yeshiva.co, viene poi analizzato da Rabbi Moshe Isserles (1520-1572), il quale suggerisce che esista una forma di responsabilità particolare per il padre ebreo del figlio non ebreo, quella di educarlo all’ebraismo e portarlo alla conversione.

Il dibattito sugli Zera Israel in epoca moderna, spiega Simon Rocker su The Jewish Chronicle, è legato al nome di Ben Zion Meir Hai Uziel (1880-1953), primo Rabbino Capo Sefardita di Israele. Prendendo come riferimento Ezechiele 34,4 (Non avete riportato le [pecore] disperse e non siete andati in cerca delle smarrite), egli affermò infatti più volte che fosse un dovere occuparsi attivamente degli appartenenti a questo gruppo perché tornassero all’ebraismo.

L’insieme “Am Israel” è più grande dell’insieme “Bne’ Israel”

In Israele oggi, si parla di Zera Israel soprattutto in relazione ai discendenti degli immigrati dall’Ex Unione Sovietica. Possono rientrare nella categoria anche i discendenti di convertiti a forza (Bne’ Anusim), i figli adottati e i figli di madre surrogata.

Su The Jewish Week, Rabbi Shmuly Yanklowitz (l’espressione “non ebrei ebraici” che usiamo nel titolo è sua) propone di superare il ragionamento a due categorie (ebrei e non ebrei), a favore di un ragionamento a tre: non ebrei, ebrei halakhici e appartenenti al popolo ebraico. Aggiunge: “Una persona non ebrea secondo le regole della Halakhah può tuttavia essere ebrea nella sua identità sociale e ciò andrebbe accettato e rispettato. Come insegnava Kedushat Levi [Rabbi Levi Yitzchok di Berditchev, 1740-1810], Am Israel (il popolo d’Israele, la nazione estesa) è più grande di Bne’ Israel (i figli d’Israele, halakhicamente ebrei). Gli ebrei non halachici sono anch’essi parte della nazione santa, seppur come “ebrei sociali” e non come “ebrei legali””.

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Rabbi Yossef Carmel su Yeshiva.co analizza anch’egli la questione dal punto di vista dell’identità sociale: “[Gli Zera Israel] sono, naturalmente, non ebrei finché non si convertono. Ma riteniamo di non doverli considerare come se non avessero, nel mentre, nessun legame con il popolo ebraico. La maggioranza era considerata ebrea nell’Unione Sovietica, dove la nazionalità del cittadino era determinata dal padre e non dalla madre, e ha perciò sofferto di antisemitismo”.

Gli Zera Israel oggi: il dibattito in Israele

In Israele, il dibattito sugli Zera Israel è specialmente sentito per via delle centinaia di migliaia di cittadini “non ebrei ebraici”, soprattutto di origine russa: ebrei appunto, “sociali ma non legali”, che in base alle regole del Rabbinato Israeliano possono cambiare il loro status (acquisendo così una serie di diritti, tra cui quello di sposarsi in patria) solo dopo il completamento di un processo di conversione in cui è richiesta l’adozione di uno stile di vita religioso e l’osservanza delle mitzvot.

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Chi sostiene la legittimità della loro appartenenza a Am Israel non dice che essi non dovrebbero fare la conversione, piuttosto che il percorso dovrebbe tenere conto della loro specificità, non considerarli come dei non ebrei qualunque. E che non si tratta di un’opzione ma di un dovere.

Scrive Rabbi Haim Amsalem, sul Jerusalem Post: “Secondo la legge tradizionale ebraica, non solo possiamo, ma dobbiamo convertire queste persone. La tradizione ebraica ci dice che non dobbiamo trattarle come non ebree”. Continua, sottolineando gli aspetti sociodemografici della questione: “Se anche non permettiamo la loro conversione, finiranno comunque per sposarsi coi nostri figli. Crescono, vanno a scuola, servono nell’esercito e studiano in università insieme: in migliaia sceglieranno inevitabilmente di diventare compagni di vita. E così, nei prossimi decenni, Israele sarà dilaniato dalle dispute su quali cittadini siano ebrei e quali no. Questo creerà una situazione di polarizzazione mai vista prima”.

Silvia Gambino
Responsabile Comunicazione

Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.


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