Il dramma della popolazione civile, le minacce di Erdogan alla Ue e la reazione di Israele nelle parole di Netanyahu
È cominciata mercoledì 9 ottobre, subito dopo l’annuncio da parte del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump del ritiro delle truppe presenti nell’area, l’operazione militare della Turchia contro le forze curde del nordest della Siria. L’obiettivo dichiarato del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è creare una zona cuscinetto che tenga lontani i curdi – considerati terroristi dal suo governo – e nella quale trasferire qualche centinaio di migliaia di profughi siriani che in questo momento si trovano in territorio turco. La notizia del voltafaccia degli Stati Uniti nei confronti dei curdi, dimostratisi alleati preziosi nella lotta contro l’Isis, arriva come una doccia fredda e pone questioni allarmanti sull’evolversi della situazione geopolitica nella già di per sé complicata regione mediorientale. Ecco, dai media italiani, una veloce “rassegna di orientamento” sul tema.
Chi sono i curdi
Chi sono questi curdi di cui è tanto parlato negli ultimi anni – in funzione della lotta contro lo Stato Islamico – e che ora sono tornati in prima pagina? Cristin Cappelletti su Open riassume la loro storia: i curdi sono una popolazione del ceppo indoeuropeo, a maggioranza musulmana sunnita. Con circa 30 – 40 milioni di persone sono una delle popolazioni più numerose al mondo a non avere un proprio Stato. Il territorio sul quale vivono i curdi (cosiddetto Kurdistan) tocca cinque nazioni diverse: Siria, Turchia (il più alto numero vive qui), Iraq, Iran e Armenia.
La moderna questione curda comincia alla fine della Prima Guerra Mondiale con lo smembramento dell’Impero Ottomano: la promessa ai curdi da parte delle potenze europee di una nazione autonoma, sancita dal Trattato di Sevrès del 1920, è disattesa appena tre anni dopo con l’assenso alla nascita della Repubblica turca (Trattato di Losanna, 1923). Da allora, quella dei curdi è una storia di persecuzione: dalle violenze dell’Iraq di Saddam Hussein, alla repressione del governo iraniano (in Iran i curdi sono il terzo gruppo etnico più numeroso) e di quello turco, principale oppositore alla creazione di uno Stato curdo indipendente.
I rischi: ritorno dell’Isis e nuova ondata migratoria
Di fronte alle reazioni dell’Unione Europea, Erdoğan ha minacciato di riversare sul Vecchio Continente i profughi siriani che attualmente si trovano in Turchia in forza di un accordo con Bruxelles. Si tratterebbe di tre milioni e mezzo di persone. Marco Galluzzo sul Corriere della Sera si sofferma sulla dinamica di questo ricatto. In questi ultimi tre anni, la Turchia ha ricevuto 6 miliardi di euro di aiuti dall’UE per i campi profughi e ora è tornata a battere cassa. L’Europa ha ben poco margine di manovra e appare improbabile che possa concretamente agire con il controricatto dello stop agli aiuti: la Turchia è anche membro della Nato e solo in Italia, negli ambienti della Farnesina e di Palazzo Chigi, si cominciano a udire dichiarazioni di parziale supporto, in base alle quali l’offensiva turca sarebbe “legittima ma sproporzionata”. Un atteggiamento comune al resto dell’Europa: “Quando Erdoğan minaccia la Ue di invaderla di profughi sa di avere il coltello dalla parte del manico e sa anche che la risposta della Ue non potrà che essere diplomatica, perché in questo momento è come se Bruxelles sia finita in un cul de sac, in cui al massimo può chiedere moderazione nell’offensiva”.
L’altra grande questione aperta, analizzata da Il Post, è il rischio del ritorno in forze dello Stato Islamico. Esso, spiega infatti l’analisi, ha perso controllo territoriale e quindi la sua conformazione di “Stato” propriamente detto, ma non è mai stato sconfitto definitivamente. Al contrario, si è riorganizzato in piccole cellule clandestine e ha dato prova di ottime capacità di resilienza anche in mezzo al caos. Lo status quo che i curdi sono riusciti a ottenere sul territorio ora è a rischio: l’invasione turca li costringe a spostarsi verso nord, togliendo forze a sud, proprio dove il ritorno dell’Isis è più probabile. Un’ulteriore incognita è rappresentata dagli undicimila miliziani dell’Isis detenuti nelle prigioni curde, circa novemila siriani e duemila foreign fighters. Non esiste un piano sulla loro gestione (gli Stati occidentali si guardano bene dal riprendersi i propri) e i curdi se li stanno gestendo da soli: nelle prossime settimane, è altamente probabile che siano costretti a trasferire le guardie carcerarie sul fronte di guerra, lasciando in questo modo scoperte le prigioni.
L’atteggiamento degli Stati Uniti
Alberto Stabile su Repubblica commenta la reazione israeliana al via libera degli Stati Uniti all’iniziativa della Turchia. Netanyahu, scrive, non era mai stato così duro nemmeno con Barack Obama, il Presidente statunitense col quale i rapporti sono stati più tesi. Il tweet di Bibi – “Israele condanna fortemente l’invasione delle aree curde in Siria e mette in guardia contro la pulizia etnica dei curdi da parte della Turchia e dei suoi agenti” – va letta come una dichiarazione di allarme di fronte all’atteggiamento americano che al Medio Oriente sembra dire: fatevi le vostre guerre, noi ce ne laviamo le mani. Se Trump abbandona degli alleati una volta, potrebbe farlo di nuovo e ciò preoccupa Israele: “Tra tutte le reazioni alla sciagurata decisione di Trump di ritirare i soldati americani, dando via libera all’invasione turca del Nord Est della Siria, la condanna israeliana è certamente la più pesante e non solo per gli strettissimi, storici legami esistenti tra i due paesi, ma anche perché il sostanziale congelamento imposto da Trump al negoziato coi palestinesi, sostituito da una serie di gesti unilaterali a favore d’Israele, ha dato l’impressione che gli Stati Uniti, contrariamente a quanto avrebbe imposto il loro ruolo di mediatori imparziali del conflitto, si fossero totalmente allineati alle posizioni della destra israeliana, che Netanyahu da oltre 13 anni rappresenta al potere”.
Pierre Haski su Internazionale osserva invece la questione dell’atteggiamento di Trump da una prospettiva più ampia. Negli Stati Uniti, l’unico che sta cercando di fare qualcosa è il Congresso che, su iniziativa di parlamentari repubblicani che hanno preso le distanze da Trump, sta cercando di fare pressione sul governo turco. Ma la situazione è difficile e paradossale, perché sia i curdi sia la Turchia sono ufficialmente alleati degli Stati Uniti: “Siamo davanti all’ennesima incarnazione della disfunzionalità del mondo”, scrive Haski “con il disimpegno statunitense che lascia campo libero a una potenza regionale predatrice che agisce difendendo i propri interessi”. L’obiettivo di Erdoğan è cacciare i curdi dalla regione, non lasciando loro altra scelta che chiedere aiuto ad Assad, sostenuto dalla Russia. Quindi, diventare per forza di cose nemici degli Stati Uniti, passare paradossalmente dalla parte del torto. Anche le Nazioni Unite hanno le mani legate. La Francia ha presentato una mozione al Consiglio di Sicurezza, ma dato il diritto di veto essa è solo una dichiarazione di intenti. L’Onu, conclude il giornalista è “tornata a essere un sinonimo di impotenza collettiva”.