A partire dalle dimissioni del direttore del Museo Ebraico di Berlino, un ragionamento sul ruolo dei museoi ebraici oggi
Qual è il ruolo di un museo ebraico? Si rivolge alla comunità ebraica o ai non ebrei? Deve essere diretto da un ebreo? Sono queste le domande che girano intorno al prossimo futuro del museo ebraico di Berlino, in seguito alle dimissioni del suo direttore, Peter Schäfer. La decisione di lasciare l’incarico è avvenuta in seguito alle aspre critiche da parte delle maggiori organizzazioni che rappresentano l’ebraismo in Germania e il governo israeliano di essere andato oltre i confini che gli competevano in ambito museale per entrare invece in quello politico. In particolare, una recente mostra su Gerusalemme è stata vista come pro-palestinese e anti-israeliana. Altre mostre controverse del mandato di Schäfer hanno riguardato gli atteggiamenti verso la circoncisione e il copricapo femminile, tra gli altri temi.
Ora, la spaccatura tra due visioni: da una parte i detrattori, che criticano un focus museale troppo poco ebraico, dall’altra gli studiosi e i curatori internazionali che invece vedevano nel lavoro di Schäfer un interessante esperimento di dialogo sul tema dell’identità, in un momento di dilagante antisemitismo in Germania e in Europa. L’ex direttore, studioso rispettato dell’ebraismo, non è ebreo. E questo fatto apre altre domande: il direttore di un museo ebraico deve essere ebreo? Perché? Il successo del museo ebraico di Berlino è confermato dal numero di visitatori provenienti da tutto il mondo. Ma perché vanno a visitarlo? Per conoscere l’attuale composizione dell’ebraismo berlinese? Per guardare da vicino la storia che ha squassato Berlino nella Seconda Guerra Mondiale? Per scoprire tematiche attuali con cui confrontarsi e discutere? E ancora, quelle da mettere in mostra devono essere tematiche care agli ebrei, o universali?
Di tutto questo ragiona Melissa Eddy in un articolo sul New York Times