Come il commercio online sta cambiando le abitudini di vita degli ultraortodossi americani
Viaggio nel business hassidico, che a New York fa rima con Amazon. In un report pubblicato sul New York Times infatti si legge la storia, a firma Joseph Berger, di come la comunità che si ispira alla moda del 18° secolo e che mal volentieri si adatta alle comodità e alle abitudini contemporanee, abbia scelto, in fatto di business, l’azienda del 21° secolo per antonomasia: Amazon.
Certo, Amazon consente di lavorare col pubblico in modo invisibile, quasi interamente per posta, email e tramite società di spedizioni. Non solo: Per cominciare non sono richiesti particolari investimenti (diversamente da quello che accadrebbe ad aprire in negozio fisico) e neppure particolari conoscenze o esperienza: per tirare su la claire, basta un annuncio. Poi il business verrà da sé. Come spiega al New York Times Sam Friedman, un marketer che progetta mostre fieristiche e lavora con molti venditori di Amazon: “Amazon non chiede il tuo curriculum. Non gli interessa la tua foto. L’investimento è minimo. Puoi allenarti dalla tua camera da letto”.
Ma c’è anche un altro fatto importante: questo strumento consente ai religiosi di lavorare anche di Shabbat e nelle feste religiose senza violare il divieto di farlo. Amazon acquisisce i pacchi, confezionati sotto il controllo di un esperto di Halakhah, e poi gestisce autonomamente il loro viaggio. Non ci sono orari d’ufficio, ferie e pause prestabilite, così anche uomini che per la maggior parte del loro tempo studiano il Talmud e donne che gestiscono sette o otto bambini hanno l’opportunità di diventare dei commercianti di successo, con attività a tempo pieno. Magie del tempo e della società liquidi…
I racconti confermano i fatti. C’è chi vende strumentazione elettronica usata e rigenerata che racconta che su Amazon, “appena apri il tuo spazio hai subito almeno mille persone che lo visitano (e un negozio può vantare più di 10 persone nel giorno dell’inaugurazione?) e se il marchio è conosciuto, vendi i pezzi con grande facilità. E poi… è come la droga!”.
Non importa cosa vendi, racconta un altro intervistato, e neppure di rispondere a tutti i requisiti di Amazon. Basta cominciare a farlo. Così lui stesso, appena finiti gli studi alla Yeshivà e preoccupato di come fare a guadagnarsi da vivere, ha aperto il suo negozio online mettendo in vendita integratori alimentari. Faceva tutto da casa, ora ha un ufficio, un magazzino, tre operai e 800 ordini al giorno.
E poi, le donne. Sembra che questa nuova occupazione si sia integrata perfettamente nella gestione della vita domestica, la cui scansione del tempo prevede anche quello da trascorrere davanti al computer. Le storie non mancano, come quella, ad esempio di una donna che realizza etichette da aggiungere a caldo, col ferro da stiro, sui capi dei bambini che vanno in vacanza nei camp estivi: le crea su misura, le stampa, le divide in buste che raggiungono piccole aziende e privati. Il risultato? 5 stelle, ovvero il massimo della qualità per i consumatori e i clienti di Amazon. Quando lo fa? Appena i figli sono fuori casa. Ne ha nove, e occupano tutte le fasce di età, da 1 a 18 anni….
Come spiega Samuel Heilman, professore di sociologia alla City University of New York ed esperto conoscitore del mondo hassidico, questo nuovo business “Permette di superare il contatto vis à vis e la rigida distinzione di genere che governa l’intera vita della comunità. Nell’anonimato virtuale, un uomo può vendere cose a una donna senza alcun problema e vice versa”.
“Amazon è il mercato dello shtetl”, commenta Alexander Rapaport, guida informale per il New York Times ai fatti del mondo hassidico “Realizzato nel virtuale”. Con almeno due vantaggi ineguagliabili: la privacy, fondamentale nella vita quotidiana della comunità, è garantita e la bancarella è aperta sul mondo intero.