Intervista a Paola Cavallari, responsabile dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne
Vi riproponiamo questo articolo sulla violenza alle donne in un’iniziativa che unisce tre religioni, mentre una campagna relizzata dall’artista AleXandro Palumbo invade i luoghi pubblici milanesi. “Just Because I’m a woman” è la scritta che sovrasta i ritratti di Michelle Obama, Hillary Clinton, Brigitte Macron, Alexandra Ocasio-Cortez, Aung San Suu Kyi, Angela Merkel e Sonia Gandhi pieni di lividi, ferite e graffi.
Ebrei, cattolici e musulmani insieme in un progetto per parlare di violenza sulle donne. E andare nelle scuole per farlo con i ragazzi. Si chiama Not in my name. Ebrei, Cattolici e Musulmani in campo contro la violenza sulle Donne, ed è nato dalla collaborazione tra l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Comunità Religiosa Islamica Italiana e l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum sotto l’egida del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ne ha finanziato la realizzazione. Ne abbiamo parlato con Paola Cavallari, responsabile dell’Osservatorio Interreligioso sulla violenze contro le donne.
Perché questo progetto?
Il progetto è una novità nel panorama di quelli che si occupano di violenza di genere perché qui c’è il coinvolgimento delle diverse religioni. Ciò è un elemento importante nel panorama italiano. Faccio un passo indietro per raccontare la nascita dell’Osservatorio Interreligioso sulle violenze contro le donne. Risale al 2015 l’appello ecumenico rivolto alle chiese sulla violenza contro le donne e dieci di queste lo hanno firmato. Sulla scia di questo, il SAE (Segreteria Attività Ecumeniche) di Bologna di cui sono responsabile, ha inaugurato un ciclo di tavole rotonde interreligiose sul tema. Così è nata l’idea di un Osservatorio con il compito di vigilare sulle violenze e non far cadere nel vuoto quel documento. Finalmente, nel marzo scorso, noi 22 donne dell’Osservatorio abbiamo firmato il Potocollo d’intesa che è il nostro manifesto: coinvolge diverse aree del cristianesimo, islam, ebraismo, induismo e buddismo in Italia. Dove c’è una grande arretratezza rispetto al ruolo delle donne; persino Papa Francesco mostra una certa resistenza ad abbandonare la cultura patriarcale, sicuramente di predominio del maschile sul femminile. Papa Francesco è un pastore profetico, ma in questo campo è troppo titubante nelle aperture.
E le religioni che ruolo hanno?
Alla costruzione dell’idea di predominio del maschile sul femminile non sono state estranee le comunità religiose. Le violenze riguardano anche l’aver reso invisibili le donne, averle escluse, aver loro assegnato un posizionamento subordinato rispetto all’uomo. Questi sono temi trasversali nelle diverse religioni, tanto da fare delle violenze un fatto ordinario e non straordinario. I testi religiosi, però, parlano di alleanza, vanno nella direzione dell’uguaglianza e della libertà. Solo che la donna rappresenta l’alterità, e la relazione con lei è falsata dalla paura del diverso. Così il patriarcato, che ormai domina da millenni, ha semplificato il rapporto in una relazione di forza. Per questo pensiamo che il non tacere su tali ingiustizie e il dialogo siano l’arma vincente per ritrovare la strada dell’uguaglianza.
Perché avete pensato di andare nelle scuole?
La domanda che farò ai ragazzi, ai maschi delle classi in cui andrò, sarà: “Quanto siete liberi? Quanto vi sentite liberi di scegliere il comportamento da adottare rispetto agli stereotipi dominanti?”. Voglio partire dal dialogo, dal confronto con i giovani, per fare luce sull’attualità. Ora è urgente parlare di maschilità, che è altra cosa rispetto alla virilità, la quale confina con la supremazia sulle donne; è utile focalizzare l’attenzione sul rapporto con l’alterità, con il femminile.
E le religioni, perché sono importanti?
Mi rendo conto che le domande che pongono le religioni arrivano in una fase più matura rispetto agli studenti con cui avremo a che fare, ma hanno un ruolo importantissimo nella vita delle persone. Soprattutto perché nelle religioni si annidano le questioni dell’identità, quella di genere prima di tutto. Anche in un mondo completamente secolarizzato, le esperienze delle nostre origini, quelle famigliari, determinano l’identità di ognuno. E le diverse fedi religiose, anche se non praticate, magari solo vissute come radici culturali, determinano i punti nevralgici identitari, attraverso cui leggiamo il mondo.